Irrilevante il reddito di cittadinanza: si all’assegno divorzile se residua la funzione compensativa

24 Gennaio 2024

Qual è il rapporto tra il reddito di cittadinanza e l’assegno di divorzio?

Massima

Ha diritto all’assegno divorzile il coniuge in precaria situazione economica, senza prospettive di occupazione lavorativa e che si è dedicato per tutta la durata del matrimonio alla cura della famiglia, nonostante la percezione del detto reddito di cittadinanza che risulta irrilevante anche alla luce della recente abrogazione dell’istituto.

Il caso

Il Tribunale di Cassino omologava la separazione consensuale tra Tizio e Caia, che prevedeva un assegno a titolo di mantenimento per Caia di € 570 oltre ad € 350 per il godimento esclusivo della casa coniugale concesso dalla moglie a Tizio.

Successivamente quest’ultimo agiva per ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio, chiedendo l’assegnazione in suo favore della casa coniugale e la revoca sia del disposto assegno di mantenimento sia del contributo dovuto in virtù della rinuncia di Caia a restare nell’immobile.

Il Tribunale adito emetteva sentenza parziale di divorzio e, ritenendo raggiunta la prova della stabile convivenza di Caia con il nuovo compagno, riteneva insussistente il diritto di beneficiare dell’assegno divorzile.

Caia ricorreva in appello lamentando la mancata assegnazione della casa coniugale e la statuizione dell’assegno di divorzio. I giudici di secondo grado accoglievano parzialmente tali domande, ponendo a carico di Tizio la somma di € 400 quale assegno mensile in favore di Caia.

Tizio ricorreva così in cassazione articolando un unico motivo.

La questione

Qual è il rapporto tra il reddito di cittadinanza e l’assegno di divorzio?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione dichiarava inammissibile il ricorso e non disponeva nulla sulle spese data la mancata attività difensiva di Caia.

In particolare, il Supremo Collegio riteneva che il motivo di Tizio fosse diretto al riesame dei fatti e a rimettere in discussione la decisione dei giudici di merito prospettando interpretazioni diverse della fattispecie.

Tizio, infatti, sosteneva che la Corte d'Appello non avesse considerato il reddito di cittadinanza percepito dall'ex moglie e la pensione di cui era titolare il nuovo compagno della stessa.

Nel caso in questione occorre osservare però che Caia:

- si era dedicata per tutta la durata del matrimonio alla cura della famiglia e dei figli;

- non percepiva alcuna pensione;

- non era proprietaria di ulteriori cespiti oltre al 50% della casa coniugale.

Per tali ragioni era legittimo presumere che l'ex moglie avesse contribuito alla formazione del patrimonio familiare con conseguente diritto all'assegno divorzile nella funzione compensativa, venendo meno la funzione assistenziale stante la relazione stabile con il nuovo compagno.

Parallelamente non era, invece, provato il depauperamento di Tizio in ragione del peggioramento delle sue condizioni fisiche a cui era seguito, comunque, il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento e l'aumento della pensione.

E' necessario, infine, sottolineare come il riferimento al reddito di cittadinanza sia stato ritenuto dal Supremo Collegio del tutto irrilevante, anche alla luce della recente abrogazione dell'istituto. L'assegno divorzile deve essere volto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge beneficiario alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale, non alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale (v. Cass. civ., n. 5605/2020; Cass. civ., n. 17098/2019).

Più precisamente la condizione per l'attribuzione dell'assegno divorzile in funzione compensativa non è il fatto in sé che uno dei coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure domestiche e dei figli, né di per sé il divario, lo squilibrio reddituale tra gli ex coniugi o l'elevata capacità economica di uno dei due.

Occorre piuttosto indagare sulle ragioni e conseguenze della scelta di uno dei coniugi, seppure condivisa con l'altro, di dedicarsi prevalentemente all'attività familiare, la quale è pur sempre attuativa dei doveri inderogabili derivanti per ciascun coniuge dal vincolo matrimoniale (cfr. art. 143 c.c., in collegamento con l'art. 4 Cost., comma 2), insuscettibili di diretta patrimonializzazione ex-post in termini di mera corrispettività (v. Cass. civ., n. 22738/2021; Cass. civ., n. 32398/2019, Cass. civ., n. 21234/2019)

Osservazioni

La vicenda in esame ci permette di formulare alcune considerazioni, a partire da che cosa è il reddito di cittadinanza.

Si tratta di una “misura di politica attiva del lavoro e di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all'esclusione sociale”, che si concretizza in un sostegno economico ad integrazione dei redditi familiari introdotto con d.l. n. 4/2019.

Introdotto nell'ordinamento welfaristico italiano è un “reddito minimo garantito” e, cioè, un sussidio non categoriale, non contributivo, selettivo e condizionato, che spetta solo a coloro che sono sprovvisti di mezzi a prescindere da altri criteri come l'età, l'eventuale inabilità o lo stato di disoccupazione, ed è legato a percorsi di accesso al mondo del lavoro (v. G. Maurizio Ballistreri, ll reddito di cittadinanza in Italia tra aporie e prospettive, 2019).

Merita un approfondimento il tema della “coesistenza” tra il reddito di cittadinanza e l'assegno divorzile, ma per prima cosa è opportuno ricordare la “funzione complessa” dell'assegno di divorzio: la sua natura compensativa e perequativa, che discende dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato a quanto fornito nella realizzazione della vita familiare, considerando anche le aspettative professionali sacrificate. L'elemento contributivo-compensativo si coniuga senza difficoltà con quello assistenziale: entrambi sono finalizzati a ristabilire l'equilibrio, che con lo scioglimento del vincolo viene a mancare (v. Cass. civ., sez. un. n. 18287/2018).

In mancanza di una previsione normativa, occorre analizzare la giurisprudenza: secondo alcuni “il reddito di cittadinanza va qualificato come fatto nuovo sopravvenuto che può giustificare una riduzione dell'assegno”, piuttosto che la revoca se unito a “reticenti dichiarazioni in ordine ai propri introiti (…) difficilmente provabili nella loro reale entità” (v. Trib. Frosinone, 18 febbraio 2020; Trib. Avellino, 4 aprile 2022) oppure il rigetto della domanda di assegno divorzile è giustificato anche dal fatto che il richiedente “non comprova di aver chiesto il reddito di cittadinanza né di non poterlo chiedere per mancanza dei requisiti” (v. Trib. La Spezia, 30 dicembre 2020).

In conclusione, il nostro sistema legislativo non prevede espressamente “gli eventuali effetti che il reddito di cittadinanza può avere sull'assegno di mantenimento o di divorzio, lasciando così ampio spazio ai Giudici di analizzare e valutare le specificità del singolo caso familiare sul quale sono chiamati a pronunciarsi e sulla possibilità di revocare o ridimensionare l'importo di detto assegno” (v. Michol Fiorendi, L'impatto del reddito di cittadinanza sull'assegno di divorzio, in IUS Famiglie)

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