E-commerce: secondo l’Avv. Gen. la direttiva UE osta all’applicazione, per uno Stato, di obblighi generali e astratti a prestatori di servizi con sede in altro Stato

La Redazione
12 Gennaio 2024

L'Avv. Gen. Szpunar, nelle sue conclusioni dell'11 gennaio 2024 (cause riunite C-662/22 e C-667/22; causa C-663/22; cause riunite C-664/22 e C-666/22; causa C-665/22), nel caso di alcuni prestatori di servizi online soggetti in Italia a determinati obblighi, ha affermato che il diritto UE e la direttiva e-commerce (Direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico) ostano all'applicazione di obblighi di carattere generale e astratto nei confronti di un prestatore di servizi online con sede in un altro Stato membro. Nel caso di specie, l'Avv. Gen. non giustifica gli obblighi previsti dalla normativa italiana poiché non costituiscano misure di applicazione del Regolamento (UE) 2019/1150 che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online, il cui obiettivo è garantire un contesto equo, prevedibile, sostenibile e sicuro per l'attività economica online nell'ambito del mercato interno. Infatti, in tale contesto uno Stato membro può raccogliere informazioni soltanto in relazione agli obblighi imposti dal regolamento e agli obiettivi che quest'ultimo persegue. 

In Italia alcuni prestatori di servizi di intermediazione e di motori di ricerca online sono soggetti a determinati obblighi: devono iscriversi in un registro, trasmettere periodicamente una serie di informazioni a un'autorità amministrativa e versare un contributo economico. Sono previste sanzioni in caso di inosservanza di tali obblighi. 

Ad eccezione di una società di viaggi online, che è stabilita negli Stati Uniti e si limita a contestare l'obbligo di fornire informazioni, tali prestatori di servizi online, stabiliti nell'Unione europea, contestano detti obblighi dinanzi ai giudici italiani. A loro avviso, sono contrari al regolamento dell'Unione che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online [1], mentre l'Italia sostiene che la normativa di cui trattasi applica le norme dell'Unione.

Inoltre, le società stabilite nell'Unione ritengono che tali obblighi violino, in particolare, il principio previsto nella direttiva sul commercio elettronico [2], secondo cui i servizi della società dell'informazione sono, in linea di principio, soggetti alla legge dello Stato membro di stabilimento del prestatore (nel caso di specie, l'Irlanda o il Lussemburgo). In tale contesto, il giudice italiano ha deciso di sottoporre talune questioni alla Corte di giustizia

Secondo l'Avvocato Generale Maciej Szpunar, il diritto dell'Unione e, più specificamente, la direttiva sul commercio elettronico ostano effettivamente all'applicazione di tali obblighi di carattere generale ed astratto ad un prestatore di servizi online stabilito in un altro Stato membro

Inoltre, per quanto riguarda il regolamento che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online, egli ritiene che gli obblighi previsti dalla normativa italiana non costituiscano misure di applicazione di tale regolamento. Quest'ultimo, quindi, non li giustifica. Il suo obiettivo è contribuire al corretto funzionamento del mercato interno garantendo un contesto equo, prevedibile, sostenibile e sicuro per l'attività economica online nell'ambito del mercato interno.

In tale contesto, uno Stato membro può raccogliere soltanto informazioni in relazione agli obblighi che gli sono imposti da tale regolamento e agli obiettivi che quest'ultimo persegue. 

[1] Regolamento (UE) 2019/1150 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online.

[2] Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico»).