Istanza di rinvio per legittimo impedimento trasmessa a PEC ‘diversa’ da quella indicata nel provvedimento DGSIA

03 Gennaio 2024

Qualora venga presentata istanza di rinvio per legittimo impedimento, l'orientamento della Suprema Corte è nel senso che la richiesta di differimento può essere inoltrata a mezzo PEC; qualora però l'indirizzo PEC sia diverso da quella indicata nel provvedimento del DGSIA è necessario che l'istante si faccia carico dell'onere di accertarsi del regolare arrivo dell'atto così trasmesso nella cancelleria.

Il quadro normativo

La norma che ha consentito l'invio via PEC (anche) delle istanze di rinvio, nata per periodo pandemico, per fronteggiare il rischio di contagio dal covid-19, è l'art. 24, comma 4, d.l. n. 137/2020, conv. in l. n. 176/2020, la quale recita: «Per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2, fino al 31 luglio 2021, è consentito il deposito con valore legale mediante invio dall'indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel Registro generale degli indirizzi certificati di cui all'art. 7 del regolamento di cui al decreto del Ministro della Giustizia 21 febbraio 2011, n. 44».

L'elenco delle PEC di tutti gli uffici giudiziari è stata dettata nel provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del ministero della Giustizia del 9 novembre 2020, emanato ai sensi dell'art. 24, comma 4, cit.

La disposizione è stata variamente prorogata, da ultimo fino al 30 giugno 2023, ai sensi dell'art. 5-quinquies del d.l. n. 162/2022, introdotto dalla legge di conversione n. 199/2022, che ha inserito nel d.lgs. n. 150/2022, l'art. 87-bis, intitolato “Disposizioni transitorie in materia di semplificazione delle attività di deposito di atti, documenti e istanze”, che consente il deposito a mezzo PEC, già disciplinato dall'art. 24 d.l. citato, fino al momento in cui, con l'entrata in vigore dei regolamenti indicati dall'art. 87 della riforma Cartabia, sarà pienamente operativo il nuovo processo penale telematico e, dunque, si potrà ricorrere al sistema di deposito degli atti previsti dall'art. 111-bis c.p.p. nel fascicolo informatico.

Allo stato, dunque, è ammissibile la comunicazione del legittimo impedimento del difensore a mezzo PEC atteso che tale impedimento, stante la prioritaria rilevanza della verifica della legittima instaurazione del contraddittorio processuale, è rilevabile anche d'ufficio e può essere tratto da ogni elemento disponibile comunque portato alla effettiva conoscenza del giudice. Per cui, deve ritenersi superato l'orientamento che, in periodo pre-covid-19, aveva accolto l'opposta soluzione, escludeva che le parti private non possono effettuare comunicazioni, notificazioni e istanze mediante l'utilizzo della posta elettronica certificata, fermo restando che, non essendo le stesse irricevibili, possono essere prese in considerazione dal giudice se poste alla sua attenzione.

Invio dell'istanza di rinvio alla PEC corretta indicata nel provvedimento DGSIA

Il parametro normativo di riferimento, quando occorra apprezzare la ritualità dell'istanza di rinvio per legittimo impedimento difensivo, è l'art. 420-ter, comma 5, c.p.p. In forza di tale disposizione, quel che importa è che il legittimo impedimento sia stato prontamente comunicato, a nulla rilevando invece il modo con cui esso sia stato posto a conoscenza del giudice. In termini diversi dispone l'art. 121 c.p.p., con la previsione che le richieste delle parti siano depositate in cancelleria.

Dalla comparazione del tenore delle due disposizioni si trae la conclusione che per le istanze di rinvio per legittimo impedimento, non essendo imposto il deposito in cancelleria, possa valere la trasmissione a mezzo PEC (l'invio della PEC all'indirizzo giusto equivale a deposito, questa affermazione era corretta prima delle norme che hanno reso l'invio della PEC equivalente al deposito oppure è corretta solo per l'invio di PEC ad indirizzi diversi da quelli dell'elenco DGSIA).

Di recente, la Suprema Corte ha all'uopo confermato che l'art. 87-bis, comma 1, d.lgs. n. 150/2022 (ossia le norme transitorie della riforma Cartabia sul processo penale telematico) prevede che il deposito telematico di un atto difensivo è tempestivo quando è eseguito entro le ore 24 del giorno in cui scade il termine fissato dalla legge per la sua presentazione, rimanendo inteso – per quel che più rileva in questa sede – che la condizione è rispettata qualora nel termine orario indicato avviene l'accettazione da parte del sistema informatico dell'ufficio giudiziario a cui l'atto è indirizzato (Cass. pen., sez. V, n 50474/2023).

In questi casi di atti inviati alla PEC correttamente individuata nel provvedimento del DGSIA,  basta la prova dell'invio della PEC e, se la cancelleria non sottopone al giudice l'istanza di rinvio, allora non è “colpa” dell'avvocato, perché il deposito – cioè l'invio all'indirizzo PEC – ha lo stesso effetto del deposito secondo il vecchio 121 c.p.p.

Anzi, la celebrazione del processo in assenza del difensore, senza che sia stata presa in considerazione la richiesta di rinvio per legittimo impedimento, dà luogo ad una nullità della sentenza ex art. 178 lett c) e 179 c.p.p. per violazione del diritto di difesa (Cass. pen., sez. II, n. 8473/2020).

La nullità ricorre quando il processo venga di fatto celebrato, senza l'effettiva partecipazione del difensore istante o di sostituto da esso nominato, indipendentemente dalla fondatezza o meno dell'istanza medesima, in quanto l'apprezzamento del contenuto dell'istanza di rinvio per legittimo impedimento è compito del giudice del merito e si risolve in una valutazione discrezionale che può implicare aspetti di opportunità, oltre che di mera legittimità.

Si segnala un diverso orientamento (che non può condividersi) per il quale anche in questi casi di istanza di rinvio per legittimo impedimento inviata alla PEC corretta, pone a carico del difensore istante, «pur avendo documentato di avere inoltrato tempestivamente un'istanza di rinvio a mezzo PEC, e pur ammettendo che la comunicazione elettronica fosse giunta a destinazione nella casella del registro generale dell'Ufficio del Giudice di pace di Ragusa, nondimeno, non ha assolto all'onere di verificare che questa fosse effettivamente pervenuta nella cancelleria del giudice procedente e tempestivamente portata alla sua attenzione» (Cass. pen., sez. V, n. 38722/2023, la quale richiama la giurisprudenza che si era formata nel periodo Pre-Covid, oggi chiaramente superata dall'espressa previsione dell'art. 24, comma 4, d.l. n. 137/2020, risultando bastevole l'invio della PEC e della ricevuta di accettazione della stessa).

Invio dell'istanza di rinvio e di traduzione a PEC "diversa" da quella presente nel provvedimento DGSIA

Nei due casi portati dinanzi alla Suprema Corte, tuttavia, avviene che l'istanza di rinvio dell'udienza per legittimo impedimento (all'interno di procedimento esecutivo volta alla richiesta di continuazione tra reati oggetto di diverse sentenze della Corte di Appello di Roma) e l'istanza di traduzione dell'imputato (di procedimento pendente dinanzi alla Seconda sezione penale della Corte di Appello di Firenze) erano state inviate ad un indirizzo PEC diverso da quello indicato nel provvedimento del DGSIA. Più precisamente – come si legge nella sentenza n. 28757/2023 – la richiesta di rinvio per legittimo impedimento (pur applicandosi anche nel procedimento di esecuzione) era stata inviata a sez9.penale.tribunale.roma@giustiziacerti.it; mentre l'istanza di traduzione dell'imputato detenuto venne spedita telematicamente all'indirizzo depositoattipenali.ca.firenze@giustiziacert.it, indirizzo che, però – come ricorda la pronuncia n. 31802/2023) – non corrisponde, sulla base del citato provvedimento, a quello della Seconda sezione panale della Corte d'Appello di Firenze, alla quale l'istanza era diretta, e cioè: depositoattipenali2.ca.firenze@giustiziacert.it.

In entrambe le decisioni di legittimità, si specifica che «Orbene, se deve escludersi, in forza della specifica previsione normativa contenuta nell'art. 24 d.l. citato, che l'atto inviato ad un indirizzo diverso da quello indicato nel richiamato provvedimento sia idoneo a sostituire il deposito previsto dall'art. 121 c.p.p., non risulta neppure la conoscenza sostanziale dell'atto trasmesso, conoscenza che la giurisprudenza di legittimità riconnetteva, prima dell'introduzione della disciplina emergenziale ora inserita nel codice di rito, alla effettiva messa a disposizione del giudice dell'atto impropriamente trasmesso telematicamente».

In queste ipotesi di invio ad una PEC sempre dell'ufficio giudiziario, ma non dedicato espressamente, al deposito degli atti per quello specifico ufficio secondo l'elenco DGSIA, se l'istanza non è valutata dal giudice, è onere della difesa provare che la stessa sia pervenuta all'ufficio e sottoposta in tempo utile al giudice

Quindi è ormai soltanto in questo caso di istanza di rinvio per legittimo impedimento ad una PEC diversa da quella presente nel provvedimento dal DGSIA che riemerge e incombe sulla parte o sul soggetto richiedente l'onere di accertare che l'istanza sia pervenuta all'ufficio competente e sottoposta in tempo utile al giudice (il quale, è tenuto, in tale evenienza, a valutarla), ove intenda far valere, in sede di impugnazione, la omessa valutazione della istanza. Onere che si ritiene assolto con la verifica in ordine alla ricezione della PEC, senza che sia necessario dimostrare che la cancelleria porti l'atto alla visione del giudice (Cass. pen., sez. IV, n. 2645/2023). Non altro può pretendersi al soggetto istante, che non può essere onerato di controllare i passaggi interni all'ufficio del giudice, in forza dei quali l'istanza sia posta alla sua diretta cognizione dalla cancelleria" (Cass. pen., sez. I, n. 15868/2021).

L'onere di allegazione dell'originale "informatico" del recapito della PEC inviata

La giurisprudenza di legittimità – richiamata ancora da Cass. pen., sez. I, n. 28757/2023 e sez. VI, n. 31802/2023 – ha pure precisato che, sotto il vigore della disciplina emergenziale, in tema di legittimo impedimento del difensore comunicato mediante PEC secondo la disciplina emergenziale per covid-19, la prova della ricezione deve avvenire mediante l'annotazione e l'attestazione di cancelleria di cui all'art. 24, comma 5, d.l. n. 137/2020, cit., in assenza delle quali è onere del difensore produrre in giudizio l'originale informatico del messaggio, sottoscritto digitalmente dal gestore del sistema, attestante l'avvenuto recapito nelle casella del destinatario.

In difetto di valore legale del deposito effettuato dal difensore mediante l'invio tramite PEC a un indirizzo non compreso in quello determinato dal provvedimento del DGSIA e in mancanza della prova, che spettava ai ricorrenti fornire, della effettiva conoscenza in capo ai giudici della richiesta di rinvio per legittimo impedimento professionale avanzata in modo irregolare, i ricorsi vengono rigettati.

Nei relativi fascicoli processuali, infatti, non risulta l'annotazione di cancelleria relativa all'arrivo del messaggio e al suo inserimento negli atti processuali, mentre i ricorrenti non hanno dato prova del contrario, avendo prodotto la copia cartacea (anziché l'originale informatico) del messaggio PEC inviato a una casella di posta diversa da quella prevista (negli stessi termini, più di recente, Cass. pen., sez. VI, n. 39460/2023). La «stampa informe» di tale messaggio PEC non è, quindi, sufficiente a dimostrare il recapito del messaggio, quando esso non risulti allegato e annotato al fascicolo processuale (Cass. pen., sez. I, n. 25366/2021).

In conclusione

Due le indicazioni fondamentali che si ricavano in ordine alla trasmissione via PEC dell'istanza di rinvio per legittimo impedimento.

La prima è che è ormai pacifico che la detta richiesta di differimento e di traduzione dell'imputato possono essere avanzate via PEC (e lo sarà per tutto il 2024 visto lo slittamento al 2025 del processo penale telematico disegnato dalla riforma Cartabia).

La seconda è che l'invio dell'istanza di rinvio non equivale al deposito ex art. 121 c.p.p. qualora effettuata mediante PEC a un indirizzo non compreso nel provvedimento di DGSIA, spettando in ogni caso che la parte istante fornisca la prova della effettiva conoscenza in capo al giudice della richiesta di rinvio per impedimento professionale avanzata in modo irregolare dalla parte.

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