Equo processo: la revisione del giudicato da un tribunale non indipendente e imparziale non tutela la certezza del diritto e il rispetto della vita privata
24 Novembre 2023
Il caso riguardava una causa civile intentata da W. contro un ex amico e socio, K. W., che lo aveva accusato pubblicamente di collaborare con i servizi segreti sotto il regime comunista. Nonostante avesse vinto la causa, la sentenza finale a suo favore era stata ribaltata, nove anni dopo, dalla Camera di Revisione Straordinaria e Affari Pubblici a seguito di un appello straordinario del Procuratore Generale, il quale aveva riaperto il caso. La Corte ha rilevato in particolare, come ha fatto in casi precedenti, che la Camera di Revisione Straordinaria e Affari Pubblici, che aveva esaminato l'appello straordinario, non era un "tribunale indipendente e imparziale istituito dalla legge". Pertanto, il diritto del ricorrente ad un equo processo era stato violato. Quanto al fatto che l'impugnazione straordinaria avesse violato il principio della certezza del diritto, come sostenuto dal signor W., la Corte ha rilevato che affidare al Procuratore generale - un membro dell'esecutivo che esercitava una notevole autorità sui tribunali ed esercitava una forte influenza sul Consiglio nazionale della magistratura - il potere illimitato di contestare praticamente qualsiasi decisione giudiziaria definitiva in contrasto con i principi di indipendenza giudiziaria e di separazione dei poteri, comporta il rischio che appelli straordinari possano trasformarsi in uno strumento politico utilizzato dall'esecutivo. La Corte ha dichiarato che il procedimento d'appello straordinario era incompatibile con i principi di certezza del diritto e di giudicato (una causa risolta con sentenza definitiva non può essere rinviata in tribunale per un secondo processo o un nuovo ricorso), ritenendo che i termini prorogati per la presentazione di un ricorso straordinario, concessi al procuratore generale e applicati retroattivamente, non solo violavano tali principi, ma non soddisfacevano neppure il requisito della prevedibilità della legge ai fini della convenzione. Essa ha inoltre rilevato che l'autorità statale aveva abusato della procedura d'appello straordinaria per promuovere le proprie opinioni e motivazioni politiche. Infatti, la Corte ha osservato che il caso di W. non poteva essere separato dal suo contesto politico e dal contesto politico in Polonia all'epoca e il conflitto pubblico e duraturo tra W. e la leadership del partito Diritto e Giustizia (PiS) e il governo dell'alleanza di Destra Unita. L'inversione della sentenza definitiva aveva inciso in misura significativa sulla vita privata del signor W. e costituiva pertanto un'interferenza nel suo diritto al rispetto della sua vita privata. La Corte ha concluso che tale interferenza non era stata "in conformità con la legge", in quanto era stata emanata da un organismo che non era un tribunale "legale" ai sensi della Convenzione, non era stata basata su una "legge" che prevedeva garanzie adeguate contro l'arbitrarietà, e ha rivelato l'abuso del processo da parte del Procuratore Generale. Applicando la procedura di sentenza- pilota ai sensi dell'art. 61 del regolamento della Corte EDU, i giudici di Strasburgo hanno dichiarato che, al fine di porre fine alle violazioni sistemiche dell'art. 6, § 1 della Convenzione, identificati in questo e casi precedenti, la Polonia deve adottare adeguate misure legislative e di altro tipo per conformarsi ai requisiti di un "tribunale indipendente e imparziale istituito dalla legge" e al principio della certezza del diritto. |