Tutela avverso il silenzio in materia di accesso civico generalizzato: rito applicabile ed estensione del sindacato giurisdizionale

Luca Biffaro
04 Gennaio 2024

La decisione in commento fornisce chiarimenti in ordine al rito applicabile avverso il silenzio serbato dall'amministrazione a fronte della presentazione di una istanza di accesso civico generalizzato, optando per l'applicazione del rito sul silenzio previsto dall'art. 117 c.p.a.

Massima

Il silenzio sull'istanza di accesso civico generalizzato non può essere qualificato alla stregua di un silenzio provvedimentale in assenza di una espressa previsione di legge che attribuisca tale valore al contegno omissivo dell'amministrazione o del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza.

L'illegittimità del silenzio in materia di accesso civico generalizzato deve essere fatta valere necessariamente con la proposizione dell'azione avverso il silenzio.

Nelle ipotesi di accesso civico generalizzato la posizione legittimante l'accesso non è strumentale alla tutela di un interesse personale del soggetto richiedente, ma è costituita da un generico e indistinto interesse di ogni singolo cittadino al controllo del buon andamento dell'attività amministrativa, il che giustifica la scelta del legislatore di non voler estendere il campo applicativo del rito processuale in materia di accesso ai documenti amministrativi alle ipotesi di inerzia dell'amministrazione nel riscontrare una istanza di accesso civico generalizzato.

Il caso

Dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno (“T.a.r.”), veniva impugnato, ai sensi dell'art. 116 c.p.a., il silenzio serbato dalla Provincia di Salerno sull'istanza di accesso civico generalizzato presentata dalla parte ricorrente per ottenere «informazioni circa la definizione, con l'adozione di un provvedimento espresso, del procedimento avviato a seguito della ricezione dell'istanza ex art. 42- bis D.P.R. n. 327/2001».

La questione

La questione giuridica affrontata dal T.a.r. riguarda sia un aspetto prettamente processuale, inerente alla individuazione del rito applicabile in caso di proposizione di un ricorso avverso il silenzio serbato dall'amministrazione su un'istanza di accesso civico generalizzato, sia l'aspetto sostanziale relativo alla fondatezza o meno della pretesa ostensiva azionata.

Quanto all'aspetto processuale, il T.a.r. ha dovuto stabilire se nel caso di specie fosse corretto gravare il contegno silente dell'amministrazione mediante la proposizione dell'actio ad exhibendum prevista dall'art. 116 c.p.a. o se, viceversa, andasse disposta la conversione del rito per essere l'azione avverso il silenzio-inadempimento prevista dall'art. 117 c.p.a. il corretto strumento di tutela da esperire.

Per quel che concerne, invece, l'aspetto sostanziale della vicenda, il T.a.r. ha esteso il proprio sindacato sulla spettanza della pretesa sostanziale dedotta in giudizio dalla parte ricorrente, così come veicolata con l'istanza ostensiva presentata in sede amministrativa, tenendo conto del fatto che, nella fattispecie in esame, la disclosure richiesta non riguardava specifici documenti, bensì informazioni inerenti al procedimento avviato con la presentazione di un'istanza ex art. 42-bis d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.

La soluzione giuridica

Il T.a.r., per quel che riguarda l'aspetto stricto sensu processuale della controversia, ha statuito che il rito applicabile in caso di impugnazione del silenzio avverso un'istanza di accesso civico generalizzato sia quello previsto dall'art. 117 c.p.a., vale a dire il c.d. rito sul silenzio. Di conseguenza, il T.a.r. ha provveduto a convertire il rito, avendo il ricorrente instaurato il giudizio ai sensi dell'art. 116 c.p.a., mediante la proposizione dell'actio ad exhibendum.

Il T.a.r. ha motivato tale scelta sul presupposto che il silenzio serbato dall'amministrazione non potesse qualificarsi come silenzio provvedimentale, stante l'assenza di una specifica norma che disponesse in tal senso.

Il T.a.r., a conforto di tale conclusione, ha evidenziato come in materia di accesso documentale il legislatore avesse espressamente attribuito valore provvedimentale al silenzio dell'amministrazione, giusto il disposto dell'art. 25, comma 4, legge 7 agosto 1990, n. 241, rendendo quindi esperibile l'actio ad exhibendum prevista dall'art. 116 c.p.a. anche nei casi di mancato formale riscontro dell'istanza ostensiva.

Di contro, con l'art. 5, comma 7, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, il legislatore si è limitato a prevedere unicamente la possibilità di esperire l'azione ex  art. 116 c.p.a. in caso di diniego espresso dell'amministrazione sull'istanza di accesso civico generalizzato, nonché avverso le determinazioni assunte, in sede di riesame dell'istanza ostensiva, da parte del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza.

Il T.a.r., inoltre, ha evidenziato che la scelta legislativa di non estendere il rito in materia di accesso all'impugnazione del silenzio formatosi sulle istanze di accesso civico generalizzato, trova la sua giustificazione nel fatto che in tale ultimo caso la posizione che legittima la presentazione della richiesta ostensiva non è strumentale alla tutela di un interesse personale dell'istante, ma risulta correlata all'interesse indistinto di ogni cittadino al controllo del buon andamento dell'attività amministrativa. Tale interesse, invero, risulta correlato alla soddisfazione di un'esigenza di cittadinanza attiva, incentrata sui doveri inderogabili di solidarietà democratica, di controllo sul funzionamento dei pubblici poteri e di fedeltà alla Repubblica.

Quanto al merito, il T.a.r. ha ritenuto infondata la pretesa ostensiva della parte ricorrente, in quanto l'istanza di accesso civico generalizzato da essa presentata non mirava a soddisfare un'esigenza di cittadinanza attiva, bensì un interesse di natura meramente personale, connesso all'esito di un procedimento ex art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001 che la riguardava direttamente.

Peraltro, il T.a.r. ha anche ritenuto illegittima l'istanza ostensiva presentata dal ricorrente in ragione del fatto che la stessa era tesa ad ottenere l'ostensione di informazioni e non, invece, di specifici documenti, il che avrebbe esposto l'amministrazione ad una preventiva attività di elaborazione di dati.

Osservazioni

La sentenza del T.a.r., per quel che riguarda i profili relazionati con l'individuazione del rito applicabile in caso di impugnazione del silenzio formatosi su un'istanza di accesso civico generalizzato, assume particolare interesse per l'ampia motivazione fornita per giustificare la scelta di applicare il rito avverso il silenzio (art. 117 c.p.a.) in luogo del rito in materia di accesso (art. 116 c.p.a.).

Su tale questione, invero, non si registra un orientamento giurisprudenziale univoco, come dimostra il fatto che il giudice amministrativo ha, in alcuni casi, ritenuto corretta l'instaurazione del giudizio ai sensi dell'art. 116 c.p.a. (cfr. Cons. Stato, sez. I, 29 aprile 2019, n. 2737).

La stessa giurisprudenza amministrativa, infatti, riconosce come sia controversa la questione relativa al rito applicabile ai giudizi riguardanti l'impugnazione del silenzio formatosi su un'istanza di accesso civico generalizzato (cfr. Cons. Stato, sez. III, 2 marzo 2022, n. 1482).

In ogni caso, la ragione per la quale la giurisprudenza amministrativa ritiene applicabile il rito avverso il silenzio risulta essere quella enunciata dal T.a.r. nella pronuncia in commento, vale a dire la formazione di un silenzio-inadempimento e non di un silenzio-rifiuto sull'istanza di accesso civico generalizzato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12 febbraio 2020, n. 112).

La scelta dell'uno o dell'altro rito, invero, comporta significative conseguenze sul piano della tutela sostanziale, stante la diversità del relativo regime processuale.

In particolare, se è vero che per entrambi i riti è necessaria l'evocazione in giudizio dei controinteressati e la cognizione del giudice può estendersi fino al vaglio di fondatezza della pretesa sostanziale dedotta in giudizio (seppur con delle differenze che a breve si andranno ad illustrare), è del pari vero che i due riti in questione assoggettano la proposizione dell'azione a un diverso termine decadenziale.

In particolare, ai sensi dell'art. 116 c.p.a., l'actio ad exhibendum può essere proposta entro trenta giorni dalla conoscenza della formazione del silenzio-rigetto, mentre l'azione avverso il silenzio-inadempimento ex art. 117 c.p.a. può essere proposta, ai sensi dell'art. 31, comma 2, c.p.a., fintanto che perdura l'inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento.

Pertanto, dall'applicazione del rito sul silenzio discende un ampliamento delle possibilità di tutela della situazione giuridica soggettiva correlata con l'istanza ostensiva non evasa dall'amministrazione, assoggettando la sua deduzione in giudizio a un termine decadenziale più lungo di quello previsto per la proposizione dell'actio ad exhibendum ex art. 116 c.p.a., il che consente all'istante di avere a disposizione un maggiore spatium deliberandi in ordine alle iniziative di tutela da intraprendere e rende più difficile che l'azione promossa dinanzi al giudice amministrativo venga dichiarata irricevibile per tardività.

L'orientamento che propende per l'applicazione del rito previsto dall'art. 117 c.p.a. nei casi di impugnazione del silenzio formatosi su una istanza di accesso civico generalizzato, oltre ad essere seguito dal Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12 febbraio 2020, n. 1121), risulta ampiamente diffuso tra i giudici amministrativi di prime cure (cfr., ex multis, TAR Sicilia, sez. I, 2 dicembre 2022, n. 3150; TAR Sicilia, sez. I, 29 luglio 2022, n. 2116; TAR Sicilia, sez. III, 30 giugno 2021, n. 2114; TAR Puglia, sez. I, 10 marzo 2021, n. 434; TAR Lazio, sez. III-quater, 27 agosto 2019, n. 10620; TAR Toscana, sez. II, 24 ottobre 2019, n. 1421).

Per quel concerne, invece, gli aspetti sostanziali della vicenda processuale la pronuncia in esame assume particolare rilievo nella parte in cui il giudice, nel vagliare la fondatezza della pretesa azionata in giudizio, svolge una analisi in merito alla finalità dell'iniziativa ostensiva intrapresa dalla parte ricorrente. Come esposto in precedenza, il T.a.r. ha concluso per la infondatezza della pretesa azionata in ragione del fatto che l'istante aveva fatto ricorso all'istituto dell'accesso civico generalizzato per soddisfare una finalità personale e non, invece, un'esigenza di cittadinanza attiva espressione dei principi democratici e partecipativi che informano e giustificano questa tipologia di accesso.

A tale ultimo riguardo, tuttavia, vale segnalare che in seno alla giurisprudenza amministrativa si registrano orientamenti discordanti in ordine alla correttezza e alla necessità che l'amministrazione prima e il giudice poi, nel delibare sulla fondatezza della pretesa sostanziale dedotta in giudizio, valutino la meritevolezza dell'interesse alla divulgazione che fonda la richiesta ostensiva, operando un vaglio comparativo, secondo la tecnica del bilanciamento e improntato al principio di proporzionalità, tra il beneficio che potrebbe ritrarre l'istante dalla disclosure richiesta e il sacrificio al quale verrebbero esposti gli eventuali interessi contrapposti.

Secondo una parte della giurisprudenza tale vaglio risulta necessario (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12 febbraio 2020, n. 1121; T.A.R. Campania, sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 5901). Altra parte della giurisprudenza, invece, ritiene che non sia legittimo operare un sindacato volto ad appurare la finalità della istanza di accesso civico generalizzato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 6 aprile 2020, n. 2309; Cons. Stato, sez. V, 2 agosto 2019, n. 5502; TAR Campania, sez. VI, 9 maggio 2019, n. 2486), posto che tale interesse ostensivo è azionabile da chiunque senza previa dimostrazione di un interesse personale, concreto e attuale correlato alla tutela di situazioni giuridicamente rilevanti e senza oneri di motivazione.

Con riguardo alla pronuncia in commento il T.a.r., sulla scorta di tale ultimo orientamento giurisprudenziale, non avrebbe dovuto vagliare la finalità sottesa all'istanza di accesso civico generalizzato presentata dalla parte ricorrente e, quindi, non avrebbe potuto valorizzarla per statuire in ordine alla fondatezza o meno della domanda di tutela proposta.

Oltretutto, ad una più attenta analisi delle conseguenze discendenti dall'applicazione del rito ex art.117 c.p.a., il sindacato giurisdizionale non avrebbe potuto riguardare la spettanza della pretesa sostanziale (ossia, nella specie, il diritto ad avere accesso alle informazioni richieste), venendo in rilievo un silenzio-inadempimento formatosi a seguito del mancato esercizio, da parte della Provincia di Salerno, di un potere di carattere discrezionale.

In proposito, vale evidenziare che mentre il giudizio sull'accesso ex art. 116 c.p.a. è sempre un giudizio sul rapporto, anche quando ad essere impugnato sia un silenzio-rigetto (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 2 aprile 2020, n. 10) – atteso che l'art. 116, comma 4, c.p.a. stabilisce che «il giudice, sussistendone i presupposti, ordina l'esibizione dei documenti richiesti» – il giudizio sul silenzio ex art. 117 c.p.a. limita maggiormente il vaglio dell'autorità giudiziaria. Infatti, l'art. 31, comma 3, c.p.a. stabilisce che il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari accertamenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione. Ogniqualvolta venga impugnato il silenzio-inadempimento formatosi su un'istanza di accesso civico generalizzato, dunque, appare difficile sostenere che non residui più alcun margine di apprezzamento per l'amministrazione, atteso che la stessa, rimanendo inerte, non ha esercitato il proprio potere decisionale, che sicuramente assume natura discrezionale quantomeno con riguardo alla valutazione (non resa) in ordine alla sussistenza e alla incidenza dei c.d. interessi-limite di cui all'art. 5-bis d.lgs. n. 33/2013, suscettibili di precludere, in tutto o in parte, l'accesso alla documentazione o alle informazioni richieste.

L'applicazione del rito ex art. 117 c.p.a. in luogo del rito ex art. 116 c.p.a. se è vero che determina un ampliamento delle chance di tutela sul fronte temporale della proponibilità dell'azione giudiziale, al contempo incide sulla tipologia di tutela che può essere accordata, in presenza dei limiti che incontra il sindacato del giudice alla luce delle differenze di regime processuale che esistono tra i due riti in questione.

Sulla scorta di tali considerazioni, pertanto, il giudice amministrativo dovrebbe limitarsi a ordinare, all'amministrazione rimasta inerte, di provvedere in maniera formale ed espressa sull'istanza di accesso civico generalizzato senza poter vagliare la fondatezza della pretesa sostanziale all'accesso – come invece ammesso in caso di accesso documentale e accesso agli atti di gara, vieppiù laddove l'amministrazione non si sia espressamente pronunciata sull'istanza ostensiva (cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 marzo 2020, n. 1664) – e quindi pronunciarsi sull'an e quantum della disclosure.

Vale, infine, evidenziare che non appare del tutto condivisibile l'affermazione del T.a.r. secondo la quale la pretesa di parte ricorrente non risulterebbe comunque fondata in quanto la richiesta ostensiva mirava alla disclosure di informazioni e non di specifici e già formati documenti.

Infatti, per espressa previsione di legge, il diritto di accesso civico generalizzato si distingue da quello documentale non solo dal punto di vista della legittimazione attiva, ma anche sul versante del suo oggetto, atteso che attraverso la sua attivazione i consociati possono conseguire, perlomeno in via di principio, l'accesso a tutte le informazioni in possesso dell'amministrazione.

Sul punto giova ricordare che parte della giurisprudenza amministrativa ha affermato che un'istanza di accesso civico generalizzato non può essere dichiarata inammissibile in base alla inesistenza del dato e alla sua disponibilità soltanto a seguito di apposita elaborazione (cfr. TAR Piemonte, sez. II, 12 novembre 2020, n. 720).

Ciò trova conforto anche nel fatto in materia di accesso civico generalizzato non risultano conferenti le valutazioni in ordine alla inammissibilità di per sé delle istanze di carattere eventualmente esplorativo, posto che l'istanza di accesso civico generalizzato può, sul piano delle condizioni di proponibilità, non risultare ammissibile solo laddove comporti una lesione del principio del buon andamento, determinando un ingiustificato aggravio del carico di lavoro degli uffici interessati. Viceversa, le istanze esplorative di accesso documentale sono sempre inammissibili per carenza di interesse, trattandosi di richieste formulate in violazione di quanto disposto dalla legge che, ai sensi di quanto previsto dall'art. 22 ss. l. n. 241/1990, preclude la proposizione di iniziative ostensive finalizzate ad operare un controllo generalizzato sull'attività dell'amministrazione.

Guida all'approfondimento

L. Biffaro, Commento all'art. 5 del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, in F. Caringella (dir.) et al., Codice Amministrativo, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2022.

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