La mancanza della firma digitale è causa di inammissibilità soltanto se previsto dalla legge

11 Dicembre 2023

La questione oggetto del ricorso è incentrata su due temi: il primo riguarda la necessità di interpretare restrittivamente le norme che prevedono sanzioni processuali. Il secondo, invece, attiene alla funzione della PEC, la quale, comunque, dimostra inequivocabilmente la provenienza dell'atto.

Massima

Le cause di inammissibilità, al pari di quelle di nullità, sono tassative. Ne discende che, se la legge non prevede espressamente la carenza di firma digitale come foriera della inammissibilità dell'atto, quest'ultimo deve ritenersi validamente formato anche in assenza della prima.

Il caso

La Corte di appello leccese riformava in punto di pena una sentenza emessa dal tribunale di Taranto con la quale un uomo veniva condannato per evasione. Il difensore ricorreva per cassazione, lamentando la violazione delle norme che garantiscono l'intervento e la rappresentanza dell'imputato in udienza, poichè il presidente della corte di appello aveva dichiarato inammissibile la richiesta di partecipazione del primo all'udienza, inviata dal difensore a mezzo PEC senza apporre la sottoscrizione digitale nel documento allegato.

La questione

La questione oggetto del ricorso è incentrata su due temi: il primo riguarda la necessità di interpretare restrittivamente le norme che prevedono sanzioni processuali. Il secondo, invece, attiene alla funzione della PEC, la quale, comunque, dimostra inequivocabilmente la provenienza dell'atto.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, nell'accogliere le doglianze spiegate con il ricorso, ha innanzitutto ricordato che le cause di invalidità processuale sono tassative. Questo principio non vale soltanto per le nullità, ma si estende anche alle altre fonti patologiche, tra le quali va annoverata certamente anche la inammissibilità.

Quest'ultima, quindi, non può essere comminata se non nei casi espressamente previsti dalla legge processuale, che sul punto non può interpretarsi estensivamente. Orbene, nel caso che ci occupa gli Ermellini hanno fondato il loro giudizio sulla lettura delle norme contenute nel d.l. n. 137/2020 (c.d. Decreto Ristori), ad avviso del quale la sanzione della inammissibilità è prevista soltanto nel caso in cui un atto di impugnazione sia privo di sottoscrizione digitale.

La premessa costituita dal richiamo normativo appena indicato, da individuarsi nell'art. 24, comma 6-sexies, d.l. n. 137/2020, è uno snodo fondamentale nel ragionamento della Corte. La norma richiamata, infatti, fa discendere la sanzione processuale della inammissibilità soltanto dalla carenza della firma digitale negli atti di impugnazione.

Per tutti gli altri atti processuali diversi da quelli che occorre necessariamente caricare nel PDP, invece, il complesso delle norme contenute nel Decreto c.d. Ristori prevede unicamente la possibilità di inviarli a mezzo posta elettronica certificata, nulla dicendo sulla necessità che essi siano digitalmente sottoscritti dal loro autore. Da questo presupposto deriva la conclusione secondo cui la richiesta di partecipazione all'udienza alla quale non sia apposta la sottoscrizione digitale e inviata a mezzo PEC non è da considerarsi inammissibile.

In ultimo, i giudici di legittimità hanno comunque ricordato che l'invio del documento a mezzo PEC, comunque, assolve alla funzione di rendere certa la provenienza dell'atto così inoltrato. Nel caso di specie, ciò consentiva di concludere nel senso di ritenere del tutto superflua la presenza della firma digitale nella richiesta di partecipazione all'udienza, poiché l'invio di quest'ultima mediante posta elettronica certificata, comunque, costituiva una inequivoca e certa manifestazione di volontà.

La soluzione proposta dalla Suprema Corte, si dimostra perfettamente in linea con altre precedenti decisioni sull'argomento in esame, nelle quali si ripercorre il medesimo percorso argomentativo: quando la legge processuale tace in ordine alla necessità della firma digitale, l'atto non può ritenersi viziato laddove essa risulti mancante.

Osservazioni

Apprezzabile l'intervento nomofilattico che vi abbiamo proposto: la cassazione ha esplicitamente bandito ogni approccio formalistico al problema della sottoscrizione digitale per valorizzare, invece, la coerenza interna del sistema processuale. Le cause di inammissibilità, dalle quali promanano esiziali effetti sulla validità degli atti che ne sono affetti, non possono interpretarsi estensivamente. In un contesto nel quale l'apporto tecnologico ha senza dubbio ampliato le occasioni in cui possono ravvisarsi imperfezioni nel confezionamento degli atti processuali, l'intervento chiarificatore che è contenuto nella decisione in commento si connota come un importante caposaldo ermeneutico.

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