La diversa strumentalità delle misure protettive e cautelari nel Codice della crisi

Danilo Galletti
23 Gennaio 2024

Misure protettive e cautelari rivestono entrambe una generica funzione cautelare, ma rispondono ad una differente nozione di strumentalità: le seconde vengono pronunciate all’esito di un accertamento, sommario, di un obbligo del creditore di non ostacolare una data soluzione regolatoria della crisi; con le prime, invece, il Giudice impone temporaneamente di non ricorrere alla tutela del credito in attesa della definizione di una soluzione regolatoria le cui linee generali appaiono allo stato non implausibili.

Il discrimine fra misure protettive e cautelari non sembra essere stato esplicitato in modo soddisfacente nel testo delle norme, né è stato oggetto sinora di troppi approfondimenti dogmatici.

La ricostruzione sembra dover partire dal diritto sostanziale: la crisi, e soprattutto la decisione resa ostensibile del debitore di tentare la sua regolazione, influisce ed impatta direttamente sul rapporto giuridico fra debitore e creditore, modificandone la disciplina, ed inserendovi nuovi obblighi, oneri e soggezioni, che hanno riguardo anche all'interesse degli altri creditori e stakeholders interessati, e che trovano sede o nei doveri di buona fede e correttezza (artt. 1175-1375 c.c.), o comunque nel contenuto “integrativo” della legge (art. 1374 c.c.).

Quest'assetto sistematico discende ora dalla disciplina della composizione negoziata della crisi e dei “principi generali” del CCII.

Già quando il debitore annuncia che intende intraprendere la regolazione della crisi si attivano probabilmente determinati obblighi minimali (ad es. quello di ascoltare le proposte di composizione, e forse di partecipare alle trattative cui si è invitati); però la mera dichiarazione di intenti del debitore non può ragionevolmente comportare l'insorgere di obblighi che comportino un sacrificio troppo rilevante dell'interesse del creditore a ricevere l'adempimento esatto.

Le misure protettive (soprattutto nella composizione negoziata della crisi), amministrate non a caso dall'autorità giudiziaria ordinaria, svolgono la funzione, genericamente cautelare, di “forzare” la collaborazione dei creditori alle trattative intraprese dal debitore, e comportano per il giudice la necessità di ponderare l'interesse dei creditori, come massa (anche se occasionalmente può trovare tutela la situazione dei singoli, ad es. quando viene “selezionata” la cerchia di creditori interessati dalle misure, oppure con le misure “atipiche” di cui al terzo periodo dell'art. 54), a non subire limitazioni nella propria sfera di azione, con quello di tutte le “collettività” interessate a beneficiare dei vantaggi di una eventuale futura soluzione regolatoria, rispetto all'alternativa liquidatoria.

Non vi si accerta l'obbligo del singolo creditore o dei singoli creditori ad agire oppure di subire qualcosa; il Giudice effettua al contrario una ponderazione oggettiva, secondo parametri “di sistema”: pregiudizio/sacrificio alla massa dei creditori da un lato, vantaggi prospettici per le varie “collettività” dall'altro.

Ecco perché le misure protettive hanno una durata massima predeterminata: i creditori non sono ancora “obbligati” sul piano civilistico a fare/subire qualcosa (o almeno il giudice non accerta questo), sono semplicemente “forzati” in tal senso da una decisione del giudice che contempera i vari interessi su un piano oggettivo, in un dato momento storico.

Ciò presuppone per legge che vi sia già almeno un “progetto” di regolazione, destinato ad essere implementato attraverso le trattative; altrimenti il sacrificio imposto ai creditori, in carenza di un obbligo sostanziale nei loro confronti, sarebbe eccessivo, comportando per essi un rischio del tutto sperequato.

Nelle misure cautelari invece il giudice accerta, sia pure nei limiti della tutela cautelare, che il/i destinatario/i della richiesta, da individuare però espressamente, sia effettivamente tenuto civilisticamente a porre in essere un certo comportamento, oppure a subire un'azione del debitore, volti sempre alla regolazione.

Analoga tutela può essere esperita anche nei confronti di terzi, che non siano “creditori”, purché sia ricostruibile anche nei loro confronti un analogo obbligo di non contrastare la regolazione, obbligo in ipotesi fondato sui noti doveri di “solidarietà”.

Ecco perché le misure cautelari non sopportano limiti temporali massimi: il Giudice assicura provvisoriamente l'attuazione di un obbligo del destinatario che è già nella legge, e tale comando persiste sino a che l'obbligo permane; con la successiva regolazione della crisi (rectius attivazione/omologazione dello strumento) il comando viene normalmente “assorbito” dalla disciplina tipica.

Di peculiare c'è che non si attiva e (forse) non si può attivare un giudizio di merito per accertare il diritto assicurato dal comando cautelare; ma la strumentalità opera forse qua in modo peculiare, come del resto in altri casi (ad es. con la tutela cautelare nei procedimenti esecutivi, ove il giudice non svolge funzioni di accertamento, se non negli episodi di “opposizione”).

Ciò presuppone però che ci sia qualcosa di più di un “progetto di piano” di risanamento: perché nasca infatti l'obbligo nel rapporto sostanziale fra debitore e creditore destinatario della misura serve quantomeno l'elaborazione di una strategia di risanamento coerente e compiuta, che possa giustificare, secondo buona fede od altro (art. 1374 c.c.), l'imposizione al creditore del dovere di non ostacolarne l'attuazione, in attesa del perfezionamento dello strumento regolatorio.