Contratto di appalto: nella fase esecutiva vale la regola generale sul riparto di giurisdizione tra G.A. e G.O., basata sul petitum sostanziale

07 Dicembre 2023

Nella fase esecutiva vale la regola generale sul riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario, basta sul petitum sostanziale, ovvero sull'intrinseca natura giuridica della posizione dedotta in giudizio. Il nomen iuris utilizzato dal legislatore (“risoluzione”) non è considerato di per sé dirimente ai fini dell'individuazione della giurisdizione, questo perché, persiste un interesse pubblico anche nella fase esecutiva del contratto.

Il caso

Il Tribunale è chiamato a valutare se sussista o meno il difetto di giurisdizione del TAR adito in favore di quello ordinario nell'ipotesi di impugnazione di una risoluzione disciplinata dall'art. 89, comma 9, d.lgs. n. 50/2016 e dunque qualificabile come una “risoluzione contrattuale” accertata in fase esecutiva.

In particolare, il Tribunale si interroga se nel caso in esame si tratti non della spendita di un potere pubblicistico, ma dell'esercizio di un diritto potestativo di risolvere il contratto spettante alla stazione (analogamente a quanto previsto dall'art. 108 d.lgs. n. 50/2016, di cui l'art. 89 rappresenterebbe un'ipotesi speciale) riservato alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario.

La soluzione

Il giudice di prime cure, dichiarando il proprio difetto di giurisdizione, sottolinea che nella materia degli appalti, diversamente dalle concessioni di pubblici servizi (art. 133, lett. c, d.lgs. n. 50/2016), la norma attributiva della giurisdizione esclusiva (art. 133, lett. e, d.lgs. n. 50/2016) è espressamente limitata alla procedura di affidamento ed alla eventuale dichiarazione di inefficacia del contratto. Nella fase esecutiva, continua il Tribunale, vale la regola generale sul riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario, basata sul petitum sostanziale, ovvero sull'intrinseca natura giuridica della posizione dedotta in giudizio (cfr. da ultimo Cons. Giust. Amm. n. 774/2022).

Il nomen iuris utilizzato dal legislatore (“risoluzione”) non è considerato di per sé dirimente dalla giurisprudenza prevalente ai fini dell'individuazione della giurisdizione, questo perché, come chiarito dall'Adunanza Plenaria nella sentenza n. 10/2020, persiste un interesse pubblico (e di conseguenza anche dei poteri per tutelarlo) anche nella fase esecutiva del contratto, tanto che vi sono casi di “risoluzione” da dover qualificare come ipotesi di “autotutela pubblicistica” (cfr. punto 13.6 ss. della decisione menzionata, in cui si fa riferimento all'art. 108, comma 1, d.lgs.  n. 50/2016, ovvero ai casi di risoluzione “facoltativa”, qualificati dall'Adunanza Plenaria come ipotesi di “autotutela pubblicistica”, nonché all'art. 108, comma 2, d.lgs. cit., vale a dire ai casi di “autotutela doverosa”, collegati, invece, al venir meno delle condizioni iniziali di partecipazione alla gara, come ad esempio laddove è stata prodotta dall'appaltatore della documentazione falsa o laddove sia intervenuto un provvedimento definitivo che dispone l'applicazione di misure di prevenzione di cui al codice antimafia).

Dunque, sottolinea il giudice di prime cure, pur di regola essendosi dinanzi ad atti paritetici nella fase di esecuzione, bisogna indagare sempre le ragioni che hanno causato la risoluzione.

Nella specie, il TAR osserva che la disciplina dettata dall'art. 89, comma 9, d.lgs. n. 50/2016 rientra tra i casi di “risoluzione di natura privatistica” ammessi dal Codice dei contratti pubblici, oltre a quelli disciplinati in via generale dal Codice civile, in particolare per gravi inadempimenti da parte dell'appaltatore, tali da compromettere la buona riuscita delle prestazioni, accertati dal direttore dei lavori o dal responsabile dell'esecuzione del contratto.

Si veda sotto questo profilo l'art. 108, comma 3, d.lgs. n. 50/2016, che si occupa proprio di un'ipotesi analoga a quella prevista dall'art. 89, comma 9 cit. (che, pertanto, deve essere considerata come un'ipotesi speciale) e alla quale l'Adunanza Plenaria, nella decisione segnalata, attribuisce natura privatistica («Vi sono poi specifiche ipotesi di risoluzione di natura privatistica ammesse dal Codice dei contratti pubblici, oltre a quelle previste in via generale dal codice civile, per gravi inadempimenti da parte dell'appaltatore, tali da compromettere la buona riuscita delle prestazioni, accertate dal direttore dei lavori o dal responsabile dell'esecuzione del contratto, se nominato; art. 108, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016»).

In conclusione

Il Collegio nel fare applicazione dei suesposti principi conclude ritenendo che la Stazione Appaltante nel caso in esame, non ha risolto il contratto né revocato l'aggiudicazione per difetto originario dei presupposti dell'avvalimento, ma perché non ha ritenuto rispettato quanto previsto dal contratto di avvalimento. Quindi, è evidente come la società ricorrente abbia chiesto l'annullamento di un atto negoziale che insiste nella fase di esecuzione del contratto, non riconducibile all'espressione di alcun potere autoritativo.

La controversia, pertanto, riguarda diritti e non interessi legittimi, con la conseguenza che deve essere devoluta alla giurisdizione ordinaria.

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