I rapporti tra il delitto di traffico di influenze e l’abrogato delitto di millantato credito

23 Maggio 2024

Sussiste continuità normativa tra l'abrogato delitto di cui all'art. 346 comma 2, c.p., ed il delitto di traffico di influenze di cui all'art. 346-bis c.p., così come previsto dalla cd. legge Spazzacorrotti?

Questione controversa

La questione controversa riguarda i rapporti tra il vecchio delitto di millantato credito, già punito dall'art. 346 comma 2, c.p. (che incriminava «Chiunque, millantando credito presso un pubblico ufficiale, o presso un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio, riceve o fa dare o fa promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione verso il pubblico ufficiale o impiegato», sanzionando più gravemente colui che riceveva o si faceva dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità «col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato, o di doverlo remunerare»), abrogato dall'art. 1 comma 1, lett. s), l. n. 3/2019, e il delitto di traffico di influenze, introdotto dall'art. 1 comma 1, lett. s), l. n. 3/2019, a mente del quale «Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all'articolo 322-bis, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis, ovvero per remunerarlo in relazione all'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi. La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità».

Possibili soluzioni
Prima soluzione Seconda soluzione

Un primo orientamento ritiene che vi sia continuità normativa tra le due fattispecie: l'intervento del gennaio 2019, grazie al quale la normativa interna è stata adeguata agli obblighi convenzionali assunti dall'Italia, ha comportato la riscrittura dell'art. 346-bis c.p., nel quale sarebbe stata inglobata la pregressa condotta incriminata a titolo di millantato credito.

In particolare, la nuova ipotesi di traffico di influenze illecite punisce anche la condotta del soggetto che si sia fatto dare o promettere da un privato vantaggi personali - di natura economica o meno -, rappresentandogli la possibilità di intercedere a suo vantaggio presso un pubblico funzionario, a prescindere dall'esistenza o meno di una relazione con quest'ultimo. Ciò a condizione - oggetto della iniziale clausola di riserva - che l'agente non eserciti effettivamente un'influenza sul pubblico ufficiale o sul soggetto equiparato e non vi sia mercimonio della pubblica funzione, dandosi, altrimenti, luogo a taluna delle ipotesi di corruzione previste da detti articoli. La norma equipara, dunque, sul piano penale la mera vanteria di una relazione o di credito con un pubblico funzionario soltanto asserita ed in effetti insussistente (dunque, la relazione solo millantata) alla rappresentazione di una relazione realmente esistente con il pubblico ufficiale da piegare a vantaggio del privato.

La nuova norma sanzionerebbe, dunque, le medesime condotte già incriminate dall'art. 346 comma 2, c.p., salvo che per la previsione della punibilità del soggetto che intenda trarre vantaggi da tale influenza ai sensi del comma secondo del nuovo art. 346-bis c.p. (non prevista nella pregressa ipotesi di millantato credito, nell'ambito della quale questi assumeva, anzi, la veste di danneggiato dal reato) e la non perfetta coincidenza fra le figure verso le quali la millanteria può essere espletata (l'abrogato art. 346 aveva riguardo al credito millantato presso il «pubblico ufficiale e l'impiegato che presti un pubblico servizio», mentre nell'attuale fattispecie rileva la possibilità di condizionare il pubblico ufficiale e l'incaricato di un pubblico servizio, a prescindere dal fatto che si tratti di un «impiegato»): vi sarebbe, quindi, sostanziale sovrapponibilità tra le due fattispecie, tanto in relazione alla condotta strumentale (stante l'equipollenza semantica fra le espressioni «sfruttando o vantando relazioni ... asserite» e quella «millantando credito»), quanto in relazione alla condotta principale di ricezione o di promessa, per sé o per altri, di denaro o altra utilità (1).

Secondo l'opposto orientamento, seppure il legislatore del 2019 abbia effettivamente inteso inglobare l'abroganda fattispecie di cui all'art. 346 in quella di cui all'art. 346-bis c.p., plurimi dati deporrebbero per una discontinuità tra i due delitti.

Si è innanzitutto osservato che, per mezzo della nuova ipotesi di reato, il legislatore ha inteso anticipare la soglia della punibilità rispetto a condotte che difficilmente avrebbero potuto integrare il delitto di corruzione (neppure nella forma tentata), al fine di salvaguardare più efficacemente l'attività della pubblica amministrazione nelle sue varie articolazioni: dunque, mentre la precedente incriminazione era rivolta in maniera preponderante alla tutela del patrimonio della vittima truffata dal cd. “venditore di fumo”, nell'attuale assetto viene accentuata la tutela al vulnus alla pubblica funzione.

Si è, altresì, messa in luce la non esatta corrispondenza tra la condotta in precedenza prevista dalla norma abrogata e quella attualmente inglobata nel primo comma dell'art. 346-bis c.p., nella parte in cui è stato riprodotto il sintagma «sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all'art. 322-bis c.p., indebitamente fa dare o promettere a sé o ad altri, denaro o altra utilità (...) per remunerarlo in relazione all'esercizio delle sui funzioni o dei suoi poteri»: la mancata riproposizione del termine «pretesto», contenuto nella precedente ipotesi di reato, o di altro termine di natura equipollente (che fondava il carattere autonomo della fattispecie di reato di cui all'art. 346 comma 2, c.p., inserendo la stessa in una particolare ipotesi di truffa, tanto da ritenersi l'assorbimento della fattispecie di cui all'art. 640 c.p. quando si accertava l'insussistenza di relazioni tra millantatore e pubblico ufficiale o impiegato) farebbe ritenere che non vi sia identità tra la norma abrogata e quella di nuova introduzione.

Non può, a tali fini, ritenersi significativo il riferimento della nuova norma al vanto di «relazioni asserite», che non è condotta sovrapponibile a quella posta in essere con l'inganno (resa palese con il pregresso termine «pretesto»), dovendosi ritenere che l'enunciazione da parte del mediatore-faccendiere del rapporto con i pubblici poteri non sia rivolta ad indurre in errore il cliente per mezzo di artifici e raggiri, quanto necessariamente a prospettare, seppure non in termini di certezza, la concreta possibilità di influire sull'agente pubblico; condotta tesa non a sfruttare una relazione inesistente ma a vantare la concreta possibilità di riuscire ad influenzare l'agente pubblico, che si pone, a ben osservare, nella fase immediatamente prodromica rispetto ad un eventuale reale coinvolgimento dell'agente pubblico (idoneo ad integrare uno dei reati elencati nell'incipit dell'art. 346-bis c.p.).

I sostenitori di questo orientamento ritengono, dunque, che non vi sarebbe continuità normativa tra l'abrogata ipotesi di millantato credito ascritta all'agente che riceve o si fa dare o promettere denaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il pubblico ufficiale o impiegato o di doverlo comunque remunerare, e l'ipotesi oggi incriminata dall'art. 346-bis c.p. nella parte in cui punisce il faccendiere che, sfruttando o vantando relazioni asserite con l'agente pubblico, si fa dare o promettere indebitamente denaro o altra utilità per remunerarlo in relazione all'esercizio delle sue funzioni; condotta, quest'ultima, che, in considerazione della intervenuta abrogazione del secondo comma dell'art. 346 c.p., deve ritenersi integrare il delitto di cui all'art. 640 comma 1, c.p. allorché l'agente, mediante artifici e raggiri, induca in errore la parte offesa che si determini a corrispondere denaro o altra utilità a colui che vanti rapporti neppure ipotizzabili con il pubblico agente (2).

(1Cass. pen., sez. VI, 26 maggio 2022, n. 32574; Cass. pen., sez. VI, 22 marzo 2022, n. 20935; Cass. pen., sez. VI, 8 giugno 2021, n. 26437; Cass. pen., sez. VI, 12 maggio 2021, n. 35581; Cass. pen., sez. I, 5 maggio 2021, n. 23877; Cass. pen., sez. VI, 28 aprile 2021, n. 22101; Cass. pen., sez. VI, 23 marzo 2021, n. 16467; Cass. pen., sez. VI, 7 ottobre 2020, n. 1869, dep. 2021; Cass. pen., sez. VI, 12 novembre 2019, n. 1659, dep. 2020; Cass. pen., sez. VI, 19 giugno 2019, n. 51124; Cass. pen., sez. VI, 14 marzo 2019, n. 17980.

    

(2Cass. pen., sez. VI, 12 dicembre 2022, n. 11342, dep. 2023; Cass. pen., sez. VI, 8 luglio 2022, n. 49657; Cass. pen., sez. VI, 10 marzo 2022, n. 23407; Cass. pen., sez. VI, 2 febbraio 2021, n. 28657; Cass. pen., sez. VI, 19 settembre 2019, n. 5221, dep. 2020.

Rimessione alle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. II, 28 giugno 2023, n. 31478
  • I giudici rimettenti erano chiamati a scrutinare il ricorso per cassazione dell'imputato condannato per il delitto di cui all'art. 346-bis c.p., per essersi fatto consegnare da altro soggetto - detenuto in carcere come lui - la somma di 3.000 euro, asseritamente destinata ad essere consegnata ad un non meglio identificato agente della Polizia penitenziaria, onde evitare il trasferimento della persona offesa presso altro istituto penitenziario sito in Sardegna.
  • Con il ricorso per cassazione l'imputato deduceva, tra l'altro, che la condotta incriminata era stata posta in essere prima dell'entrata in vigore del nuovo testo dell'art. 346-bis c.p.: posto che la promessa di un interessamento o la mera vanteria non erano sufficienti per la configurazione del reato di cui all'art. 346-bis c.p., il ricorrente sosteneva che non vi era continuità normativa tra le due fattispecie in esame, poiché nel “vecchio” millantato credito non era ricompresa la condotta di chi, mediante artifici o raggiri, riceveva o si faceva dare o promettere denaro o altra utilità con il pretesto di dover comprare il pubblico ufficiale.
  • La Seconda Sezione, accertata l'esistenza del contrasto ormai radicatosi nella recente giurisprudenza di legittimità, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, formulando il seguente quesito: «Se sussista continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all'art. 346, comma 2, c.p., abrogato dall'art. 1, comma 1, lett. s), legge 9 gennaio 2019, n. 3, e quello di traffico di influenze illecite di cui al novellato art. 346-bis c.p.».

Informazione provvisoria

Le Sezioni Unite, all'esito della camera di consiglio del 29 febbraio 2024, hanno dato risposta «negativa» alla questione controversa sottoposta al loro esame, ritenendo, dunque, che non sussista continuità normativa tra le due ipotesi delittuose in oggetto.

Le motivazioni delle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. un., 29 febbraio 2024, n. 19357
  • Le Sezioni Unite hanno preliminarmente proceduto ad un inquadramento sistematico, ricostruendo l'evoluzione normativa che ha caratterizzato i delitti di millantato credito e di traffico di influenze illecite, ed hanno ripercorso i due orientamenti in contrasto, illustrando i motivi per i quali, all'indomani della formale cancellazione dell'art. 346 comma 2, c.p., e della contestuale rimodulazione del testo dell'art. 346-bis c.p. operata dalla l. n. 3/2019, alcune pronunce abbiano ritenuto integrato un mero fenomeno di successione di leggi penali rispetto allo stesso reato, un meccanismo di successione modificativa («fusione, mediante incorporazione, di due disposizioni incriminatrici») definito come di abrogatio sine abolitione, con conseguente applicazione dei principi dettati dall'art. 2 comma 4, c.p., mentre altre pronunce abbiano ritenuto sussistente un fenomeno di abolitio criminis, sia pure parziale, con espunzione dall'ordinamento della illiceità penale di parte dei fatti precedentemente previsti come reato, con conseguente applicazione dei principi dettati dall'art. 2 comma 2, c.p.
  • Hanno, successivamente, illustrato i motivi per i quali hanno ritenuto di aderire a quest'ultimo orientamento: «Per risolvere il quesito in argomento - riguardante una peculiare ipotesi di successione di leggi penali caratterizzata dall'abrogazione di una disposizione e dalla contestuale modifica del contenuto di altra già esistente - lungi dal poter fare affidamento sulla sola verifica del bene giuridico tutelato o delle modalità dell'offesa qualificanti ciascuna delle norme poste a raffronto, ovvero sulla regola della c.d. doppia punibilità in concreto (in quanto canoni caratterizzati da troppo ampi margini di incertezza), l'unico attendibile criterio utilizzabile è quello fondato sul formale confronto strutturale tra le considerate fattispecie incriminatrici, da compiere con una esegesi letterale e logico-sistematica dei modelli astratti di reato in avvicendamento cronologico», accertando se l'intervento legislativo più recente abbia assunto «carattere demolitorio di un elemento costitutivo del fatto tipico, alterando radicalmente una precedente figura di reato», ovvero ne abbia consentito la sopravvivenza, «non incidendo sulla struttura della stessa».
  • Ad avviso delle Sezioni Unite, «la scelta del legislatore del 2019 di abrogare l'art. 346 c.p. e contestualmente di modificare ... il contenuto dell'art. 346-bis c.p., ha comportato un fenomeno di abolitio criminis con riferimento ai fatti di millantato credito c.d. "corruttivo", già previsti dall'art. 346, comma 2, c.p.».
  • Ed invero, nella figura prevista dall'abrogato art. 346 comma 2, c.p. «il reato era monosoggettivo, in quanto la disposizione era tutta "concentrata" sulla condotta dell'unico soggetto di cui era prevista la punizione», mentre la controparte era raffigurata come soggetto danneggiato, perché tratto in inganno dalla vanteria di una inesistente relazione con il pubblico agente, i cui favori il millantatore si proponeva di comprare. Invece, «nella figura prevista dal "nuovo" art. 346-bis c.p., il reato è, al contrario, normativamente plurisoggettivo, perché si sanzionano - con la stessa pena - entrambe le parti di una intesa, sia il trafficante di influenze che "vanta una relazione asserita", sia il committente che dà o promette denaro o altra utilità. L'illecito si atteggia come reato-contratto e il medesimo trattamento sanzionatorio riservato ad entrambi i coautori, compreso il privato che paga o che promette di pagare, è ragionevolmente compatibile con i principi costituzionali di materialità e di offensività solamente ritenendo che il committente, lungi dall'essere un soggetto ingannato, è consapevole che il trafficante non ha (ancora) una relazione effettiva con il pubblico agente».
  • Ulteriore elemento sintomatico di discontinuità normativa tra le due disposizioni incriminatrici è costituito dalla «differente formulazione letterale delle due fattispecie criminose poste a raffronto. Nell'art. 346, comma 2, c.p. la formula “millantando credito presso un pubblico ufficiale o un pubblico impiegato”, tradizionalmente evocatrice di un'attività latamente ingannatrice, è collegata a quella “col pretesto di dover comprare il favore” di quel pubblico agente “o di doverlo remunerare”. Termine, questo del “pretesto”, espressione di una componente frodatoria ovvero di una più marcata falsa rappresentazione della realtà, che - significativamente presente nell'art. 640, comma 2, n. 1, c.p. con riferimento ad una ipotesi di truffa aggravata - è assente nel “nuovo” art. 346-bis c.p.: nel quale la formula “vantando relazioni [...] asserite” potrebbe ritenersi parificabile a quella del “millantando credito” di cui alla disposizione abrogata, senza potersi considerarsi comprensiva anche dello specifico sintagma “col pretesto di comprare”. Nel reato di millantato credito c.d. “corruttivo” - a differenza di quanto accade nel millantato credito c.d. “semplice”, nel quale la sola formula del “millantare un credito” sembra avere un più ampio orizzonte di significati, potendovi far rientrare anche casi di mera accentuazione di un dato reale - il “pretesto” di corrompere il pubblico funzionario diventa la specifica causa della dazione o della promessa del privato, il quale assume quell'impegno perché vittima di un abuso di fiducia, soggetto tratto in inganno: senza che rilevi l'eventuale fine illecito perseguito dall'ingannato, essendo pacificamente ammessa anche la tutela del truffato in re illicita … Ciò a differenza di quanto accade nel reato di traffico di influenze illecite nel quale, come si è già chiarito, la “mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio” è la causa tipica dell'accordo raggiunto tra il trafficante che chiede e il committente che dà o promette un corrispettivo sinallagmaticamente collegato alla iniziativa assunta dal “faccendiere”».
  • Si è, dunque, in presenza di una significativa difformità lessicale, che è espressione delle diverse rationes giustificatrici dell'intervento punitivo, ed è ragionevole, sulla base delle considerazioni che precedono, ribadire che «il legislatore del 2019, inserendo nell'art. 346-bis c.p. la formula “vantando relazioni ... asserite”, senza riproporre il sintagma “col pretesto” presente nella figura del millantato credito c.d. “corruttivo”, abbia voluto far riferimento non alla ipotesi del soggetto tratto in inganno dal mediatore (che resta, in tal modo, espunta dall'ambito del penalmente rilevante, a norma dell'art. 2, comma 2, c.p.), ma a quella di colui che partecipa a pieno titolo ad una intesa criminosa. Soggetto punibile, al pari del “trafficante”, perché, pur consapevole che la relazione con il pubblico funzionario è ancora inesistente e solo “vantata”, decide di fare affidamento sulla potenziale capacità del mediatore di instaurare quel “rapporto affaristico”: in tal modo concorrendo a determinare quella effettiva messa in pericolo del bene giuridico protetto, che, in una lettura costituzionalmente orientata, è l'unica condizione che può legittimare l'omogeneo trattamento sanzionatorio per entrambi i correi».
  • Le Sezioni Unite hanno, infine, precisato che l'assenza di una relazione di specialità unilaterale tra la fattispecie incriminatrice abrogata e quella di cui all'art. 640 c.p. «impedisce di ravvisare gli estremi di quella continuità normativa che, ai sensi dell'art. 2, comma 4, c.p., consentirebbe al giudice di riqualificare i fatti, già integranti gli estremi di una fattispecie incriminatrice speciale oramai abolita, ai sensi di altra norma generale preesistente e tornata ad essere applicabile. Tale conclusione è coerente con le valutazioni offerte dalle Sezioni Unite, le quali, nell'esaminare un analogo caso di successione di leggi penali nel tempo, hanno asserito che, mentre “l'abrogazione di una norma incriminatrice determina certamente una situazione di c.d. abrogatio sine abolitione se la scelta legislativa mantiene fermo il disvalore delle classi di fatti conformi alla detta norma, riportandole implicitamente alla disciplina prevista da altra norma preesistente, in rapporto di specialità con la prima [...], non è [invece] riconducibile nell'ambito della previsione di cui al quarto comma dell'art. 2 c.p.” il differente caso della applicazione di una norma preesistente riguardante una ipotesi di reato strutturalmente diversa da quella abrogata: situazione nella quale “opera certamente [...] il disposto del secondo comma dell'art. 2 c.p., quanto alla fattispecie soppressa, non trovando la medesima, nel suo aspetto strutturale essenziale, riscontro in altra norma dell'ordinamento” (Cass. pen., sez. un., n. 24468/2009, Rizzoli, cit.)»: dunque, pur se il fatto commesso in epoca anteriore alla entrata in vigore della novella legislativa del 2019 poteva astrattamente corrispondere ad entrambe le fattispecie incriminatrici, l'abolizione della fattispecie di millantato credito c.d. corruttivo comporta che l'imputato può essere chiamato a rispondere del delitto di truffa nel solo caso in cui «nel processo siano stati formalmente contestati e accertati in fatto tutti gli elementi costitutivi della relativa diversa fattispecie. Ad analoga soluzione si perviene per le condotte poste in essere dopo l'entrata in vigore della legge n. 3/2019 che restavano (e restano tuttora) punibili ai sensi dell'art. 640 c.p., in presenza di tutti i relativi elementi costitutivi, purché formalmente contestati all'imputato e accertati in fatto nel processo».
  • Sulla base di queste considerazioni, le Sezioni Unite hanno risolto la questione controversa statuendo il principio di diritto secondo cui:
  • «Non sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all'art. 346, comma 2, c.p. - abrogato dall'art. 1, comma 1, lett. s), della legge 9 gennaio 2019, n. 3 - e il reato di traffico di influenze illecite di cui all'art. 346-bis c.p., come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. t) della citata legge».
  • «Le condotte, già integranti gli estremi dell'abolito reato di cui all'art. 346, comma 2, c.p., potevano, e tuttora possono, configurare gli estremi del reato di truffa (in passato astrattamente concorrente con quello di millantato credito corruttivo), purché siano formalmente contestati e accertati in fatto tutti gli elementi costitutivi della relativa diversa fattispecie incriminatrice».

    

       

Per approfondire si veda Vi è discontinuità tra l’abrogato millantato credito corruttivo e il nuovo traffico di influenze illecite.

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