Suicidio assistito: ricorso di un paziente malato di SLA per ritenuta violazione del riconoscimento del diritto a morire in modo degno e libero

La Redazione
04 Dicembre 2023

Con una comunicazione di ricorso del 26 settembre 2023, la Corte EDU ha invitato l'Ungheria a presentare le sue osservazioni inerenti ad una causa che ha ad oggetto le denunce ai sensi della Convenzione EDU sollevate dal ricorrente, affetto da sclerosi laterale amiotrofica (SLA) – malattia che colpisce i motoneuroni – nel contesto del diritto ad una morte volontaria. Per il ricorrente, il divieto generale ed extraterritoriale che grava sul suicidio assistito in Ungheria viola gli artt. 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti), 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e/o 9 (libertà di pensiero, di coscienza e di religione), presi isolatamente e in combinato disposto con l'art. 14 della CEDU, ritenendo che l'impossibilità di decidere come morire è sproporzionata e che l'Ungheria è tenuta ad offrirgli la possibilità di porre fine alla sua vita come desidera e con dignità.

La Corte europea dei diritti dell'uomo, in data 26 settembre 2023, ha comunicato la causa n. 32312/23 al governo ungherese, che ha invitato a presentare le sue osservazioni sulla ricevibilità e merito di tale istanza. La causa riguarda le denunce ai sensi della Convenzione EDU sollevate dal ricorrente, affetto da sclerosi laterale amiotrofica (SLA) – malattia che colpisce i motoneuroni – nel contesto del diritto a una morte volontaria.

Infatti, in Ungheria, aiutare una persona a porre fine alla sua vita è un reato, anche quando è sana di mente ma ha una malattia degenerativa incurabile e non vuole più vivere. Nelle sue domande alle parti, la Corte ha chiesto in particolare se il quadro giuridico ungherese e il modo in cui funziona nella pratica siano compatibili con gli artt. 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti), 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e/o 9 (libertà di pensiero, di coscienza e di religione) della CEDU.

Il ricorrente è un cittadino ungherese che si trova in una fase avanzata della SLA, una malattia neurodegenerativa progressiva per la quale non è noto alcun trattamento e che causa la perdita graduale della funzione dei motoneuroni, e quindi del controllo volontario dei muscoli. Nella fase terminale, la maggior parte dei muscoli responsabili dei movimenti volontari sono paralizzati; la parola, la respirazione senza assistenza e la deglutizione diventa molto difficile e, alla fine, impossibile. Le capacità sensoriali e cognitive, invece, possono rimanere in gran parte intatte e i pazienti possono mantenere le loro funzioni cerebrali e la consapevolezza per tutta la durata della malattia.

È nel luglio 2021 che il ricorrente presenta i primi sintomi di SLA. Oggi non è più in grado di camminare o prendersi cura di sé stesso senza aiuto. Afferma che entro un anno sarà completamente paralizzato e non potrà più comunicare; dichiara che sarà «imprigionato nel proprio corpo, senza prospettiva di liberazione se non la morte» e che la sua esistenza sarà fatta quasi esclusivamente di dolori e di sofferenze.

Egli desidera, prima di ritrovarsi in uno stato che ritiene essere insopportabile, porre fine a questa fase della malattia, o almeno accorciarla, con una forma di morte assistita. Tuttavia, l'eutanasia e il suicidio assistito sono illegali in Ungheria.

Il ricorrente sostiene che, anche qualora dovesse morire per suicidio assistito o eutanasia al di fuori dell'Ungheria, si applicherebbe la pertinente disposizione del Codice penale e chiunque lo avesse aiutato a porre fine alla sua vita potrebbe essere oggetto di accuse penali in Ungheria. Egli afferma che l'assenza di qualsiasi prospettiva di poter porre fine ai suoi giorni come meglio crede ha un effetto dannoso sul suo stato mentale e sulla sua capacità di affrontare le difficoltà della malattia.

La sezione della Corte ha deciso di tenere un'udienza sulla ricevibilità e sul merito il 28 novembre 2023.

Invocando gli artt. 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti), 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e/o 9 (libertà di pensiero, di coscienza e di religione), presi isolatamente e in combinato disposto con l'art. 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, il ricorrente si lamenta di un divieto generale ed extraterritoriale che grava sul suicidio assistito. Egli sostiene infatti che l'impossibilità di decidere come morire è sproporzionata e che l'Ungheria è tenuta ad offrirgli la possibilità di porre fine alla sua vita come meglio crede e con dignità.

Invocando le stesse disposizioni in combinato disposto con l'art. 14 CEDU, lo stesso ritiene inoltre che la scelta di morire sia aperta a coloro che, per la natura della loro malattia, possono porre fine alla loro esistenza o abbreviarla rinunciando ad un trattamento di sopravvivenza, ma non a quelli che come lui non richiedono tale trattamento. Si ritiene pertanto vittima di discriminazione.