Discriminazione fondata sul sesso se il padre è obbligato ad agire in giudizio per beneficiare di un’integrazione della sua pensione di invalidità

15 Novembre 2023

Costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso il rigetto, da parte dell’autorità nazionale competente, di una domanda volta alla concessione di una integrazione della pensione, sulla base di una normativa nazionale che limita tale concessione alle donne.

Massima

In forza della direttiva 79/7/CEE, come interpretata dalla Corte di giustizia UE, costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso il rigetto, da parte dell’autorità nazionale competente, di una domanda volta alla concessione di una integrazione della pensione, sulla base di una normativa nazionale che limita tale concessione alle donne. Conseguentemente il ricorrente di sesso maschile ha diritto sia all’integrazione della pensione sia ad un indennizzo volto a compensare integralmente i danni subiti a causa della discriminazione, laddove, nonostante il precedente rappresentato da una sentenza della Corte UE, anteriore alla proposizione della domanda, la prassi amministrativa interna continui ad applicare la normativa nazionale.

Il caso

Il ricorrente, padre di due figli, a seguito di un procedimento amministrativo, ha ottenuto dall’autorità nazionale spagnola una prestazione per invalidità permanente, ma non il riconoscimento del diritto all’integrazione della pensione qualificata “per maternità”, prevista dalla legge spagnola e pari al 5% della prestazione. In particolare l’Instituto Nacional de la Seguridad Social, con decisione del 17 novembre 2020, ha respinto l’ulteriore domanda di integrazione proposta dal ricorrente e basata sulla sentenza del 12 dicembre 2019, C-450/18, della Corte di giustizia UE, che ha statuito che la direttiva 79/7/CEE osta a una normativa nazionale, come quella spagnola all’esame, che riserva la concessione dell’integrazione solo alle donne.

Il Tribunale del lavoro a cui il ricorrente ha proposto successivamente ricorso, con sentenza del 15 febbraio 2021, ha riconosciuto il diritto all’integrazione ma ha respinto la domanda di risarcimento che lo stesso ricorrente ha contestualmente presentato. Tale giudice ha poi stabilito che gli effetti economici debbano decorrere dal momento di proposizione della domanda di integrazione comprensivi dei tre mesi precedenti.

Il ricorrente e l’Instituto Nacional de la Seguridad Social hanno proposto ricorso contro quest’ultima sentenza dinanzi al Tribunal Superior de Justicia de Galicia, il primo invocando il diritto all’integrazione decorrente dalla stessa data in cui è stata erogata la pensione, nonché un indennizzo per la violazione del principio di non discriminazione, il secondo domandando, sulla base della legge spagnola, che al ricorrente non venga riconosciuta alcuna integrazione.

La questione

Il Tribunal Superior de Justicia de Galicia cui è stato proposto l'ulteriore ricorso ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alcune questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia UE. In particolare, il Tribunale nazionale ha chiesto alla Corte di giustizia se la prassi dell'ente previdenziale nazionale, che ha per risultato di obbligare gli aventi diritto ad agire in giudizio, debba essere considerata una violazione di natura amministrativa diversa dalla violazione di natura normativa accertata nella citata sentenza della Corte UE C-450/18, rappresentando, autonomamente, una discriminazione fondata sul sesso. Lo stesso Tribunale ha domandato, alla luce dei principi di equivalenza ed effettività relativi alle conseguenze giuridiche della violazione del diritto dell'Unione, se gli effetti del riconoscimento decorrano dalla data della domanda, dalla data della sentenza della Corte UE C-450/18 o dalla data in cui si è verificato l'evento cui si riferisce l'integrazione della pensione ed, infine, se debba essere disposto un indennizzo a titolo di risarcimento eventualmente comprensivo delle spese giudiziali e degli onorari dell'avvocato.

Le soluzioni giuridiche

Nella sentenza resa il 14 settembre 2023, la Corte di giustizia UE ha statuito che la direttiva 79/7 dev’essere interpretata nel senso che quando una domanda volta alla concessione di una integrazione della pensione venga respinta in base ad una normativa nazionale che alla luce di una sentenza della Corte UE realizza una discriminazione diretta fondata sul sesso, il giudice nazionale, chiamato a decidere, deve ingiungere all’autorità nazionale di concedere l’integrazione richiesta, nonché di corrispondere all’interessato un indennizzo che consenta di riparare integralmente i danni da lui effettivamente subiti a seguito della discriminazione.

Il risarcimento deve essere comprensivo degli onorari di avvocato qualora il ricorrente sia costretto ad agire in giudizio per eliminare la discriminazione.

Osservazioni

La sentenza della Corte di giustizia si occupa di interpretare la direttiva 79/7/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1978, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale.

Nel corso del procedimento è stata richiamata più volte la sentenza del 12 dicembre 2019, Instituto Nacional de la Seguridad Social, causa C‑450/18, in cui la Corte di giustizia ha statuito che ai sensi della direttiva in parola, ed in particolare dell’articolo 4, paragrafo 1, terzo trattino, costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso una normativa nazionale che prevede il diritto a un’integrazione della pensione per le donne che abbiano avuto almeno due figli biologici o adottati, laddove gli uomini che si trovino in una situazione identica non hanno diritto a tale integrazione.

Dunque, sulla base della citata sentenza del 2019, rispetto alla fattispecie in questione, il giudice nazionale in ogni caso avrebbe dovuto risolvere la controversia in modo tale da garantire al ricorrente il diritto all’integrazione a partire dalla data di riconoscimento della pensione.

Tale assunto è conforme alla giurisprudenza della Corte in forza della quale, in presenza di una discriminazione accertata e in attesa di misure volte a ripristinare la parità di trattamento, agli individui appartenenti alla categoria sfavorita occorre garantire gli stessi benefici concessi agli individui “privilegiati”. Ne deriva che il giudice nazionale è tenuto ad applicare ai componenti del gruppo sfavorito lo stesso regime riservato ai “privilegiati” disapplicando automaticamente qualsivoglia disposizione nazionale discriminatoria ed indipendentemente dall’intervento del legislatore. Tale obbligo si estende a tutti gli organi dello Stato ed in particolare, come il caso in commento, alle autorità amministrative nazionali tenute ad applicare la normativa nazionale discriminatoria.

La Corte ha cura di chiarire che una decisione di rigetto adottata dall’autorità amministrativa è discriminatoria allo stesso modo della normativa citata, poiché una decisione simile realizza, nei confronti della persona interessata, la stessa fattispecie discriminatoria che si configura ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 79/7 e di cui alla sentenza della Corte UE del 2019. Nelle circostanze all’esame dunque la discriminazione deriva sia dalla normativa controversa sia dai requisiti procedurali, contenuti in una prassi amministrativa, che impongono all’interessato, così esposto ad un termine più lungo e a spese aggiuntive, di far valere in giudizio il diritto all’integrazione.

Conseguentemente, il giudice nazionale, che in caso di ricorso dovesse essere chiamato a decidere, è obbligato a ripristinare la parità di trattamento di cui s’è testé argomentato. Tuttavia, trattandosi di una discriminazione derivante, come si è detto, sia dalla normativa sottostante sia dalla prassi amministrativa, il giudice nazionale non può limitarsi a riconoscere al ricorrente, con effetto retroattivo, il diritto all’integrazione della pensione poiché un riconoscimento di questo tipo non è in grado di riparare i danni derivanti dai requisiti procedurali di carattere discriminatorio.

Al ricorrente va dunque riconosciuta l’integrazione della pensione con carattere retrottivo, nonché un’integrale riparazione del danno effettivamente subito che comprenda gli onorari e le spese di avvocato, di cui egli si è fatto carico. Infatti, l’articolo 6 della direttiva 79/7 impone un’integrale riparazione del danno effettivamente subito a seguito della discriminazione, indipendentemente dalle modalità operative che non possono in ogni caso sacrificare la sostanza del risarcimento.

La sentenza deve essere segnalata non solo perché si occupa della delicata tematica del padre lavoratore ma anche perché qualifica i requisiti procedurali, che vanno ad aggiungersi alla discriminazione oggetto della sentenza 12 dicembre 2019, come fattispecie discriminatoria autonoma.

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