La valutazione sulla flagranza
In realtà, il sistema ha già previsto ipotesi di arresto assimilabili a quella sopra indicata. Si pensi all'art. 8 l. n. 401/1989 (Effetti dell'arresto in flagranza durante o in occasione di manifestazioni sportive) per il quale al comma 1-ter «quando non è possibile procedere immediatamente all'arresto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica, si considera comunque in stato di flagranza ai sensi dell'articolo 382 del codice di procedura penale colui il quale, sulla base di documentazione video fotografica dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre che l'arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro le quarantotto ore dal fatto».
Arresto anche in assenza di flagranza o quasi flagranza è poi previsto, per il delitto di evasione di cui all'art. 385 c.p. dall'art. 3 l. n. 152/1991, per il quale «E' consentito l'arresto anche fuori dei casi di flagranza della persona che ha posto in essere una condotta punibile a norma dell'articolo 385 del codice penale. Nell'udienza di convalida il giudice, se ne ricorrono i presupposti, dispone l'applicazione di una delle misure coercitive previste dalla legge anche al di fuori dei limiti previsti dall'articolo 280 del codice di procedura penale».
L'accertamento del momento di consumazione dei reati di maltrattamenti e atti persecutori pone problemi interpretativi in relazione alla possibilità – prevista dalla legge – di procedere all'arresto in flagranza di reato. Come stabilito dall'art. 382 c.p. (Stato di flagranza) è in stato di flagranza chi «viene colto nell'atto di commettere il reato ovvero chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima. Nel reato permanente lo stato di flagranza dura fino a quando non è cessata la permanenza».
Nel procedere all'arresto in flagranza la polizia giudiziaria è tenuta ad accertare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni legittimanti la misura e, preliminarmente, sulla base dei criteri indicati dagli artt. 380 e 381 c.p.p., a verificare se trattasi di arresto obbligatorio o facoltativo. Nel caso di specie, ci troviamo a fronte di arresti facoltativi, per procedere ai quali non è sufficiente un semplice riscontro della situazione di fatto descritta dalla fattispecie, quanto- come previsto dall'art. 380, comma 4, c.p.p.- una valutazione sulla «gravità del fatto» ovvero sulla «pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto»,
Una valutazione non semplice, considerando che, per forza di cose, la flagranza o quasi flagranza non potrà che avere per oggetto in termini immediati la realizzazione di un condotta – non necessariamente tipica – funzionale alla realizzazione dell'evento.
Con riguardo agli atti persecutori, l'accertamento è relativamente semplice a fronte di una minaccia o comunque di una condotta assimilabile ad una minaccia; lo è meno per le molestie, indicate in termini ontologicamente generici ed atipici, interpretabili più in funzione delle conseguenze che possono determinare piuttosto che del loro intrinseco contenuto. La consegna di un mazzo di fiori è certamente condotta apparentemente atipica e apparentemente non espressiva della flagranza. E nondimeno come valutare una consegna che rappresenta, poniamo, il trentesimo episodio quotidiano di consegna o che avviene, poniamo ancora, in piena notte?
Quando il fatto può essere ritenuto grave o comunque espressivo della pericolosità del soggetto? Se è vero che la personalità del soggetto può essere valutata anche attraverso una lettura complessiva – per quanto approssimativa, stante l'urgenza di decidere – degli elementi storici o clinici a disposizione della polizia giudiziaria, quando una condotta quale quella sopra descritta assume una natura inequivocamente indicativa della pericolosità?
Inoltre, anche ammesso che si sia giunti- sulla strada o negli uffici ove la persona è stata condotta per accertamenti- a una valutazione corretta e completa sulla condotta, come potrà l'ufficiale di polizia giudiziaria verificare la sussistenza – almeno in termini di elevata verosimiglianza – di uno dei tre eventi tipici indicati dalla fattispecie? Il timore o il mutamento di abitudini di vita possono anche essere valutati – come spesso accade – attraverso una ricostruzione di fatti storici, ma come si può, in termini immediati, valutare uno stato di ansia o stress? Occorrerà procedere a una valutazione quantomeno minimale presso un Pronto Soccorso? Interpellare il medico curante della vittima?
Ancora: il singolo atto che potrebbe consentire l'arresto determina “flagranza” su una situazione ove uno di tali eventi si è già compiutamente verificato? Possiamo, almeno in quest'ottica, considerare il delitto in oggetto un reato permanente, con conseguente permanente flagranza, quantomeno ogni qual volta la vittima sia negativamente stimolata dalla condotta dell'aggressore?
Tale opzione ermeneutica risolverebbe, di certo, il problema della flagranza, ma potrebbe scontrarsi con una linea interpretativa portata ad individuare la permanenza penalmente rilevante non nella permanenza delle conseguenze del reato (anche laddove tali conseguenze possano essere reiteratamente rideterminate), quanto in uno stato di fatto la cui cessazione dipende in tutto e per tutto dalla volontà dell'agente (ad es. la liberazione del sequestrato in un sequestro di persona o la cessazione di uno scarico di acque reflue industriali non autorizzato). Nel caso di specie, al contrario, la permanenza parrebbe riguardare più l'evento in sé- ossia il manifestarsi ed il perdurare, ad esempio, della condizione di ansia o stress- rispetto all'incidenza di un ulteriore atto rispetto al manifestarsi o al permanere di tali condizioni.
Il problema, in realtà si pone, anche se in termini differenti, anche per il delitto di maltrattamenti. Dalla prassi giudiziaria è possibile trarre un'indicazione che può contribuire a chiarire il quadro delineato. Nel delitto di maltrattamenti l'arresto avviene in conseguenza di una singola condotta – generalmente del reato di lesioni volontarie – che determina l'intervento della polizia giudiziaria, esprime la flagranza e porta alla valutazione di un contesto storico nel quale l'ultimo episodio di violenza risulta collegato con fatti precedenti; nondimeno, si tratta di un reato per il quale il legislatore non ha specificamente inserito nella fattispecie eventi quelli che caratterizzano il delitto di cui all'art. 612-bis c.p., e che quindi resta, sotto questo aspetto, di più semplice accertamento.
La S.C. ha riconosciuto lo stato di flagranza del reato di maltrattamenti in famiglia allorché il singolo episodio lesivo non risulti isolato, ma si ponga inequivocabilmente in una situazione di continuità rispetto a comportamenti di reiterata sopraffazione direttamente percepiti dagli operanti; in particolare la flagranza può essere desunta della constatazione da parte delle forze dell'ordine delle condizioni dell'abitazione, delle modalità con le quali era stato richiesto l'intervento d'urgenza, delle condizioni soggettive della persona offesa, costretta a rifugiarsi presso una vicina per sottrarsi all'aggressione del figlio il quale, anche alla presenza degli agenti, non aveva esitato ad inveire contro la madre, ingiuriandola con epiteti vari (Cass. pen., sez. VI, 16 gennaio 2019, n. 7139, Rv. 275085). È stato ritenuto legittimo l'arresto in flagranza per il delitto di maltrattamenti qualora la polizia giudiziaria, dopo avere raccolto le dichiarazioni della persona offesa su comportamenti di reiterata sopraffazione, assista personalmente ad un singolo episodio che, pur non integrando autonoma ipotesi di reato, si pone inequivocabilmente in una situazione di continuità con le condotte denunziate dalla persona offesa medesima (Cass. pen., sez. VI, 9 maggio 2013, n. 34551, Rv. 256128).
A sua volta, la quasi flagranza del reato di maltrattamenti in famiglia sarebbe ravvisabili in base a una duplice condizione:
- il singolo episodio lesivo non deve essere isolato ma risultare quale ultimo anello di una catena di comportamenti violenti o in altro modo lesivi;
- l'episodio delittuoso deve essere avvenuto immediatamente prima e l'autore di esso si deve essere dato alla fuga ovvero deve essere stato sorpreso con cose o tracce dalle quali appare che egli abbia appena commesso il reato (Cass. pen., sez. VI, 14 ottobre 2014, n. 44090, Rv. 260718)
È stata, al contrario, esclusa la quasi flagranza in relazione a un arresto eseguito per fatti già avvenuti al momento dell'intervento della P.G. ed in presenza di un atteggiamento genericamente aggressivo dell'imputato, ma non connotato da minacce o ingiurie alla persona offesa, nonché nel caso di arresto avvenuto in esito a un incontro concordato telefonicamente con la P.G. procedente (Cass. pen., sez. VI, 3 aprile 2014, n. 21900, Rv. 259770)
Tornando al delitto di cui all'art. 612-bis c.p., dalla tematica delle lesioni da malattia professionale possiamo, al contrario trarre, un'altra specifica indicazione: anche se riteniamo che l'evento si sia già realizzato (così che, sotto tale aspetto, potrebbe porsi in termini problematici l'individuazione della flagranza) una successiva esposizione agli atti persecutori (così come una ulteriore esposizione ad una sostanza nociva) consente di ravvisare un' ulteriore flagranza, quantomeno in tutti in casi in cui la condotta ulteriore sia autonomamente idonea a determinare un aggravamento oggettivamente percepibile dell'evento verificatosi.
Per la S.C., è' consentito procedere per il delitto di atti persecutori, attesa la natura abituale del reato, anche quando il bagaglio conoscitivo del soggetto che procede all'arresto deriva da pregresse denunce della vittima, relative a fatti a cui non abbia assistito personalmente, purché egli assista ad una frazione dell'attività delittuosa, che, sommata a quella oggetto di denuncia, integri l'abitualità richiesta dalla norma, ovvero sorprenda il reo con cose o tracce indicative dell'avvenuta commissione del reato immediatamente prima (Cass. pen., sez. V, 16 aprile 2019, n. 19759, Rv. 277521; Cass. pen., sez. V, 3 dicembre 2018, n. 7915, Rv. 275627).
Questi – almeno in parte – i non semplici quesiti ai quali la polizia giudiziaria deve dare una risposta e conseguente contezza all'atto dell'arresto; in particolare, dovrà esporre gli elementi dai quali i predetti parametri sono stati desunti, così da consentire al giudice, in sede di convalida, di effettuare la verifica di legittimità. Il tutto secondo quanto si desume dal disposto degli artt. 389, comma 2 – che prevede la liberazione dell'arrestato quando risulta evidente che l'arresto è stato eseguito fuori dei casi previsti dalla legge – e 385 c.p.p. – che impone il divieto di arresto in presenza di determinate circostanze di non punibilità accertabili dalla stessa polizia giudiziari (Cass. pen., sez. VI, 4 giugno 1993, n. 1680, Rv. 195517).
Per altro, nel caso dell'ipotesi di cui al comma primo dell'art. 612-bis c.p. – ossia di un delitto perseguibile a querela, a differenza di quello di cui all'art. 572 c.p. – l'arresto in flagranza può essere eseguito se la querela viene proposta, anche con dichiarazione resa oralmente all'ufficiale o all'agente di polizia giudiziaria presente nel luogo. Se l'avente diritto dichiara di rimettere la querela, l'arrestato è posto immediatamente in libertà.