Illecito endofamiliare e danno non patrimoniale
21 Novembre 2023
Massima La violazione dei doveri conseguenti allo status di genitore non trova la sua sanzione necessariamente e soltanto nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia ma, nell'ipotesi in cui provochi la lesione di diritti costituzionalmente protetti, può integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo ad un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell' art. 2059 c.c. (fattispecie relativa alla quantificazione del danno non patrimoniale subito dalla figlia per la totale assenza della figura paterna). Il caso La vicenda trae origine dalla sentenza con cui la Corte di Appello di Salerno, confermando il provvedimento con cui il giudice di prime cure aveva accertato la paternità del convenuto, da un lato rammentava come tale dichiarazione giudiziale fosse fondata tanto sul test del DNA quanto, in una più ampia prospettiva, su ulteriori circostanze di fatto idonee a fondare, per la loro gravità, precisione e concordanza, un ragionamento presuntivo; e, dall’altro lato, conseguentemente, accoglieva la domanda di parte attrice relativamente al riconoscimento di un assegno di mantenimento nonché quella volta al risarcimento del solo danno endofamiliare di tipo patrimoniale. La questione L’ordinanza in rassegna pone una serie di interrogativi e profili problematici, inscindibilmente connessi tra loro e che possono essere così sinteticamente esposti: innanzitutto, come può essere raggiunta la prova della paternità? Quale ruolo rivestono le risultanze della C.T.U. genetica e le presunzioni semplici? Quando è risarcibile il danno per mancato riconoscimento della paternità? Inoltre (ed è questo il vero quesito fondamentale risolto dalla Corte di Cassazione, al quale viene dedicata gran parte della motivazione), in caso di illecito endofamiliare, come deve essere individuato e quantificato il danno non patrimoniale? Le soluzioni giuridiche La Suprema Corte affronta plurime questioni esaminando congiuntamente, come di consueto, i singoli motivi di ricorso volti a contestare e criticare uno stesso profilo della sentenza impugnata. Punto di partenza non potrebbe che essere, allora, l'art. 269, comma 2, c.c., il quale, nel prevedere che «la prova della paternità … può essere data con ogni mezzo», consente di accogliere la domanda di dichiarazione giudiziale anche sulla sola base di elementi presuntivi ai sensi dell'art. 2729 c.c. (cfr. L. Dell'Osta, G. Spadaro, M. Tudisco, Dichiarazione giudiziale di paternità, in Ius Famiglie, 2022; M. Fiorendi, Accertamento giudiziale di paternità e mezzi di prova utilizzabili, in Ius Famiglie, 2020). E, così, la decisione in commento ricorda, in apertura, come – nella fattispecie esaminata – la dichiarazione giudiziale di paternità lungi dall'essere fondata, semplicemente, su un test del DNA, si basava, in un ben più ampio contesto, anche sull'apprezzamento di ulteriori circostanze di fatto munite dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Ebbene, poiché in passato si è discusso se la prova presuntiva potesse dirsi sufficiente «anche quando si sarebbe potuta chiedere la prova genetica e non è stata chiesta», ovvero solo laddove il presunto padre si fosse rifiutato di sottoporvisi (L. Coppo, Si può ottenere la dichiarazione di paternità, senza chiedere il DNA?, in Giur.it., 2014, p. 2148; Cass., sez. I, 21 febbraio 2014, n. 4175), non irrilevante si presenta quel passaggio argomentativo in cui (riprendendo un principio altrove espresso, seppure in materie non riconducibili al diritto delle famiglie: cfr. Cass., sez. lav., 21/10/2003, n.15737) si specifica come ai fini della formazione del libero convincimento del giudice, le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito «può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva» (Cass., sez. I, 13 ottobre 2023, n. 28551). In generale (G. Ferrando, Dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, in NGCC, 1/2008, pp. 21 ss; Id., Prove storiche e prove scientifiche nell' accertamento della paternità naturale, in Fam. Dir., 8-9/2008, pp. 790 ss.), infatti, si è soliti riconoscere da un lato che nell'ipotesi in cui si configuri il profilo della eventuale non risolutività e conclusività delle risultanze degli accertamenti ematologici e genetici sul DNA, soccorre comunque la valutazione di tutto il complesso degli elementi provenienti dalla istruttoria effettuata (così Cass., sez. I, 18 maggio 2004, n. 9412) e, dall'altro che per affermare il rapporto biologico di paternità possono essere sufficienti altri elementi processuali (Cass., sez. I, 17 febbraio 2021, n. 4221). Eppure, nel caso in esame, la C.T.U. genetica era stata effettivamente espletata ed il test del DNA – seguendo un consolidato orientamento giurisprudenziale – venne espressamente considerato «di per sé, quale mezzo obiettivo di prova» proprio «in ragione degli elevatissimi margini di sicurezza raggiunti nel compimento di questo tipo di indagine» (Cass., sez. I, 13 ottobre 2023, n. 28551); ed invero, da tempo si è «ormai notoriamente conseguita unanimità di consensi, negli ambienti scientifici internazionali, in merito alla validità degli studi e delle metodiche inerenti alla compatibilità genetica» anche «ai fini della prova, in giudizio, dell'esistenza o meno del rapporto di filiazione» (Cass., sez. I, 24 dicembre 2013, n. 28647). Tale accertamento, poi, ove il mancato riconoscimento – pur nella consapevolezza del rapporto di filiazione – abbia cagionato un danno ingiusto al figlio, può essere fonte di responsabilità con conseguente diritto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali: il mancato riconoscimento dei figli, però, «per poter configurare un danno risarcibile, dovrà possedere i caratteri tipici dell'illecito civile» e, quindi, «essere causalmente determinante, colpevole e cagionare un danno ingiusto» (Cass., sez. I, 09 agosto 2021, n. 22496). Invero, l'obbligo del genitore di istruire, educare, assistere moralmente e concorrere nel mantenimento della prole (A. Bellelli, I doveri dei genitori e i doveri dei figli nell'evoluzione legislativa, in C.M. Bianca (a cura di), La riforma della filiazione, Padova, 2015, pp. 155 ss.) insorge – indipendentemente dal momento in cui una sentenza dichiarativa accerti la procreazione – con la nascita del figlio (Cass., sez. I, 02 febbraio 2006, n. 2328) e «discende dal mero fatto della generazione» (Cass., sez. I, 22 novembre 2013, n. 26205), ricollegandosi le obbligazioni de quibus allo status genitoriale e assumendo, di conseguenza, efficacia retroattiva (Cass., sez. I, 10 aprile 2012, n. 5652). Ne deriva che il giudice del merito deve verificare se l'indifferenza ed il disinteresse dimostrati da un genitore nei confronti di un figlio, e la conseguente violazione dei predetti obblighi, abbiano determinato una lesione a quei diritti che trovano nel sistema di protezione della filiazione (e, segnatamente negli artt. 2 e 30 Cost., oltre che nell'art. 24, comma 3, CDFUE e nella Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e ratificata con Legge 27 maggio 1991, n. 176) un elevato grado di riconoscimento e di tutela. È qui che si delinea l'illecito endofamiliare: la violazione dei doveri conseguenti allo status di genitore, oltre alle sanzioni specificamente previste dal diritto di famiglia, trova ulteriori forme di tutela – nell'ipotesi in cui provochi la lesione di diritti costituzionalmente protetti – nella autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell'art. 2059 c.c. (Cass., sez. I, 10 febbraio 2023, n. 4145; Cass., sez. I, 12 gennaio 2023, n. 764; Cass., sez. I, 28 novembre 2022, n. 34950; Cass., sez. VI, 28 novembre 2022, n. 34986; Cass., sez. I, 12 maggio 2022, n. 15247; Cass., sez. I, 11 dicembre 2020, n. 28330; Cass., sez. I, 22 novembre 2013, n. 26205; Cass., sez. I, 10 aprile 2012, n. 5652). Ebbene, ciò che emerge è il più ampio ed immanente diritto di condividere, fin dalla nascita, con il proprio genitore la relazione filiale, sia nella sfera intima ed affettiva sia nella sfera sociale, contribuendo alla realizzazione ed esplicazione dell'identità personale e relazionale dell'individuo, posto che la comunità familiare costituisce la prima formazione sociale che un minore riconosce come proprio riferimento affettivo e protettivo (cfr. Cass., sez. I, 22 novembre 2013, n. 26205). Il presupposto della responsabilità aquiliana (e del conseguente diritto del figlio al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali), come anticipato, è individuato «nella consapevolezza del concepimento», la quale «non s'identifica con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica ma si compone di una serie d'indizi univoci» (Cass., sez. I, 22 novembre 2013, n. 26205), quali la coincidenza temporale tra l'esistenza di una relazione affettiva tra i genitori e gli altri fatti (come, per esempio, richieste variamente manifestate dagli interessati o da terzi ad essi vicini) che consentano di poter affermare la chiara rappresentazione del legame familiare. Con specifico riferimento alle modalità con cui, in questa materia (o, come pure è stato detto, «regione» del diritto civile: A. Falzea, Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica. III. Scritti d'occasione, Milano 2010, pp. 27 ss.), deve essere identificato e quantificato il danno non patrimoniale patito a causa della «assenza della figura paterna» (Cass., sez. I, 13 ottobre 2023, n. 28551), la decisione in rassegna – dopo aver ribadito come la violazione dei doveri genitoriali può senz'altro provocare la lesione di diritti costituzionalmente protetti – si sofferma, richiamando principi espressi anche in altri ambiti, sulla natura unitaria e onnicomprensiva di tale danno. Al riguardo, è noto come la fattispecie, ricomprendendo tutte le conseguenze pregiudizievoli rispetto alla precedente situazione del danneggiato (con l'evidente limite delle duplicazioni risarcitorie: Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n.26972), richiede di valutare e tenere in considerazione, «congiuntamente, ma distintamente», la «reale fenomenologia della lesione non patrimoniale» (Cass., sez. III, 28 settembre 2018, n. 23469). Ciò che appare all'osservatore è, dunque, tanto l'aspetto interiore del danno sofferto quanto quello dinamico-relazionale: il primo relativo al danno morale, alla sfera e dimensione del rapporto del soggetto con se stesso, al dolore, alla vergogna, alla disistima di sé, alla paura, alla disperazione, al rimorso, alla malinconia, alla tristezza; l'altro attinente alle varie relazioni di vita esterne del soggetto, a tutto quello che costituisce “altro da sé”. La liquidazione del danno, poi, non potrebbe che avvenire mediante una articolata, compiuta ed esaustiva istruttoria volta ad accertare – in concreto, caso per caso (e non già in astratto ovvero in forza di impredicabili generalizzazioni), dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni – il danno effettivamente subito; invero, «nel prisma multiforme del danno non patrimoniale», l'oggetto della valutazione attiene – come anticipato ed efficacemente ricordato – alla «sofferenza umana» (scolpita nei due aspetti del dolore interiore e della significativa alterazione della vita quotidiana) conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto (Cass., sez. III, 17 gennaio 2018, n. 901). Oltre alla dimostrazione della sussistenza di un danno risarcibile, il creditore è altresì tenuto a provarne il suo preciso ammontare (P. Gallo, L'obbligazione, in Trattato di diritto civile, Torino, 2019, p. 336), salva l'ipotesi in cui ciò non sia possibile ovvero risulti eccessivamente difficile perché, in tal caso, la liquidazione è operata dal giudice, ai sensi dell'art. 1226 c.c., con valutazione equitativa. La giurisprudenza, peraltro, ha chiarito, sotto quest'ultimo angolo visuale, che la liquidazione equitativa presuppone l'accertamento dell'esistenza di un danno risarcibile, l'impossibilità o rilevante difficoltà di una stima esatta dello stesso, evidentemente non dipendente dall'inerzia della parte gravata dell'onere della prova. Ne deriva, ancora, che tale forma di liquidazione consente di sopperire alle difficoltà di quantificazione del danno, al fine di assicurare l'effettività della tutela risarcitoria, ma giammai potrebbe assumere valenza surrogatoria della prova dell'esistenza dello stesso e del nesso di causalità giuridica che lo lega all'inadempimento; si tratta, in particolare, di un «rimedio sussidiario con funzione integratrice, che si legittima sulla base dell'art. 1226 c.c., solo quando la prova sia impossibile, incompleta, oppure non sia idonea ad orientare il giudice tra un minimo e un massimo in modo preciso» (M. Franzoni, Il danno risarcibile, Milano, 2010, p. 186). Si discorre anche di «natura “sussidiaria” e “non sostitutiva”» (cfr. Cass, sez. III, 24 ottobre 2023, n. 29472) proprio in ragione del fatto che, per un verso, il presupposto della liquidazione equitativa è l'esistenza di un danno oggettivamente accertato, in quanto la previsione normativa attribuisce al giudice non già un potere arbitrario, ma una facoltà di integrazione (appunto, in via equitativa) della prova semipiena circa l'ammontare dello stesso; e che, per altro verso, l'istituto non può comunque sopperire alle carenze o decadenze istruttorie in cui le parti fossero incorse. Nella vicenda in esame, la Corte di Appello di Salerno ha utilizzato quale parametro di riferimento per la quantificazione del danno le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano per la liquidazione del cd. danno da lesione del rapporto parentale, precisando che tale criterio di partenza (relativo alle ipotesi in cui una persona sia vittima o subisca gravi lesioni a causa della condotta illecita di un terzo) doveva subire gli opportuni adattamenti in ragione della particolarità della fattispecie. Eppure, la modalità di liquidazione in concreto operata, frutto dei predetti adattamenti e quindi del bilanciamento delle circostanze favorevoli alla danneggiata (identificate nella sofferenza morale e psichica subita per essere vissuta senza il sostegno della figura paterna) e favorevoli al danneggiante (e consistenti nella peculiare situazione economica del genitore nonché nel fatto che la perdita del rapporto parentale non avrebbe avuto carattere definitivo) ha costituto – secondo la Corte di Cassazione – una «patente violazione dell'art. 1226 c.c.» (Cass., sez. I, 13 ottobre 2023, n. 28551). Il giudice del merito, in particolare, avrebbe omesso di tenere conto di specifiche circostanze del caso concreto con incidenza ablativa del danno valorizzando, piuttosto, circostanze prive di incidenza negativa sull'ammontare del pregiudizio, così ponendosi in contrasto rispetto agli accertamenti compiuti (dai quali era emerso, infatti, che il padre era stato totalmente assente), e risultando conseguentemente irragionevole. Osservazioni La mancanza, per i figli, della figura genitoriale paterna (che costituisce un fondamentale punto di riferimento soprattutto nella fase della crescita), determina un'immancabile ferita di quei diritti (costituzionalmente tutelati) nascenti dal rapporto di filiazione (Cass., sez. VI, 16 febbraio 2015, n. 3079). La pronuncia, in definitiva, conferma come l'obbligo del genitore di concorrere all'educazione ed al mantenimento dei figli sorge al momento della procreazione, così determinandosi un automatismo tra quest'ultima e la responsabilità genitoriale; onde, di converso, la sussistenza dell'illecito endofamiliare nelle ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l'assolvimento degli obblighi conseguenti allo status di genitore (Cass., sez. III, 12 maggio 2022, n. 15148); quanto alla liquidazione del danno, infine, ribadisce la risarcibilità in via equitativa, attraverso il rinvio, in via analogica e con l'integrazione dei necessari correttivi, alle tabelle previste per la perdita del rapporto parentale (Cass., sez. VI, 28 novembre 2022, n. 34986). La ragione è che le conseguenze pregiudizievoli derivanti dal mancato riconoscimento (Cass., sez. I, 28 novembre 2022, n. 34950) investono la progressiva formazione della personalità dell'individuo, condizionando lo sviluppo delle sue capacità di comprensione e di autodifesa: si riflettono sul piano psicologico ed esistenziale (Cass., sez. VI, 16 dicembre 2021, n. 40335), determinando finanche l'impossibilità di affermarsi in maniera più soddisfacente a livello sociale e di svolgere compiutamente gli studi (con rilievo anche economico, incidendo sulla realizzazione professionale e lavorativa). Gli effetti dell'assenza di una figura genitoriale, più in generale, si ripercuotono negativamente nella quotidianità e nel concreto operare del figlio, incidendo sulla sua posizione nel presente ed influendo sul modo in cui concepisce gli elementi essenziali della realtà ed orienta, di conseguenza, le proprie scelte di vita: questi, allora, sono gli (o, più precisamente, taluni) elementi che devono essere presi in debita considerazione, al fine di valorizzarne la possibile incidenza sull'ammontare del pregiudizio subito. |