Violenza di genere: riconosciuto lo status di rifugiato alle donne perseguitate in base alla “Direttiva Qualifiche", nel rispetto della Convenzione di Istanbul

La Redazione
17 Gennaio 2024

La CGUE (16 gennaio 2024, C-621/21), nel caso di una cittadina turca che ha presentato una domanda di protezione internazionale in Bulgaria, temendo per la propria vita se fosse dovuta tornare in Turchia, ha chiarito come le donne, nel loro insieme, possono essere considerate come appartenenti a un gruppo sociale ai sensi della direttiva 2011/95/UE – che dev'essere interpretata nel rispetto della Convenzione di Istanbul –, e beneficiare dello status di rifugiato. Ciò avviene quando, nel loro paese d'origine, sono esposte, a causa del loro sesso, a violenze fisiche o mentali, incluse le violenze sessuali e domestiche. Se le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato non siano soddisfatte, possono beneficiare dello status di protezione sussidiaria in particolare se sussistono fondati motivi di ritenere che, se fossero rinviate nel paese d'origine, correrebbero un rischio effettivo di essere uccise o di subire violenze.

Una cittadina turca, di origine curda, di confessione musulmana e divorziata, che adduce di essere stata costretta a sposarsi dalla sua famiglia, e poi picchiata e minacciata dal marito, temendo per la propria vita se fosse dovuta tornare in Turchia, ha presentato una domanda di protezione internazionale in Bulgaria.

Il giudice bulgaro investito della causa ha deciso di sottoporre talune questioni alla Corte di giustizia.

La Direttiva 2011/95/UE [1] stabilisce le condizioni per il riconoscimento, da un lato, dello status di rifugiato e, dall'altro, della protezione sussidiaria di cui possono beneficiare i cittadini di paesi terzi.

Lo status di rifugiato è previsto in caso di persecuzione di qualunque cittadino di un paese terzo per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale.

La protezione sussidiaria, invece, è prevista per qualunque cittadino di un paese terzo che non possieda i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se fosse rinviato nel paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno, il che include segnatamente l'essere giustiziato e trattamenti inumani o degradanti.

La Corte giudica che la direttiva deve essere interpretata nel rispetto della Convenzione di Istanbul [2] che vincola l'Unione europea e riconosce la violenza contro le donne basata sul genere come una forma di persecuzione

Inoltre, la Corte rileva che le donne, nel loro insieme, possono essere considerate come appartenenti a un gruppo sociale ai sensi della Direttiva 2011/95/UE. Di conseguenza, esse possono beneficiare dello status di rifugiato quando, nel loro paese d'origine, sono esposte, a causa del loro sesso, a violenze fisiche o mentali, incluse le violenze sessuali e domestiche.

Qualora le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato non siano soddisfatte, esse possono beneficiare della protezione sussidiaria, anche in caso di minaccia effettiva di essere uccise o di subire atti di violenza da parte di un membro della loro famiglia o della loro comunità, a causa della presunta trasgressione di norme culturali, religiose o tradizionali.

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[1] Direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta. 

[2] Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, dell'11 maggio 2011.