La dichiarazione di adottabilità come soluzione estrema

03 Gennaio 2024

La Suprema Corte ritiene che occorre innanzitutto verificare la possibilità di recupero fornendo interventi di sostegno diretti a rimuovere situazioni di difficoltà e disagi familiari.

Massima

La dichiarazione di adottabilità di un minore, costituisce una extrema ratio che si fonda sull'accertamento dell'irreversibile non recuperabilità della capacità genitoriale, in presenza di fatti gravi, indicativi in modo certo dello stato di abbandono, morale e materiale, a norma della l. n. 183/1984, art. 8 che devono essere dimostrati in concreto, senza dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale non basati su precisi elementi di fatto.

Il caso

Il Tribunale per i Minorenni di Napoli, con sentenza pubblicata in data 13.01.2022, ritenendo che un percorso di sostegno alla genitorialità  non sarebbe stato idoneo e capace a potenziare le competenze e le risorse dei genitori, dichiarava lo stato di adottabilità di due sorelle minori (figlie della stessa madre) e stabiliva altresì la collocazione della primogenita in casa-famiglia e della secondogenita in affido familiare dopo aver disposto la sospensione della responsabilità genitoriale anche nei confronti del padre di quest'ultima minore. I Servizi sociali, nelle loro relazioni, infatti, affermavano: a) che le figlie erano prive di supporto materiale ed affettivo e vivevano in condizioni di degrado; b) che i genitori mostravano gravi carenze culturali ed educative e non avevano consapevolezza del loro comportamento abbandonico; c) che non vi erano parenti disponibili all'affido delle minori.

La Corte d'Appello di Napoli, investita del gravame proposto dalla madre delle minori e dal padre della seconda bambina, dopo aver disposto la CTU per valutare la capacità genitoriale degli appellanti, in parziale riforma della sentenza di primo grado, revocava la dichiarazione di adottabilità della prima figlia e confermava però il provvedimento di decadenza della responsabilità genitoriale della madre e il collocamento di quest'ultima in casa famiglia. La Corte territoriale, invece, respingeva tutte le domande riguardanti la seconda figlia.

La madre delle due minori, con ricorso basato su quattro motivi, confermati con deposito di memoria, ricorreva in Cassazione. Si costituiva il tutore delle due bambine con controricorso.

Con il primo motivo di ricorso, la genitrice lamentava la violazione del 112 c.p.c. e l'omessa o insufficiente motivazione circa i presupposti per la dichiarazione di adottabilità;

Con il secondo motivo, denunciava la nullità della sentenza per violazione 112 c.p.c. ed omessa convocazione ed ascolto dei parenti, tra l'altro richiesto (fratello e sorella della ricorrente);

Con il terzo motivo, contestava la violazione dell'art. 112 c.p.c. e della l. n. 184/1983, artt. 1, 8, 10, 15 e 44, comma 1, lett. D e omessa insufficiente motivazione per mancata considerazione della possibilità di procedere a adozione mite;

Con il quarto motivo, infine, denunciava la violazione dell'art. 112 c.p.c. e riproponeva le questioni già precedentemente introdotte, lamentando la mancata decisione della Corte territoriale su tutta la domanda.

La questione

La questione in esame è la seguente: può essere un minore dichiarato adottabile senza prima fare un accertamento approfondito sulla capacità dei genitori e dei familiari entro il quarto grado disposti a prendersi cura del minore stesso e senza prima verificare l'effettiva possibilità di recupero dei genitori dando loro un supporto?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, prima di esaminare il ricorso, evidenziava innanzitutto che la figlia primogenita della ricorrente era diventata maggiorenne in corso di giudizio. Pertanto, venendo meno il presupposto della minore età contemplata dall'art.8 della legge sulle adozioni (l.n.184/1983), gli Ermellini non potevano non confermare la dichiarazione di non adottabilità e per effetto non dichiarare la perdita di efficacia dei provvedimenti connessi ovvero di decadenza della responsabilità genitoriale e del collocamento in casa-famiglia della primogenita.

Inoltre, la Cassazione, a seguito dell'eccezione rilevata dalla ricorrente nella propria memoria, evidenziava altresì il difetto di legittimazione processuale del tutore a proporre controricorso nell'interesse della secondogenita, dichiarandolo inammissibile, visto che il Tribunale per i Minorenni di Napoli le aveva conferito tale incarico, con decreto di nomina a tutore, in riferimento alla prima minore e non anche in relazione alla seconda.

La Corte di legittimità, risolte le questioni preliminari, accoglieva i motivi di ricorso in riferimento alla posizione della seconda figlia minorenne ribadendo un principio ormai consolidato secondo il quale “la dichiarazione di adottabilità di un minore costituisce una misura eccezionale (una extrema ratio) cui è possibile ricorrere solo in presenza di “fatti gravi”, indicativi, in modo certo, dello stato di abbandono, morale e materiale, (a norma dell'art. 8 della l. n.183/1984), che devono essere “specificamente dimostrati in concreto”, senza possibilità di dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale, seppure espressi da esperti della materia, non basati su “precisi elementi fattuali”, idonei a dimostrare un reale pregiudizio per il figlio e di cui il giudice di merito deve dare conto (Cass. sez. un. n. 35110/2021).

Quindi, la Cassazione evidenziava ancora una volta che la dichiarazione di adottabilità costituisce solo una "soluzione estrema", essendo tutelato in via prioritaria, ai sensi dell'art. 1 della l. n. 184/1983, il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia d'origine, quale ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico.

Ebbene, secondo gli Ermellini, la Corte di merito avrebbe valutato le condizioni di criticità dei genitori: a) da un lato in maniera incompleta, visto che tale verifica si era inizialmente fondata “sulle condizioni di degrado abitativo e successivamente “sulle carenze accuditive nonché sulla mancanza di consapevolezza delle esigenze delle minori”, anche se la minore veniva descritta come una bambina loquace e sociale, di buone capacità interattive ed affezionata alla sorella primogenita;

b) dall'altro lato in modo illogico ed incomprensibile, atteso che era stato evidenziato il concreto e reale impegno della ricorrente a risolvere le problematiche lavorative al fine di garantire il sostegno economico della famiglia, e quelle abitative al fine di superare la situazione di degrado.

La Corte di legittimità, inoltre, accogliendo le lamentele della ricorrente, aveva aggiunto che non era stata esaminata neppure la condizione di disponibilità da parte dei parenti a prestare cura e assistenza alla minore così come non era stata presa in considerazione la possibilità di accedere alla così detta adozione mite nonostante la ricorrente ne avesse fatto richiesta.

Gli Ermellini, quindi, dopo aver dichiarata non adottabile la primogenita per il raggiungimento della maggiore età con caducazione dei connessi provvedimenti de potestate adottati nel corso del giudizio, cassava la sentenza senza rinvio mentre per quanto concerne la posizione della secondogenita, ancora minorenne, nell'accogliere il ricorso, cassava la sentenza e rinviava alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione per l'applicazione degli principi espressi e per la statuizione sulle spese del presente giudizio.

Osservazioni

La Cassazione nel provvedimento in esame torna a specificare quelle che sono le verifiche che devono essere compiute dal giudice nell'accertare lo stato di adottabilità di un minore. Verifiche che devono essere estese anche al nucleo familiare. Inoltre, precisa come sia necessario avvalersi di misure di sostegno al fine di sorreggere la famiglia di origine.

Per la Suprema Corte è un errore ritenere le carenze cognitive e culturali del genitore come un presupposto per reputarlo non idoneo in quanto si finisce con il ledere la dignità della persona e selezionare il migliore genitore possibile e sostituirlo a quello biologico, culturalmente e intellettivamente arretrato.

La Corte di legittimità nell'ordinanza sottolinea la normativa sull'adozione che tutela il diritto del minore a conservare il legame con i propri genitori biologici anche se limitati nelle loro capacità genitoriali. E proprio in riferimento alla tutela di tale diritto che la Suprema Corte, nel provvedimento de quo, torna a parlare dell'istituto cd. “dell'adozione mite” allorché idonea a non recidere del tutto nell'interesse del minore il rapporto tra quest'ultimo e la famiglia di origine.

La Corte di Cassazione fa riferimento per la prima volta a tale tipologia di adozione con l'ordinanza n. 1476 del 2021. Si tratta, infatti, di una particolare forma di adozione che mira a mantenere attivi i rapporti tra i genitori biologici e il figlio adottato da una nuova famiglia.

La Corte a tal riguardo ha attuato l'articolo 8 della CEDU (Corte Europea dei diritti dell'uomo), che prevede l'obbligo di rispettare la vita familiare e di agire in maniera tale da consentire a tutti i legami familiari di svilupparsi, implicitamente mosso a favorire il ricongiungimento dei legami biologici, purché nel bilanciare i diritti in gioco sia sempre garantito e tutelato l'interesse supremo del minore.

Gli Ermellini sono in linea con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che afferma da sempre come l'adozione legittimante deve essere vista e concepita come ultima soluzione, quando i genitori biologici si dimostrano incapaci di curare il proprio figlio.

Sulla base di ciò, la Corte di Cassazione ha introdotto l'adozione mite sfruttando, l'articolo 44 lettera d) della legge numero 184 del 1983 (adozione in casi particolari). Questa disposizione, infatti, consente che i minori possano essere adottati anche quando non vi sia la possibilità di affido preadottivo.

La Cassazione, ha definito l'articolo 44 lettera d) legge 184/1983 una “clausola di chiusura del sistema intesa a consentire l'adozione tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità effettiva ed educativa della relazione tra adottante ed adottando, come elemento caratterizzante del concreto interesse del minore a vedere riconosciuti i legami sviluppatisi con altri soggetti che se ne prendono cura” (Cass. Civ. ord. n. 17100 del 26 giugno 2019).

L'adozione mite rappresenta quindi un tentativo della giurisprudenza di superare quella rigidità del modello proposto dalla legge sull'adozione e il fatto che l'adozione in casi particolari ai sensi dell'art. 44 della predetta legge può essere tecnicamente possibile solo nelle ipotesi espressamente contemplate dall'articolo stesso.

La Cassazione, quindi, afferma che giudice prima di dare in adozione un minore ha l'obbligo di verificare e considerare se quel minore possa eventualmente mantenere i rapporti con la famiglia di origine.

In tutto ciò la circostanza importate è che occorre fare sempre il bene del minore, vero perno attorno a cui ruota il sistema delle adozioni.

In conclusione, è sempre più sentita l'esigenza di sperimentare modelli di adozione diversi da quella legittimante, in tutte quelle situazioni in cui l'interruzione definitiva della relazione affettiva con i genitori biologici non coincida con il concreto interesse del minore.

Riferimenti

Dogliotti, Adozione di maggiorenni e minori; Giuffre;

Zaccaria, Commentario breve al diritto di famiglia, Milano.

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