Non è causa di inammissibilità dell'atto l'apposizione della sottoscrizione digitale sulla prima pagina
15 Gennaio 2024
Massima La sottoscrizione digitale apposta sulla prima pagina e non in calce al documento è valida ed efficace. Il caso Il Tribunale di Sorveglianza della Capitale dichiarava l'inammissibilità di un reclamo, inviato a mezzo PEC dal difensore, proposto avverso un decreto ministeriale di applicazione del regime di “carcere duro”, ritenendo che lo stesso fosse privo di sottoscrizione digitale. Quest'ultima non era, in particolare, apposta in calce al documento ma nell'angolo in alto a sinistra della prima pagina. La questione Il ricorso proposto dal difensore avverso l'ordinanza dichiarativa dell'inammissibilità del reclamo ne lamentava la violazione della legge processuale. Si riteneva, infatti, che il tribunale di sorveglianza non avesse fatto buon governo delle norme poste a presidio delle cause di invalidità degli atti inviati a mezzo posta elettronica certificata nella parte in cui è prevista la necessità che gli stessi siano sottoscritti digitalmente, senza ulteriori specificazioni relative alla collocazione della firma digitale stessa (se in calce o in altro luogo del documento). Le soluzioni giuridiche Il giudice di legittimità ha ritenuto fondata la censura sollevata dal ricorrente. Ciò perchè la disciplina vigente al momento del confezionamento e dell'invio del reclamo erroneamente considerato inammissibile – dicembre 2021 – prevedeva espressamente, da un lato, la possibilità di inviare gli atti processuali a mezzo PEC, dall'altro lato la necessità che questi fossero digitalmente sottoscritti (cfr. art. 24, comma 6-sexies, d.l. n. 137/2020). Il requisito della sottoscrizione digitale è sempre stato considerato essenziale da tutte le discipline settoriali che nel tempo hanno regolato la materia della forma telematica degli atti processuali, non risultando a questo proposito sufficiente il mero inoltro degli stessi come allegato a un messaggio di posta elettronica certificata (v. in questo senso Cass. pen., sez. VI, 22 febbraio 2022, n. 8604). Analogamente, non è considerato valido – perchè non rispettoso del requisito della sottoscrizione digitale ad substantiam - nemmeno l'atto firmato graficamente dal suo estensore e successivamente spedito a mezzo PEC. Anzi, a tal riguardo viene esplicitamente osservato che un atto non sottoscritto digitalmente, ma recante una firma apposta manualmente, non soddisfa le specifiche imposte dal DGSIA ed è quindi da considerarsi inammissibile. Questa disciplina è stata trasfusa anche nelle trame del d.lgs. n. 150/2022 (c.d. “riforma Cartabia”: cfr. al riguardo l'art. 87-bis, comma 7), a riprova della circostanza che il legislatore ha sempre considerato la firma digitale quale unica modalità di individuazione dell'autore dell'atto processuale riconosciuta dal sistema informatico. Ciò che invece non rileva affatto ai fini della validità dell'atto di impugnazione è la collocazione dell'attestazione della sottoscrizione digitale. Essa può essere indifferentemente apposta sia sulla prima che sull'ultima pagina, in calce o nel margine superiore del documento, senza che ciò possa in qualsiasi modo comprometterne la validità. Tali differenze “grafiche”, sovente dipendenti dalla tipologia del servizio di firma digitale utilizzato dall'estensore dell'atto, non costituiscono requisiti richiesti dalla legge ai fini della completezza dell'atto. Nel caso di specie, il servizio offerto dal gestore Aruba – utilizzato dal ricorrente - generava l'apposizione della suddetta attestazione nell'angolo superiore sinistro della prima pagina. Il fatto che la firma non fosse apposta “in calce” al documento non deve quindi considerarsi un vizio dell'atto stesso, con la conseguenza che l'ordinanza che lo riteneva inammissibile va annullata con rinvio per nuovo giudizio. Osservazioni La Cassazione, con la sentenza che oggi vi proponiamo, ritorna sullo spinoso tema dei requisiti essenziali degli atti redatti in formato digitale. Ancora una volta è oggetto d'attenzione la sottoscrizione digitale che, come tutti sappiamo, deve necessariamente essere presente affinché l'atto sia validamente formato. E' apprezzabile la stretta interpretazione di tale concetto che viene prescelta dal collegio di legittimità: la legge dispone soltanto che la sottoscrizione digitale sia presente, non dove debba essere apposta. A fondare il decisum degli Ermellini è, con tutta evidenza, il principio di tassatività delle cause di invalidità, che non possono, quindi, essere oggetto di interpretazione estensiva. Questo principio trova conferma in altro orientamento di legittimità, al quale peraltro questa sentenza si ispira, secondo cui l'apposizione della sottoscrizione digitale con un software diverso da quello riconosciuto dal sistema informatico in uso all'ufficio giudiziario non conduce all'inammissibilità dell'atto. |