L’esenzione dal pagamento della TARSU in caso di magazzini strettamente connessi al ciclo produttivo
Daniela Mendola
29 Novembre 2023
La tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani è un tributo di scopo, in quanto il gettito derivante dal prelievo fiscale (effettuato in modo periodico o continuativo) è destinato al finanziamento del servizio comunale di raccolta e di smaltimento dei rifiuti urbani o più precisamente alla copertura integrale del costo del servizio per la gestione dei rifiuti solidi urbani ed assimilati.
Premessa
Attraverso il suddetto prelievo, dunque, gli enti locali recuperano i mezzi economici necessari per l'adempimento dei loro compiti istituzionali.
L'imposizione, dunque, spetta al Comune il quale è tenuto a calcolare, mediante l'approvazione del piano economico finanziario, i costi che devono essere coperti con la Tarsu e, con la delibera di determinazione delle tariffe, a ripartire i suddetti oneri tra gli utenti.
Le tariffe Tarsu assicurano la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti e si compongono di una parte fissa, in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio - ovvero investimenti per le opere e per ammortamenti - e di una parte variabile, riconducibile alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito ed all'entità dei costi di gestione.
Inoltre, è opportuno evidenziare che la Tares deve essere corrisposta indipendentemente dal fatto che l'utente fruisca o meno del servizio, in quanto il tributo in questione risponde alle esigenze della collettività.
A supporto dell'uso anche solo potenziale si richiama la giurisprudenza di legittimità la quale ha asserito che “la TARES è dovuta indipendentemente dal fatto che l'utente utilizzi il servizio di smaltimento dei rifiuti, atteso che il presupposto impositivo si identifica con l'espletamento, da parte dell'ente pubblico, di un servizio nei confronti dell'intera collettività e non già in relazione a prestazioni fornite ai singoli utenti, sicché la sola disponibilità dell'area produttrice di rifiuti determina la debenza del tributo, salvo deroghe, riduzioni di tariffe e agevolazioni, per le quali è onere del contribuente dedurre e provare la relativa sussistenza per vincere la presunzione legale di produttività” (Cass. Civ., sez. trib. 27 gennaio 2022, n. 2373, Dejure, 2022).
I soggetti tenuti ai pagamento dei relativi prelievi (salve le tassative ipotesi di esclusione o di agevolazione) non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei suddetti servizi, in quanto la legge non dà alcun sostanziale rilievo, genetico o funzionale, alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore ed utente del servizio, avendo il tributo la funzione di coprire anche le pubbliche spese afferenti a un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e, quindi, non riconducibile a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente (in generale si rinvia a G. Durante, Riduzione Tari “ope legis” in caso di mancato svolgimento del servizio da parte del Comune anche se non prevista dal regolamento Comunale, in Ius Tributario, 5 giugno 2023, nota a Cassazione civile, 29 marzo 2023, n. 8851).
Gli elementi costitutivi della fattispecie: presupposto impositivo e soggetto passivo
Il presupposto del suddetto tributo si identifica con il “possesso o detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla TARSU le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all'art. 1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva” (art. 62, d.lgs. n. 507/93).
Quanto al soggetto passivo del tributo, esso è identificabile con “chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani”.
Il predetto provvedimento prescrive, inoltre, che nella determinazione della superficie assoggettabile alla Tarsu (art. 62) “non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali (per tali dovendosi intendere anche quelli derivanti da lavorazioni industriali) al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l'avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente”.
Ciò sta a significare che il trattamento dei rifiuti speciali compete in via esclusiva al contribuente, a meno che quest'ultimo non abbia stipulato un'apposita convenzione in tal senso con l'ente impositore o l'ente preposto alla gestione del servizio e, in tal caso, saranno l'ente impositore o il gestore del servizio a dovervi provvedere.
In tale ipotesi il contribuente avrà l'onere di dimostrare l'effettivo e corretto avviamento al recupero attraverso valida documentazione che dimostri il conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati a detta attività.
Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della Tarsu, il comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati (F. Gavioli, Il Comune può individuare nel regolamento attività che beneficiano della riduzione, in Azienditalia, 8-9, 2022, 1427).
Con il medesimo regolamento il comune individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all'esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione.
Merita di essere attenzionata una pronuncia dei giudici di merito secondo cui in tema di tassa per lo smaltimento di rifiuti solidi urbani va affermato il principio secondo il quale i rifiuti speciali non assimilabili e i locali ove si producono tali rifiuti sono esenti dal pagamento della imposta, poiché nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto, infatti, di quella parte di essa nella quale, per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione, si formano di regola rifiuti speciali, tossici o nocivi, per il cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti (Comm. trib. prov. Salerno sez. X, 10/11/2021, n. 2750).
Non assoggettabilità degli stabilimenti industriali alla Tarsu alla luce del d.lgs. n. 116/2020
Il d.lgs. 3 settembre 2020, n. 116 che recepisce le disposizioni dettate dalle Direttive europee nn. 851/2018 e 852/2018, ha apportato sostanziali modifiche al Codice dell'Ambiente (d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152).
In particolare, ha innovato la definizione di “rifiuto urbano”, escludendo le attività industriali con capannoni dall'elenco delle attività economiche suscettibili di produrre rifiuti urbani e ha previsto la soppressione del potere dei comuni di assimilare i rifiuti speciali prodotti dalle attività industriali ai rifiuti urbani.
Non sorge, pertanto, alcun dubbio sul fatto che le imprese industriali siano escluse dall'assoggettamento al prelievo locale sullo smaltimento dei rifiuti, destinato alla copertura del servizio comunale di gestione dei rifiuti urbani.
Quanto detto trova conferma nell'art. 2 del d.P.R. 915/82 che individua quali rifiuti speciali “i residui derivanti da lavorazioni industriali” e “quelli derivanti da attività agricole, artigianali, commerciali e di servizi che per quantità o qualità non siano dichiarati assimilabili ai rifiuti urbani”.
La ripartizione dell'onere della prova
Il legislatore ha ritenuto di temperare la rigidità del criterio impositivo introducendo ipotesi di esclusione e di riduzione, i cui presupposti sono fissati dalla legge o previsti dal regolamento comunale e secondo modalità predeterminate.
Come anzidetto, la Tarsu è dovuta in virtù dell'occupazione o della detenzione di locali ed aree scoperte idonee alla produzione di rifiuti, tale presunzione di produttività può essere superabile solo dalla prova contraria del detentore atta a dimostrare che in quell'area o porzione di area, non si producano rifiuti o si producano solo rifiuti speciali soggetti a diversa disciplina. Infatti, l'amministrazione, deve provare la quantificazione della tassa, mentre l'onere di provare eventuali esenzioni o riduzioni tariffarie è posto a carico dell'interessato.
Al pari di ogni tipologia di agevolazione fiscale è onere del contribuente provare, a fronte della pretesa impositiva dell'Amministrazione, che le aree producono “solo” rifiuti speciali, e solo all'esito di tale onere e in assenza di loro assimilazione a quelli urbani, spetta l'esenzione del pagamento della quota variabile della Tarsu (C. Pennarola, Il servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani: dalla tassa alla tariffa, tra esenzioni e riduzioni, in Riv. Giur. Ed., 2017, 5, 1189 A; R. Amato, Tarsu: riduzione del 40% della tariffa nel caso di “emergenza rifiuti”, in Ius Tributario, 31 ottobre 2017, nota a Cass. Civ. 27 settembre 2017, n. 22531).
Il contribuente dovrà fornire la documentazione idonea a comprovare il diritto vantato ovvero il registro di carico e scarico, la distinta contabilizzazione in bilancio, le fatture, la prova documentale del contratto di ritiro e smaltimento dei rifiuti speciali debitamente sottoscritto con l'impresa o soggetto competente - c.d. privativa e via enumerando.
Prendendo, ad esempio, gli stabilimenti industriali, la riduzione della superficie tassabile non muove dalla generica destinazione dell'immobile ad area industriale, ma dalla specifica indicazione e dimostrazione delle aree che all'interno dello stabilimento producono prevalentemente rifiuti speciali non assimilati, né assimilabili ai rifiuti solidi urbani e, pertanto, soggetti ad autosmaltimento (F. Gavioli, Il recupero dei rifiuti da parte del produttore, in Azienditalia, 2022, 3, 568).
A tal proposito, la Corte di Cassazione Civile (Sez. V) ha sottolineato che il contribuente “ha l'onere di provare i presupposti per la riduzione della somma dovuta a titolo di Tarsu” (Cass. Civ. Sez. Trib., 11 gennaio 2022, n. 532, in Redazione Giuffrè, 2022).
Ne deriva, dunque, che le esclusioni delle predette aree non sono, automatiche, pertanto, nel caso in cui il contribuente voglia beneficiare di una esenzione o riduzione del tributo grava sul medesimo l'onere di provare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell'agevolazione.
Sull'onere a carico del contribuente è tornata recentemente anche la Cassazione con sentenza del 21 febbraio 2023, n. 5433 la quale ha sottolineato ancora una volta che “l'onere della prova è posto a carico del contribuente, in quanto, questi fa valere un diritto all' esenzione o riduzione che deroga alla regola generale per cui tutti coloro che possiedano o detengano un'area scoperta siano tenuti al pagamento del tributo” (G. Spina, Corte di Cassazione Civile- Tari, dichiarazione annuale, in Amb. e Sv,. 2023, 8-9, 552; I. Gennaro, Tarsu/Tia: per le aree scoperte pertinenziali i presupposti di deroghe e riduzioni vanno dedotti nelle denunce, in Ius Tributario, 27 luglio, 2020, nota a Comm. Trib. Reg. Sicilia, 27 gennaio 2020).
Il contribuente dovrà, dunque, provare la natura “speciale” dei rifiuti ovvero la mancata istituzione o la mancata attivazione del servizio di gestione dei rifiuti speciali qualora abbia stipulato una convenzione apposita con l'ente impositore ovvero con una impresa autorizzata.
Nello stesso senso anche la giurisprudenza di merito che ha asserito che “spetta al contribuente l'onere di fornire all'amministrazione comunale i dati relativi all'esistenza e alla delimitazione delle aree in cui vengono prodotti rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani (da lui smaltiti direttamente, essendo esclusi dal normale circuito di raccolta), che pertanto non concorrono alla quantificazione della superficie imponibile, in applicazione dell'art. 62, comma 3, del d.lgs. n. 507/1993, posto che, pur operando anche nella materia in esame il principio secondo il quale spetta all'amministrazione provare i fatti che costituiscono fonte dell'obbligazione tributaria (nella specie, l'occupazione di aree nel territorio comunale), per quanto attiene alla quantificazione del tributo, grava sull'interessato (oltre all'obbligo di denuncia ai sensi dell'art. 70 del d.lgs. n. 507/1993) un onere d'informazione, al fine di ottenere l'esclusione delle aree sopra descritte dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale, secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale” (Comm. Trib. Prov. Cagliari, 6 ottobre 2021, n. 485).
Ancora sul punto merita un richiamo la Cassazione civile sez. trib., 30 marzo 2021, n. 8813 a tenore della quale “in tema di TARSU, il godimento dell'esenzione dall'imposta è soggetto alla prova da parte del contribuente della esistenza di un'area produttiva di rifiuti speciali. Secondo il normale riparto dell'onere della prova, infatti, all'amministrazione spetta soltanto provare i fatti che costituiscono fonte dell'obbligazione tributaria mentre sta al contribuente provare la sussistenza delle condizioni dell'eccezione” (in Redazione Giuffrè 2021). Il contribuente dovrà, pertanto, fornire all'amministrazione comunale i dati relativi all'esistenza ed alla delimitazione delle aree che non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile (Cass. civ., Sez. V, Ordinanza, 09 maggio 2023, n. 12433). Saranno, ad esempio, esenti gli immobili oggettivamente inutilizzabili (Cass. Civ., Sez. VI, 28 dicembre 2022, n. 37965, in Guida al diritto, 2023, 6).
Non è, tuttavia, prescritto ex lege un contraddittorio endoprocedimentale a favore del contribuente, sicché, quest'ultimo potrà fornire la prova contraria direttamente in sede di impugnazione del provvedimento impositivo, nel rispetto della cd. tutela differita (per un'analisi si rinvia a A. Galante, Il contraddittorio preventivo non è obbligatorio nella Tarsu, in Azienditalia, 2022, 3, 554).
Sebbene, la partecipazione endoprocedimentale consentirebbe al contribuente di dimostrare la sussistenza dei presupposti del beneficio vantato (S. Zebri, Principi di collaborazione e buona fede, in Azienditalia, 2021, 12, 2078), ad oggi non risulta ancora una norma che prescriva il cd. contraddittorio generalizzato (il quale, però, rientra tra gli obiettivi della riforma fiscale di cui alla l. 9 agosto 2023, n. 111). Merita, tuttavia, una riflessione l'attuale riforma fiscale che tra le prescrizioni contiene anche quella di inserire un confronto preventivo nell'ambito dei tributi locali, sicchè prima di inviare un atto invasivo l'Ufficio dovrebbe sottoporre all'interessato uno schema di provvedimento in rispetto al quale quest'ultimo possa presentare deduzioni, osservazioni o difese (che potrebbe essere paragonato all'art. 11, l. n. 241/90).
Come previsto dal decreto attuativo (della l. 9 agosto 2023, n. 111) del 23 ottobre 2023 il contraddittorio sarebbe “generalizzato” e, dunque, senza distinzione alcuna tra tipologie di tributi, purché però si tratti di atti aventi natura provvedimentale.
Esenti dal pagamento della Tarsu i magazzini strettamente connessi al “ciclo produttivo”
La circolare ministeriale n. 37259 del 2021 ha previsto l'esclusione dall'assoggettamento alla Tarsu di tutti i magazzini di materie prime, di merci e di prodotti finiti che abbiano uno stretto collegamento con l'attività industriale principale (M. Medugno, Tari: esenti tutti i magazzini strettamente connessi al “ciclo produttivo”, in Amb. e Sv., 2023, 5, 309).
A sostegno di tale prescrizione è intervenuto il Tar Veneto Sez. III con sentenza del 6 ottobre 2022, n. 1504, a tenore del quale “i magazzini di stoccaggio, sia quelli utilizzati per le materie prime e le scorte, sia quelli per i prodotti finiti, nonché le aree collegate funzionalmente all'attività imprenditoriale, devono essere considerate superfici strettamente connesse al ciclo produttivo, determinando la sola produzione di rifiuti industriali. Pertanto, le aree, strettamente e oggettivamente connesse alla produzione, sono soggette al regime giuridico proprio dell'attività principale alla quale ineriscono, e di conseguenza sono escluse dall'applicazione della tariffa sui “rifiuti urbani”. Assume, dunque, rilevanza il collegamento funzionale con l'area produttiva, destinata alla lavorazione industriale.
I magazzini assurgono ad “aree pertinenziali” con conseguente applicazione del regime giuridico previsto per le attività industriali a cui sono collegati.
Il Tribunale amministrativo precisa come la generica inclusione ed assoggettamento alla Tarsu di aree “dove vi è presenza di persone fisiche” appare, in primis, in contrasto con la disciplina, in assenza di una effettiva produzione di rifiuti, ma risulta anche del tutto indeterminata nella formulazione del presupposto che renderebbe applicabile il tributo. I magazzini destinati ai prodotti finiti e ai semilavorati, infatti, costituiscono spazi strettamente connessi al “ciclo produttivo”, con conseguente assoggettamento al regime giuridico proprio dell'attività principale.
Sono, pertanto, esclusi dalla Tarsu tutti i magazzini di materie prime, di merci e di prodotti finiti. Dello stesso avviso anche la Corte di Giustizia Trib., I grado Sez. III del 18 aprile 2023, n. 344 secondo la quale “per i produttori di rifiuti speciali non assimilabili agli urbani non si tiene conto altresì della parte di area di magazzini, funzionalmente ed esclusivamente collegata all'esercizio dell'attività produttiva, occupata da materie prime e/o merci, merceologicamente rientranti nella categoria dei rifiuti speciali non assimilabili”.
Sul punto si segnala anche la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli sez. XVI, del 16 marzo 2021, n. 2592 a tenore del quale “per il calcolo della T.A.R.I. non si deve tener conto della parte di area dei magazzini, funzionalmente ed esclusivamente collegata all'esercizio dell'attività produttiva, occupata da materie prime e/o merci, merceologicamente rientranti nella categoria dei rifiuti speciali non assimilabili, la cui lavorazione genera comunque rifiuti speciali non assimilabili” (in Redazione Giuffrè, 2021).
Affinché possa operare l'esenzione non è necessario che sussista una vicinitas tra stabilimento industriale e magazzino essendo, invece, sufficiente che vi sia un collegamento funzionale.
Diversamente, con riferimento ad altre superfici e aree, quali spazi destinati a mense, uffici, servizi ad essi funzionalmente connessi, dedicati allo svolgimento di attività “non industriali”, che producano rifiuti che, per loro natura e tipologia, risultino oggettivamente analoghi ai rifiuti urbani, dovrà concludersi che detti rifiuti debbano rientrare a pieno titolo nella nozione e categoria dei “rifiuti urbani”, per omogeneità sostanziale, con conseguente applicazione del correlato regime giuridico ed economico (sul tema si rinvia a C. Prevete, Consiglio di Stato e Tar, in Amb. e Sv., 2022, 12, 788).
Non mancano, tuttavia, orientamenti contrari, che escludono dal beneficio i magazzini connessi al ciclo produttivo. Si pensi, ad esempio, alla Cass. Civ. Sez. V, Ord. n. 34299/2021 secondo cui “in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), ai fini della determinazione delle superfici tassabili, i magazzini destinati al ricovero dei beni strumentali o delle scorte da impiegare nella produzione o nello scambio di beni produttivi, non potendo considerarsi residui di un ciclo di lavorazione, concorrono all'esercizio dell'attività di impresa e vanno perciò qualificati come aree operative, al pari degli stabilimenti e dei locali destinati alla vendita ove si producono rifiuti solidi urbani, non rientrando la funzione - generica ed operativa - di magazzino nelle esenzioni previste dall'art. 62 d.lgs. n. 507/1993”.
Ed ancora, la Cass. civ., Sez. V, 10/11/2017, n. 26637 attribuisce al magazzino una funzione operativa a carattere generico e, dunque, non rientrante nella previsione legislativa.
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Sommario
Non assoggettabilità degli stabilimenti industriali alla Tarsu alla luce del d.lgs. n. 116/2020
La ripartizione dell'onere della prova
Esenti dal pagamento della Tarsu i magazzini strettamente connessi al “ciclo produttivo”