Sfruttamento del lavoro, amministrazione giudiziaria e modello 231: quali le sfide poste dalla giurisprudenza di merito?
Ferdinando Brizzi
27 Dicembre 2023
L'inclusione del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, di cui all'art. 603-bis c.p. tra quelli legittimanti l'applicazione della misura patrimoniale non ablativa di cui all'art. 34 del d.lgs. 159/2011, ha dato luogo ad una stimolante giurisprudenza di merito, in particolare proveniente dal foro ambrosiano e concernente imprese di grandi dimensioni, spesso svincolata dallo stretto dato normativo e volta a consentire il recupero della legalità anche mediante l'adozione di congrui modelli ai sensi del d.lgs. 231/2001, che potrebbero, però, risultare di dubbia applicabilità alle cd. PMI.
Cenni sull'amministrazione giudiziaria
L'amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende viene disposta dal tribunale quando, a seguito degli accertamenti patrimoniali di cui all'art. 19 d.lgs. n. 159/2011, o di altri accertamenti compiuti per verificare i pericoli di infiltrazione mafiosa, sussistono sufficienti indizi per ritenere che il libero esercizio di determinate attività economiche, comprese quelle di carattere imprenditoriale, sia direttamente o indirettamente sottoposto alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento previste dall'articolo 416-bis del codice penale o possa comunque agevolare l'attività di persone nei confronti delle quali è stata proposta o applicata una delle misure di prevenzione personale o patrimoniale […], ovvero di persone sottoposte a procedimento penale per taluno dei delitti di cui all'articolo 4, comma 1, lettere a), b) e i-bis) […], ovvero per i delitti di cui agli articoli 603-bis, 629,644,648-bis e 648-ter del codice penale.
Il presupposto fondamentale attorno al quale ruota l'intervento del tribunale consiste, dunque, nel riscontro dell'agevolazione, stabile e duratura, delle attività delle persone proposte per l'applicazione di una misura di prevenzione ovvero sottoposte a procedimento penale per talune fattispecie incriminatrici tendenzialmente significative.
Nella sua prima formulazione, all'amministrazione giudiziaria si riconoscevano finalità meramente cautelari, prodromiche alla esecuzione della successiva confisca di prevenzione. Oggi, invece, grazie all'affinamento legislativo e all'avanzamento della prassi, la misura ha conquistato una nuova caratterizzazione e autonomia, in quanto mira all'anticipazione, nella forma della reiterazione, degli illeciti, impedendo che il proseguimento dell'attività d'impresa, pur contaminata, concretizzi nuovi vantaggi per i soggetti indiziati dei reati spia elencati nella norma.
Ciò avviene per l'intervento nell'attività gestoria di uno o più amministratori giudiziari, scelti tra gli iscritti nella sezione di esperti in gestione aziendale dell'Albo nazionale, i quali esercitano le facoltà spettanti ai titolari dei diritti sui beni e sulle aziende oggetto della misura ovvero agli organi sociali, secondo le modalità stabilite dal tribunale per mezzo del giudice delegato.
Nel corso della procedura, orientata alle esigenze di prosecuzione dell'attività d'impresa (art. 34, comma 3), l'amministratore «ha il compito di provvedere alla gestione, alla custodia e alla conservazione dei beni sequestrati […] al fine di incrementare, se possibile, la redditività dei beni medesimi» (art. 35, comma 5), fino all'esito restitutorio o di confisca e destinazione.
Non mancano – come segnalato dalla dottrina – problemi di indeterminatezza applicativa della misura, soprattutto in relazione alla nozione di agevolazione, ispirata al modello di accertamento indiziario del procedimento prevenzionale. D'altra parte, l'istituto si caratterizza per flessibilità e mitezza rispetto alle opzioni ablatorie tradizionali, in quanto animato da finalità essenzialmente “terapeutiche”.
I soggetti destinatari “subiscono” l'intromissione dello Stato, nella persona dell'amministratore e del giudice delegato per la procedura, nella gestione dell'impresa solo per il tempo necessario a neutralizzare l'infiltrazione, secondo criteri e modalità di frazionabilità dell'intervento. La minore invasività della misura si apprezza, inoltre, nelle ipotesi di amministrazione “mite”, in seno alle quali è previsto il coinvolgimento dei soggetti dell'organizzazione estranei alle vicende di infiltrazione nel controllo della gestione aziendale, attuando «una prevenzione tecnico-organizzativa, fattuale», essenzialmente preordinata a interrompere l'agevolazione e recidere ogni collegamento con le organizzazioni criminali.
La giurisprudenza ambrosiana: dalla vicenda Uber al caso Esselunga
L'art. 603-bis, c.p. è stato ricompreso nel catalogo dei reati presupposto che possono determinare la responsabilità dell'ente ai sensi del D.lgs. 231/2001.
Tale inserimento ha imposto alle impresel'adozione di un sistema di organizzazione prevenzionale interno, finalizzato a contrastare il rischio di condotte di sfruttamento e di approfittamento delle prestazioni lavorative, realizzate (anche) nell'interesse o a vantaggio dell'ente. Tale rischio è correlabile trasversalmente a qualsiasi ente, a prescindere dal settore produttivo di operatività, che impieghi lavoratori in condizioni di sfruttamento, ovvero conferisca in appalto servizi ad imprese fornitrici senza aver attuato adeguate cautele. La creazione di un sistema prevenzionale interno è destinata a porsi come necessaria condizione per le imprese che intendano connotare in senso etico le proprie relazioni interne e svolgere secondo modelli di legalità l'attività produttiva cui vengono preposte.
È da diverso tempo, invero, che il Tribunale di Milano Sezione Autonoma Misure di Prevenzione – da sempre impegnato nel contrasto alla criminalità organizzata e abituato a confrontarsi con soggetti economici di grandi dimensioni, nazionali e multinazionali, a capitale privato e misto – ha realizzato un grande progetto riuscendo a riportare realtà societarie nell'alveo della legalità attraverso gli strumenti offerti dalla legislazione in materia di responsabilità amministrativa degli enti. In questa straordinaria lungimiranza deve individuarsi la capacità di “vedere le cose” oltre il rigido paradigma della loro natura dimostrata dal Tribunale di Milano, che, non senza esporsi a critiche feroci da parte dei più rigorosi operatori del diritto, è riuscito a sostenere un'idea innovativa che ha consentito di ottenere un risultato socio-economico positivo in sostituzione del prevedibile risultato disastroso da annettersi ad iniziative di tipo “repressivo”.
Il Tribunale di Milano, Sezione misure di prevenzione, ha dimostrato una grande duttilità nell'impiego di tale istituto con specifico riferimento a significative compagini societarie di dimensione nazionale coinvolte in vicende di sfruttamento dei lavoratori, utilizzando quale strumento di emenda e bonifica di impresa il cd. modello 231.
Eppure, nessun richiamo diretto al Modello organizzativo exd.lgs. 231/2001 è contenuto nell'art. 34 d.lgs. 159/2011: invece è il comma 3 art. 34-bis, d.lgs. 159/2011, con riferimento al cd. controllo giudiziario “volontario” a prevedere che con il provvedimento di cui alla lettera b) del comma 2, il Tribunale stabilisca i compiti dell'amministratore giudiziario finalizzati alle attività di controllo e possa imporre l'obbligo: «d) di adottare ed efficacemente attuare misure organizzative, anche ai sensi degli articoli 6,7 e 24-ter del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni». Malgrado l'omesso coordinamento tra le misure di prevenzione, disciplinate rispettivamente dagli artt. 34 e 34-bis C.A., ed il sistema 231, interpretato in funzione sia preventiva che di bonifica postuma – si è ormai consolidata nella giurisprudenza di merito la tendenza a piegare l'assetto organizzativo ridisegnato con il Modello di organizzazione, gestione e controllo a finalità ulteriori per il risanamento aziendale.
Nondimeno, il Tribunale di Milano, ha anche esteso l'istituto del contraddittorio anticipato previsto dalla novella legislativa di cui al decreto-legge n. 152/2021, convertito dalla legge n.233/2021, in riferimento all'emissione dell'interdittiva antimafia anche alla fase prodromica all'adozione dell'amministrazione giudiziaria.
Questo percorso evolutivo prende avvio dalla vicenda Uber e si snoda poi attraverso ulteriori provvedimenti del medesimo tenore fino al ben più recente provvedimento emesso nel caso Esselunga.
La vicenda Uber
Molti commentatori hanno dato ampio risalto ad un provvedimento del Tribunale di Milano, Sezione Misure di Prevenzione, Trib. Milano, Sez. mis. prev., decreto 28 maggio 2020, n. 9, Pres. Roia, Uber Italy s.r.l., con cui è stata disposta l'amministrazione giudiziaria ai sensi dell'art. 34 del d.lgs. 159/2011 (c.d. Codice Antimafia) nei confronti della nota azienda attiva nel food delivery per le condizioni di sfruttamento dei c.d. rider ingaggiati per la consegna di cibo a domicilio. Il provvedimento si rivela di notevole interesse in quanto s'inscrive in quella scia di atti giudiziari che hanno saputo “combinare” la doverosa attività di contrasto alle forme illecite di attività d'impresa con l'altrettanto necessaria tensione alla prosecuzione dell'attività d'impresa.
L'attenzione del legislatore alla salvaguardia dell'attività aziendale trova conferma proprio nell'inserimento dell'art. 603-bis c.p. nel catalogo dei reati suscettibili di attivazione della misura di prevenzione dell'amministrazione giudiziaria di cui all'art. 34 d.lgs. 159/2011.
Per certi versi la misura adottata potrebbe apparire simile a quella prevista dall'art. 3 l. 199/2016: laddove ricorrano le esigenze cautelari di cui al comma 1 dell'art. 321 c.p.p., ai sensi dell'art. 3 della l. 199/2016, il giudice penale, anche nel caso in cui sussistano i requisiti per il sequestro preventivo, può disporre il controllo giudiziario dell'azienda provvedendo alla nomina di un amministratore giudiziario con il compito di affiancare l'imprenditore e di riferire periodicamente alla stessa autorità giudiziaria circa lo svolgimento degli atti di amministrazione utili all'impresa o circa la sopravvenienza di ogni irregolarità sorte nell'andamento dell'attività d'azienda. Compito precipuo dell'amministratore sarà quello di evitare il protrarsi delle condizioni di sfruttamento dei lavoratori, regolarizzare i loro contratti e, più in generale, apportare le necessarie modifiche all'indirizzo operativo dell'azienda.
La norma da ultimo indicata ha trovato applicazione in un caso in cui, a seguito di accertamenti effettuati sugli orari di lavoro e sulle retribuzioni riscosse dai dipendenti, sono emerse situazioni di sfruttamento, «i cui indici di rilevazione attengono ad una condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione del lavoratore, resa manifesta da profili contrattuali e da alcuni profili normativi del rapporto di lavoro, o da violazione delle norme in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro, o da sottoposizione a umilianti e degradanti condizioni di lavoro e di alloggio (Trib. Della Spezia, Ufficio del giudice per le indagini preliminari, decr. 2 novembre 2020).
Nel caso di Uber l'opzione seguita si discosta da questo modello legislativo, essendo stata seguita la via dell'amministrazione giudiziaria disposta in sede di prevenzione: come noto, essa prevede la nomina di un amministratore giudiziario con conseguente parziale spossessamento gestorio (a differenza dello strumento del controllo giudiziario che prevede l'affiancamento dell'amministratore all'imprenditore) e si basa sul presupposto che l'attività economica o l'azienda abbia agevolato persone indiziate di aver commesso il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Coerentemente con la funzione specifica di prevenzione, appunto, di tale misura, essa non presuppone la formale contestazione al destinatario, soggetto terzo e diverso dall'indagato, del reato di “caporalato”, essendo sufficienti meri “indizi o sospetti” di una sua condotta agevolativa posta in essere a beneficio degli indiziati del reato. Con tale misura il Tribunale di Milano, sezione Misure di prevenzione, ha fornito specifiche indicazioni per l'amministrazione giudiziaria, finalizzata «ad analizzare ed eventualmente rimodulare, in un'ottica primaria di salvaguardia dell'occupazione a tutti i livelli, gli accordi contrattuali in essere con la rete delle cooperative aventi ad oggetto la prestazione di manodopera nel sito oggetto di indagine con altre società».
Così l'Autorità Giudiziaria ha, di fatto, colpito la multinazionale proprio nel suo ruolo di “utilizzatore finale” della forza lavoro sfruttata e, quantomeno sulla scorta degli elementi a disposizione del Tribunale, soggetto agevolatore dell'attività di “caporalato”.
È interessante notare, peraltro, come nel disporre la misura il Tribunale di Milano abbia scelto di non attribuire al “commissario” il compito (e i poteri) di sostituirsi in toto all'organo gestorio, soluzione ritenuta non appropriata al caso di specie anche in considerazione delle specifiche competenze necessarie a garantire l'efficace proseguimento dell'attività.
Un ruolo centrale, invece, è stato attribuito alla necessità di verificare l'esistenza e l'adeguatezza di un Modello organizzativo exd.lgs. 231/2001, compito del quale l'Amministratore Giudiziario è stato espressamente chiamato a farsi carico.
Il rinvio al d.lgs. 231/2001 contenuto nel decreto ambrosiano è coerente con il suo impianto motivazionale e con i tratti della vicenda ivi ricostruiti. In particolare, si pensi a come l'elemento dell'omesso controllo, ipotizzato in capo a Uber Italy S.r.l. dei dipendenti della galassia Uber incaricati della gestione della “flotta” dei riders, possa porsi proprio quale indice di quelle gravi deficienze organizzative che l'adozione e l'efficace attuazione di un Modello organizzativo ex d.lgs. 231/2001 avrebbe potuto e dovuto intercettare e sopperire.
Tale “percorso” si è completato con il successivo decreto 3 marzo 2021 dello stesso Tribunale, con cui è stata revocata la misura di prevenzione dell'amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende applicata a Uber Italy SRL., sulla base della seguente motivazione: «gli elementi probatori analizzati evidenziano dunque come l'applicazione della misura dell'amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche, adottata in questa vicenda con modalità di affiancamento all'attività tipica di impresa e senza assunzione di responsabilità gestoria da parte del Tribunale, abbia determinato concreti effetti sul piano di una consistente bonifica aziendale di Uber Italy Srl e della cessionaria Uber Eats Italy Srl che può presentarsi sul mercato del food delivery, mercato caratterizzato ancora da zone di vasta irregolarità, con un nuovo modello di gestione e organizzativo univocamente orientato a favorire situazioni di trasparenza e legalità nei rapporti negoziali e nella somministrazione dei servizi di food delivery, avendo svolto in tale prospettiva uno sforzo di programmazione ed economico di primaria rilevanza». La società ha osservato e progressivamente attuato l'imponente programma prescrizionale elaborato dall'ufficio dell'amministratore giudiziario.
Un piano di compliance 231 che ha inciso sull'assetto organizzativo della società, anche attraverso l'istituzione di un Compliance Champion, deputato ad assicurare, insieme all'organismo di vigilanza, l'effettiva attuazione del Modello organizzativo 231 ed il rispetto delle politiche e delle procedure interne da parte dei dipendenti, dei corrieri e di tutti i soggetti coinvolti nelle attività aziendali.
Una ulteriore applicazione
Che il provvedimento UBER non sia un caso isolato lo dimostra un successivo decreto del medesimo Tribunale: si fa riferimento al decreto 6 ottobre 2021 con cui il Tribunale di Milano (sez. misure di prevenzione) – nell'ambito di un procedimento penale avente ad oggetto, tra gli altri, anche il reato di cui all'art. 603-bis c.p.– ha nuovamente disposto la misura della Amministrazione Giudiziaria, ex art. 34 d.lgs. 159/2011, nei confronti di una società operante nel commercio all'ingrosso di frutta e ortaggi freschi. La finalità dell'istituto dell'amministrazione giudiziaria – ha ricordato il Tribunale – «non è, tanto repressiva, quanto preventiva, volta, cioè, non a punire l'imprenditore che sia intraneo all'associazione criminale, quanto a contrastare la contaminazione antigiuridica di imprese sane, sottoponendole a controllo giudiziario con la finalità di sottrarle, il più rapidamente possibile, all'infiltrazione criminale e restituirle al libero mercato una volta depurate dagli elementi inquinanti». Dopo aver richiamato i precedenti provvedimenti emessi dallo stesso Tribunale, si è osservato che, «qualora la società abbia effettivamente l'obiettivo di perseguire un risanamento a prescindere dall'analisi di comportamenti di singoli che non invadano ovviamente la sfera dell'illecito penale, si dovrebbe creare una nuova finalità imprenditoriale comune caratterizzata da una costruzione, condivisa con l'organo tecnico del Tribunale e cioè con l'Amministratore Giudiziario, di modelli virtuosi ed efficaci che impediscano nuove infiltrazioni illegali attraverso la creazione di rapporti di lavoro con soggetti che operino nel mondo articolato dell'illecito strutturato criminale e che quindi costruiscano provviste destinate, anche in parte, a sodalizi mafiosi». In altri termini, «l'imprenditorialità privata deve capitalizzare l'intervento del Tribunale, che può ovviamente apparire invasivo e comunque compressivo di un diritto di impresa costituzionalmente protetto, per ridisegnare tutti gli strumenti di governance aziendale per evitare futuri incidenti di commistione attraverso la realizzazione di condotte, anche dei singoli, che non possano essere censurate su un piano della negligenza o dell'imperizia professionale». Di particolare rilievo quanto si legge nel decreto: l'intervento ablativo iniziale deve di conseguenza essere modulato in modo tale da consentire un penetrante ed effettivo controllo da parte del tribunale sugli organi gestori anche in sostituzione dei diritto spettanti al socio proprietario ma lasciando il normale esercizio dell'attività d'impresa in capo agli attuali organi di amministrazione societaria, dovendo in particolare l'intervento concentrarsi sulla verifica dei rapporti contrattuali in essere…sull'esistenza di un modello 231 aggiornato anche con il delitto exart. 603-bis c.p., sulla attività svolta dagli organi di controllo interni della società, sulla creazione di un assetto societario che possa impedire nuovi fenomeni di caporalato…
Le vicende BRT e GEODIS
Per il Tribunale di Milano, quindi, il modello 231 risulta uno degli strumenti imprescindibili per realizzare gli obiettivi di bonifica aziendale: ciò risulta testimoniato, da ultimo dai casi BRT (Tribunale di Milano, Sezione Autonoma Misure di Prevenzione, N. 15/23 M.P. 23 marzo 2023) e GEODIS (Tribunale di Milano Sezione Autonoma Misure di Prevenzione, 23 marzo 2023, Proc. 11/23 M.P.) che hanno applicato l'amministrazione giudiziaria ai sensi dell'art. 34 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 a due note imprese operanti nel settore della logistica per aver agevolato la commissione da parte dei propri fornitori di manodopera di fatti penalmente rilevanti ex artt. 603-bis, 648-bis e 648-ter c.p.
Con specifico riferimento alla misura applicata a BRT S.p.A., il Tribunale ha avuto cura di specificare che l'intervento dell'amministratore giudiziario si deve sostanziare in plurime e diverse attività, e in particolare nell'affiancamento della società nella bonifica dei settori societari inquinati, estendendo l'osservazione a tutti i siti lavorativi per verificare se esistano altre forme di sfruttamento di manodopera e di “transumanza” dei lavoratori; nell'assunzione di informazioni necessarie ai fini di un'eventuale estensione del perimetro di azione dell'amministrazione giudiziaria; e nello svolgimento di una funzione di temporaneo «”tutoraggio” del consiglio di amministrazione della società, volta ad assicurare la piena efficacia e l'implementazione delle eventuali modifiche al modello di organizzazione, gestione e controllo previsto dal d.lgs. n. 231/2001 nello specifico settore di intervento della misura».
Quanto alla misura applicata a GEODIS, il Tribunale ha puntualizzato che l'intervento dovrà dunque concentrarsi:
sulla verifica e alla implementazione del modello organizzativo in atto exd.lgs. 231/2001 e sulla sua idoneità a prevenire il coinvolgimento da parte della società in ulteriori attività illecite in particolar modo cli natura tributaria o attinenti a delitti di riciclaggio e reimpiego di capitali; detta attività dovrà avvenire analizzando e intervenendo sulla mappatura delle aree aziendali a rischio, sui protocolli e i sistemi di controllo interno, sulle procedure che regolano i criteri cli scelta dei fornitori, i sistemi cli acquisto, i movimenti finanziari e la gestione commerciale.
Ed ancora si legge nel provvedimento che:
L'amministrazione perseguirà, altresì, l'ulteriore obiettivo di instaurare maggiore trasparenza e più pregnanti controlli in tutte le procedure di scelta dei contraenti e di gestione commerciale; dovrà, infine, essere diretta a verificare l'idoneità del modello organizzativo previsto dal d.lgs. 231/2001, del connesso sistema di controlli interni e di governance societaria al fine di prevenire disfunzioni di illegalità aziendale come quelle accertate. La analisi dei rapporti contrattuali andrà svolta di intesa con gli amministratori della società ben potendo il Tribunale, in caso contrario e in ipotesi di omessa collaborazione da parte degli organi sociali, espandere l'intervento in una dimensione ablativa fino al totale impossessamento della compagine societaria ovvero di singoli settori organizzativi.
Dai provvedimenti emerge dunque l'opportunità di adottare, nella strategia di contrasto, un approccio bifocale, che tenga conto, oltre che della necessità di repressione della criminalità, anche delle esigenze di salvaguardia della continuità aziendale e dell'occupazione. In questa prospettiva si comprende – passando ad un secondo profilo di pregio dei provvedimenti in commento – l'importanza della lettura evolutiva data alla misura dell'amministrazione giudiziaria da parte del Tribunale di Milano: oltre che sul piano della ricostruzione della natura dello strumento in parola in chiave di «moderna messa alla prova aziendale […] finalizzata ad affrancare l'impresa da relazioni (interne ed esterne) patologiche», l'approccio della magistratura lombarda si lascia apprezzare anche sul terreno della concreta sagomatura delle modalità applicative, imperniata, fra l'altro, sull'adozione di un efficace modello di organizzazione, gestione e controllo ex art. 6 .d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
Il caso Esselunga
Tale giurisprudenza indubbiamente evolutiva ha visto, per ora, il suo punto di approdo in Tribunale di Milano, Sezione Misure di Prevenzione, decreto 25 luglio 2023, Presidente dott. Fabio Roia, con riferimento al recente caso Esselunga, con cui, a fronte della «fattiva attivazione da parte della società e al fine di incentivare ogni opportuna collaborazione», ha deciso – in via eccezionale – di avviare un «contraddittorio partecipato con la società», rinviando la decisione sulla richiesta all'esito della attività di risanamento aziendale.
Nel provvedimento si osserva come, in presenza di una immediata risposta sul piano della volontà di rilegalizzazione dell'azienda, l'applicazione di una misura ex art. 34 Cod. Ant. «svolgerebbe nei confronti della società oggetto di richiesta soltanto un'efficacia afflittiva-sanzionatoria e non già, almeno fino all'esito delle verifiche delle azioni di (ri)legalizzazione poste in essere, quella funzione tipica di tali istituti, che partono da una valutazione di censura nell'organizzazione societaria e che trovano nell'intervento del Tribunale della prevenzione un necessario momento di riqualificazione orientata alla prevenzione di eventi criminosi accertati al momento dell'adozione della misura medesima».
La vicenda trae origine dalla richiesta di applicazione della misura di cui all'art. 34 d.lgs. 159/2011 avanzata dal Pubblico Ministero del capoluogo lombardo a carico di una società per azioni per la ricorrenza di due circostanze: l'essersi avvalsa di altra società a sua volta sottoposta a controllo giudiziario perché tacciata di caporalato e di essersi rivolta a serbatoi di personale contiguo alla criminalità organizzata.
Nel quadro descritto, si inseriva poi la richiesta di sequestro preventivo emessa a carico della stessa società per presunti illeciti tributari di rilevanza penale.
Ebbene, lo stesso Pubblico Ministero, dopo aver avanzato la citata richiesta, ha provveduto a depositare una nota con allegazione degli elementi forniti dai difensori della società che attestavano una fattiva collaborazione della stessa con cui ha richiesto al Tribunale di instaurare un contraddittorio anticipato con l'impresa. Tanto “in un'ottica di favor rei e di garanzia” prima di emettere la misura “al fine di monitorare i progressi in un'ottica di legalizzazione”.
Il Tribunale di Milano, dunque, ha deciso di estendere l'istituto del contraddittorio anticipato previsto dalla novella legislativa di cui al decreto-legge n. 152/2021, convertito dalla legge n. 233/2021, all'emissione dell'interdittiva antimafia anche al caso di specie, stante l'assenza di un “fondamento normativo specifico applicabile alle misure di prevenzione giurisdizionali ex art. 34 e 34-bis”. A maggior ragione, infatti, nei casi in cui il P.M. agisca sia sul fronte della prevenzione che su quello penale - come il caso di specie - andrebbe valorizzata la volontà di rilegalizzazione dell'impresa estrinsecata anche in un programma di rafforzamento delle strutture organizzative.
Il Tribunale precisa, inoltre, che ove non si consentisse tale possibilità e non si attendesse l'esito della stessa, l'applicazione della misura di cui all'art. 34-bis avrebbe un'efficacia afflittivo-sanzionatoria e non preventiva, essendo già stato anticipato il programma prescrizionale di recupero.
L'applicazione dell'istituto del contraddittorio anticipato previsto dal novellato art. 92 per le interdittive antimafia anche alla procedura di emissione delle misure di cui agli artt. 34 e 34 bis, appare percorso in via analogica in bonam partem. Tanto poiché, come sostenuto dal provvedimento in esame, non consentire all'impresa di partecipare la Procura ed il Tribunale del programma di rilegalizzazione già predisposto e avviato, svilirebbe la ratio della misura di prevenzione stessa e la sua finalità tipicamente preventiva e, ad oggi, non sanzionatoria.
Il differimento della decisione sull'applicazione della misura, dunque, operato dal giudice della prevenzione appare favorevole all'ottica di recupero della legalizzazione e di favore verso la continuità d'impresa che costituivano la vocazione delle misure a carattere rimediale inserite nel codice antimafia.
In conclusione
La totalità degli interventi giurisprudenziali sopra rappresentati han riguardato fatti di sfruttamento del lavoro posti in essere da entità societarie di primario rilievo non solo nazionale, senza dubbio in grado, da un punto di vista economico, di attuare le condotte riparatorie richieste dall'intervento giudiziario, anche sfruttando le potenzialità insite nell'adozione di un congruo modello 231.
Resta da chiedersi, però, se questo schema può essere replicato con le cd. Piccole e Medie Imprese (PMI), dotate di minore consistenza economica e che ben difficilmente potrebbero far coesistere i modelli di bonifica con i rigidi parametri imposti dal novellato art. 2086 cc.: L'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché' di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.
Tale previsione va, per altro, integrata con quanto previsto dall'art. 18 comma 3 Decreto legislativo del 12 gennaio 2019, n. 14 come modificato dal decreto legislativo 17 giugno 2022, n. 83 ai sensi del quale: Sono esclusi dalle misure protettive che possono essere richieste dall'imprenditore a tutela del patrimonio i diritti di credito dei lavoratori.
Ed ancora non può sottacersi l'impatto del combinato disposto degli artt. 108 comma 9 e 110 comma 5 lett. d) d.lgs. n. 36/2023, in forza del quale, al pari di quanto stabilivano gli artt. 95, comma 10, e 97, comma 5, lett. d) del d.lgs. n. 50/2016, prima dell'aggiudicazione le stazioni appaltanti devono verificare che il costo del personale non sia inferiore ai minimi salariali retributivi.
Lo sforzo dunque richiesto ai professionisti che predispongono i modelli 231, nonché agli OdV chiamati a vigilare sul rispetto di essi, consiste nel saper coniugare la tendenza evolutiva in essere presso la giurisprudenza di merito con un quadro normativo in continua evoluzione: diversamente, il rischio che si corre per le realtà societarie meno capitalizzate è che i costi della legalizzazione possano imporre scelte difficilmente compatibili proprio con la continuità aziendale.
Quindi la vera sfida consiste proprio nel verificare la possibile coesistenza tra i modelli di bonifica individuati dal Tribunale di Milano con realtà di impresa non in grado economicamente di far fronte alle spese che questi modelli impongono: se questa sfida non venisse colta si determinerebbe un inedito “doppio binario” in grado di porre fine alla vita della maggior parte delle PMI italiane.
Vuoi leggere tutti i contenuti?
Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter continuare a
leggere questo e tanti altri articoli.