Impugnazione via PEC priva di sottoscrizione: il giudice ad quem può dichiarare l'inammissibilità?

22 Gennaio 2024

Uno dei contrasti che si affacciano nel panorama della giurisprudenza di Cassazione riguardano la seguente questione: in caso di inammissibilità ‘telematica’ legata al deposito via PEC dell’impugnazione (per mancato rispetto dei requisiti dapprima contenuti nell’art. 24, comma 6-sexies, d.l. n. 137/2020 e adesso trasfusi nell’art. 87-bis d.lgs. n. 150/2022) il provvedimento di inammissibilità del gravame spetta solo al giudice a quo od anche al giudice ad quem?

Si contendono il campo interpretativo due diversi orientamenti.

Un primo orientamento, formatosi (non senza contrasti) in seno alla disciplina pandemica, ritiene che, in linea di continuità normativa, l'art. 87-bis, comma 8, ha introdotto un'ipotesi di competenza funzionale del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, in deroga alla disciplina generale del codice di rito (così, nel periodo di contrasto al covid-19, Cass. pen., sez. IV, n. 7097/2022).

Alla stessa stregua dell'art. 24, comma 6-septies, adesso l'art. 87-bis, comma 8, della riforma Cartabia attribuisce al giudice a quo, derogando l'art. 591, comma 2, c.p.p., il potere di rilevare, con ordinanza ricorribile per cassazione, la inammissibilità dell'impugnazione nelle sole ipotesi previste (dapprima dal precedente comma 6-sexies ed ora) dal comma 7 del medesimo art. 87-bis, onde valorizzare la vicinanza di tale organo al sistema telematico e la immediata accessibilità, in capo allo stesso, alla verifica dei requisiti formali previste dalla citata disposizione, mantenendo in capo al giudice di impugnazione il potere di rilevare le diverse ipotesi di inammissibilità di cui all'art. 591 c.p.p.

Tale interpretazione è stata di recente sposata anche da Cass. pen., sez. III, n. 44669/2023: «Dalla lettura del d.lgs. n. 150/2022, art. 87-bis, emerge che il legislatore ha dettato una disciplina complementare all'art. 591 c.p.p. mediante la previsione di specifiche cause di inammissibilità ulteriori rispetto a quelle del codice di rito, la cui cognizione è rimessa al giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, l'unico che riceve telematicamente l'atto di impugnazione. Il giudice ad quem, infatti, non riceve l'atto informatico e il messaggio di posta che lo contiene, sicché gli è di fatto impedito o gli è, comunque, difficoltoso, compiere le relative verifiche tecniche» (viene richiamata Cass. pen., sez. I, n. 28587/2022, con riferimento all'art. 24, commi 6-sexies e 6-septies, d.l. n. 137/2020).

A questa posizione giurisprudenziale, si contrappone altro orientamento in seno alla Corte di cassazione il quale, pur condividendo la ratio del comma 8 dell'art. 87-bis (tale disposizione è chiara, in quanto è l'ufficio che riceve l'atto di impugnazione ad avere immediatamente disponibile la possibilità, anche informatica, di verifica dei requisiti già indicati), la competenza attribuita al giudice a quo dall'art. 87-bis, comma 8, d.lgs. n. 150/2022, di rilevare i vizi comportanti inammissibilità dell'impugnazione ai sensi del precedente comma 7, non esclude la concorrente competenza del giudice ad quem di rilevare le medesime cause, oltre a quelle previste nell'art. 591 c.p.p..

Infatti, «è chiaro che, in ogni caso, anche qualora l'ufficio che riceve l'impugnazione non prenda provvedimenti in tal senso, la verifica della correttezza della proposizione dell'impugnazione può essere richiesta, o anche operata d'ufficio, dal giudice chiamato a deciderla» (Cass. pen., sez. IV, n. 43976/2023).

Tale soluzione è stata adottata con riferimento alla disciplina emergenziale pandemica da Covid-19, ove «la competenza funzionale a dichiarare l'inammissibilità dell'impugnazione, ai sensi dell'art. 24, comma 6-septies, d.l. n. 137/2020, depositata in via telematica per mancanza di taluno dei requisiti indicati dall'art. 24, comma 6-sexies, lett. a) ed e) d.l. 137/2020, conv. in l. n. 176/2020, non spetta in via esclusiva al giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, ma appartiene anche, in via alternativa, al giudice ad quem non emergendo dal citato art. 24 alcuna preclusione in tal senso» (Cass. pen., sez. V, n. 25799/2023).

Dalla lettera della norma non emerge espressamente che la competenza attribuita al giudice a quo sia esclusiva e che, una volta che quest'ultimo abbia omesso di rilevare taluno dei vizi che determinano, ai sensi prima dell'art. 24, comma 6-sexies, d.l. n. 137/2020 ed adesso dell'art. 87-bis, comma 7, d.lgs. n. 150/2022, l'inammissibilità dell'impugnazione, questa non possa essere dichiarata dal giudice ad quem.

Nel silenzio normativo, deve, quindi, trovare applicazione il principio per il quale l'inammissibilità può sempre essere dichiarata in ogni stato e grado del processo e deve ammettersi che il giudice superiore possa rilevare le cause di inammissibilità non rilevate dal giudice inferiore. Di conseguenza, anche la Corte di appello, laddove il Tribunale non vi abbia già provveduto (idem la Corte di cassazione laddove non vi abbia provveduto il giudice di appello), è tenuta a dichiarare l'inammissibilità dell'atto di impugnazione.

Tale interpretazione si ritiene imporsi per un duplice ordine di considerazioni.

In primo luogo, essa è conforme al principio di ragionevole durata del processo. Anche laddove si ritenesse che il giudice a quo possa dichiarare le sole cause di inammissibilità dell'impugnazione previste ora dall'art. 87-bis della riforma Cartabia e la Corte di appello le sole diverse cause di inammissibilità di cui all'art. 591 c.p.p., in virtù del riparto di competenze sostenuto dal ricorrente, «dovrebbe comunque ammettersi la possibilità per questa Corte di cassazione di rilevare d'ufficio le une e le altre, in virtù della giurisprudenza sopra citata. Ne deriverebbe un inutile allungamento dei tempi processuali non potendo la inammissibilità essere rilevata in limine litis dalla Corte di appello e dovendo attendersi il giudizio in cassazione per la sua dichiarazione» (ancora, Cass. pen., sez. V, n. 25799/2023).

In secondo luogo, laddove si aderisse al primo orientamento, le parti diverse dall'appellante non potrebbero dedurre l'inammissibilità dell'impugnazione per le cause legate alle modalità tecniche di sottoscrizione e invio della PEC, innanzi al giudice ad quem, senza che le stesse abbiano potuto far valere le loro ragioni in proposito innanzi al giudice a quo, atteso che quest'ultimo, laddove non rilevi alcuna ipotesi di inammissibilità dal comma 7 dell'art. 87-bis d.lgs. n. 150/2022, deve limitarsi a trasmettere gli atti al giudice ad quem senza attuare alcun contraddittorio tra le parti. Una lettura costituzionalmente orientata di tali disposizioni e rispettosa del diritto di difesa che deve essere parimenti riconosciuto a tutte le parti del processo impone di ritenere ammissibile il rilievo, su istanza di parte o di ufficio, da parte del giudice dell'impugnazione dei vizi di ammissibilità più volte indicati.

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