Salute mentale e detenzione: la custodia cautelare di persona con disturbo mentale in assenza di cure adeguate configura un trattamento inumano e degradante

La Redazione
10 Gennaio 2024

Con sentenza del 9 gennaio 2024, la Corte EDU ha ritenuto la violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti e del diritto alla libertà e alla sicurezza da parte del Portogallo in una causa inerente al collocamento del ricorrente in custodia cautelare disposto dai giudici interni dopo che lo stesso era stato giudicato penalmente irresponsabile per diversi presunti reati, a causa del disturbo mentale di cui era affetto. Per la Corte, poiché l'assenza di cure adeguate durante la detenzione in un istituto penitenziario ha inciso sulla condizione di salute dell'interessato, essendo stata per lo stesso fonte di confusione e paura, ha stabilito che lo Stato portoghese dovesse versare una somma a titolo di risarcimento al ricorrente per danni morali. I giudici di Strasburgo hanno dichiarato che le violazioni non possono essere imputate unicamente alla situazione personale del ricorrente e che, nel caso di specie, derivano da un problema strutturale.

Il caso in esame riguarda un cittadino portoghese a cui è stata diagnosticata una schizofrenia paranoide nel 2002 e nel settembre 2019 è stato condannato dal tribunale di Évora per minacce e molestie sessuali, nonostante fosse stato ritenuto penalmente irresponsabile. Il tribunale penale di Évora aveva predisposto la detenzione preventiva in un istituto psichiatrico per una durata massima di tre anni, ordine poi sospeso a condizione che l'imputato si sottoponesse a un trattamento psichiatrico presso un ospedale di Évora.

Tuttavia, l'interessato non si è presentato agli appuntamenti, non incontrando alcuno specialista nel corso di talune consultazioni e, di fronte a nuove accuse penali, le autorità, constatando una situazione di vulnerabilità del soggetto insieme alla violazione dei termini della sospensione della detenzione preventiva, hanno ordinato il ricovero in ospedale nel febbraio 2021. Nell'aprile dello stesso anno, a causa della mancanza di spazio in un ospedale di Lisbona, il ricorrente fu collocato nel servizio psichiatrico dell'ospedale penitenziario di Caxias in attesa della sua ammissione in un istituto esterno al sistema penitenziario.

Il fratello del ricorrente presentò alla Corte suprema di giustizia una domanda di habeas corpus, in cui sosteneva che suo fratello era detenuto illegalmente all'ospedale penitenziario di Caxias. Questa richiesta fu respinta, ma la Corte Suprema sottolineò il carattere temporaneo della detenzione del ricorrente all'ospedale penitenziario di Caxias, sostenendo l'urgenza del trasferimento dell'interessato in una struttura sanitaria esterna al sistema penitenziario.

Il denunciante, rappresentato dinanzi alla Corte EDU, per quanto riguarda le condizioni di detenzione e l'assistenza ricevuta nell'ospedale penitenziario, ha affermato di non aver beneficiato delle cure mediche richieste dal suo stato di salute mentale e di essere stato invece sottoposto ad un trattamento farmacologico eccessivo con effetti prolungati. Lo stesso sosteneva che l'ospedale penitenziario non era un istituto che tratta i disturbi mentali né una struttura adatta per il ricovero e che il suo collocamento in tal luogo aveva comportato un deterioramento delle sue condizioni.

In senso opposto, il Governo ha sostenuto che il ricorrente aveva ricevuto le cure adeguate, essendo stato concordato e implementato un piano di trattamento da un team multidisciplinare, ricevendo anche le medicine necessarie e che ha potuto, durante la sua detenzione, partecipare ad attività e rimanere in contatto con il fratello. Per il Governo, inoltre, l'interessato non era stato oggetto di trattamenti inumani o degradanti, in quanto trasferito dopo circa sei mesi in un ospedale psichiatrico a Coimbra.

Tuttavia, la Corte EDU, non valutando le argomentazioni del Governo, ha ritenuto valide le ragioni poste a fondamento del ricorso del cittadino portoghese, stabilendo un risarcimento di 34mila euro da parte dello Stato entro tre mesi.

La decisione della Corte EDU

Art. 3 CEDU

La Corte fa riferimento alle relazioni pertinenti del Comitato per la prevenzione della tortura (CPT) e delle Nazioni Unite, secondo cui i problemi legati alla salute mentale costituiscono una delle principali sfide che deve affrontare il sistema penitenziario portoghese.  In particolare, il CPT dichiara che i pazienti interessati non beneficiano di un «ambiente terapeutico adeguato» e per quanto riguarda l'ospedale penitenziario di Caxias, esso è destinato ad accogliere temporaneamente detenuti ordinari con problemi di salute mentale, e non a fornire cure permanenti.

Il Governo non ha prodotto alcun elemento atto a dimostrare l'esistenza di un piano di trattamento personalizzato per ricorrente e non ha confutato le affermazioni coerenti dell'interessato quanto al livello delle cure che gli erano state fornite.

La natura della patologia del ricorrente lo rendeva più vulnerabile del detenuto medio e la sua detenzione può aver esacerbato in una certa misura la sofferenza, l'angoscia e la paura che provava. Il fatto che le autorità non gli abbiano fornito l'assistenza e le cure adeguate lo ha esposto senza necessità a un rischio per la sua salute ed è stato certamente fonte di stress e di ansia.

Pertanto, nel complesso, la Corte ha ritenuto che vi sia stata violazione dell'art. 3 CEDU.

Art. 5 CEDU

Pur non essendo stata contestata dal ricorrente la circostanza tale per cui  sia stato privato della libertà, la Corte ha ritenuto sussistente la violazione dell'art. 5, § 1 della Convenzione.

La detenzione dell'interessato era «prevista dalla legge», come confermato dalla Corte suprema portoghese, ed è stata ordinata per il rischio che rappresentava per gli altri.

La Corte ha rilevato nuovamente che l'ospedale penitenziario di Caxias, dove il ricorrente è stato detenuto per circa sei mesi, non fa parte del sistema sanitario. Ricordando che il fatto di trattenere detenuti affetti da malattie mentali, senza garantire loro un trattamento sufficiente e adeguato, nel servizio psichiatrico delle carceri ordinarie in attesa del loro collocamento in un istituto che tratta i disturbi mentali adattato non è compatibile con la protezione che la Convenzione garantisce a tali persone, ha ritenuto che le cure fornite al ricorrente, al di là delle cure di base e l'ambiente, non fossero adeguate alla sua situazione. La detenzione dell'interessato in un ambiente penitenziario ha pertanto certamente aggravato il suo stato di confusione e di paura.

Art. 46 CEDU: forza obbligatoria ed esecuzione delle sentenze

I giudici della Corte hanno inoltr ritenuto che le violazioni constatate nella fattispecie non possano essere imputate unicamente alla situazione personale del ricorrente e che derivino da un problema strutturale. Notando le recenti modifiche della legislazione portoghese, che essa giudica positive, essa afferma tuttavia che occorre ancora applicare tali disposizioni, in quanto ritiene che lo Stato debba assicurare con urgenza condizioni di vita adeguate e un trattamento adeguato e personalizzato alle persone affette da malattie mentali il cui stato di salute richiede cure particolari, per favorire il loro eventuale ritorno all'interno della comunità e la loro integrazione nella stessa.

Sul tema, si rimanda alla Giurisprudenza commentata di A. CENTONZE, Detenuti affetti da gravi infermità psichiche: la Corte EDU ribadisce l’obbligo degli Stati parte di garantire il diritto alla salute