Equo processo: la revisione del giudicato da un tribunale non indipendente e imparziale non tutela la certezza del diritto e il rispetto della vita privata

La Redazione
24 Novembre 2023

Con sentenza del 23 novembre 2023 (n. 50849/21), la Corte EDU ha stabilito che la Polonia ha violato il diritto ad un equo processo al leader del primo sindacato libero del blocco comunista ed ex presidente della Polonia, a seguito dell'avvenuta riapertura del caso che lo riguardava, già giudicato in suo favore, sulle accuse da parte di un suo ex amico e collaboratore di essere un agente comunista che collaborava con le autorità sovietiche. Per la Corte, l'esame dell'appello straordinario da parte della Camera di Revisione Straordinaria e Affari Pubblici (non ritenuta un "tribunale indipendente e imparziale istituito dalla legge”), i termini prorogati per la presentazione di un ricorso straordinario concessi al procuratore generale e applicati retroattivamente e l'abuso da parte dell'autorità statale di tale ricorso per promuovere le proprie opinioni e motivazioni politiche, hanno violato il diritto del ricorrente ad un equo processo e al rispetto della sua vita privata, insieme al principio della certezza del diritto. In aggiunta, la Corte EDU con una sentenza pilota, ha affermato che la Polonia entro 12 mesi dovrà adottare adeguate misure legislative e di altro tipo per conformarsi ai requisiti di un "tribunale indipendente e imparziale istituito dalla legge" e al principio della certezza del diritto, violati a seguito della riforma della giustizia polacca iniziata nel 2017.

Il caso riguardava una causa civile intentata da W. contro un ex amico e socio, K. W., che lo aveva accusato pubblicamente di collaborare con i servizi segreti sotto il regime comunista. Nonostante avesse vinto la causa, la sentenza finale a suo favore era stata ribaltata, nove anni dopo, dalla Camera di Revisione Straordinaria e Affari Pubblici a seguito di un appello straordinario del Procuratore Generale, il quale aveva riaperto il caso.

La Corte ha rilevato in particolare, come ha fatto in casi precedenti, che la Camera di Revisione Straordinaria e Affari Pubblici, che aveva esaminato l'appello straordinario, non era un "tribunale indipendente e imparziale istituito dalla legge". Pertanto, il diritto del ricorrente ad un equo processo era stato violato.

Quanto al fatto che l'impugnazione straordinaria avesse violato il principio della certezza del diritto, come sostenuto dal signor W., la Corte ha rilevato che affidare al Procuratore generale - un membro dell'esecutivo che esercitava una notevole autorità sui tribunali ed esercitava una forte influenza sul Consiglio nazionale della magistratura - il potere illimitato di contestare praticamente qualsiasi decisione giudiziaria definitiva in contrasto con i principi di indipendenza giudiziaria e di separazione dei poteri, comporta il rischio che appelli straordinari possano trasformarsi in uno strumento politico utilizzato dall'esecutivo.

La Corte ha dichiarato che il procedimento d'appello straordinario era incompatibile con i principi di certezza del diritto e di giudicato (una causa risolta con sentenza definitiva non può essere rinviata in tribunale per un secondo processo o un nuovo ricorso), ritenendo che i termini prorogati per la presentazione di un ricorso straordinario, concessi al procuratore generale e applicati retroattivamente, non solo violavano tali principi, ma non soddisfacevano neppure il requisito della prevedibilità della legge ai fini della convenzione.

Essa ha inoltre rilevato che l'autorità statale aveva abusato della procedura d'appello straordinaria per promuovere le proprie opinioni e motivazioni politiche. Infatti, la Corte ha osservato che il caso di W. non poteva essere separato dal suo contesto politico e dal contesto politico in Polonia all'epoca e il conflitto pubblico e duraturo tra W. e la leadership del partito Diritto e Giustizia (PiS) e il governo dell'alleanza di Destra Unita.

L'inversione della sentenza definitiva aveva inciso in misura significativa sulla vita privata del signor W. e costituiva pertanto un'interferenza nel suo diritto al rispetto della sua vita privata.

La Corte ha concluso che tale interferenza non era stata "in conformità con la legge", in quanto era stata emanata da un organismo che non era un tribunale "legale" ai sensi della Convenzione, non era stata basata su una "legge" che prevedeva garanzie adeguate contro l'arbitrarietà, e ha rivelato l'abuso del processo da parte del Procuratore Generale.

Applicando la procedura di sentenza- pilota ai sensi dell'art. 61 del regolamento della Corte EDU, i giudici di Strasburgo hanno dichiarato che, al fine di porre fine alle violazioni sistemiche dell'art. 6, § 1 della Convenzione, identificati in questo e casi precedenti, la Polonia deve adottare adeguate misure legislative e di altro tipo per conformarsi ai requisiti di un "tribunale indipendente e imparziale istituito dalla legge" e al principio della certezza del diritto.