Estorsione: configurabilità del reato quando il danno consista nella perdita di chance, e rapporti con il delitto di turbata libertà degli incanti

24 Luglio 2024

Rientra nella nozione di danno patrimoniale di cui all'art. 629 c.p. la perdita dell'aspettativa di conseguire un vantaggio economico? È possibile configurare, oltre al reato di cui all'art. 353 c.p., anche quello di cui all'art. 629 c.p. quando l'agente, con violenza o minaccia, allontani gli offerenti da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private?

Questione controversa

La questione controversa riguarda l'esatto inquadramento giuridico della condotta di colui che, usando violenza o minaccia, allontani gli offerenti da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private: ci si chiede, in particolare, se questa condotta possa integrare il delitto di estorsione, pur consistendo il danno in una mera perdita di chance, e, in caso affermativo, quali siano i rapporti tra il delitto di estorsione e quello di turbata libertà degli incanti, posto che, per un verso, il fine del conseguimento di un ingiusto profitto con altrui danno patrimoniale, elemento costitutivo del reato di cui all'art. 629 c.p., è del tutto estraneo al reato di cui all'art. 353 c.p., connotato, invece, dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di impedire la gara, di turbarla o di allontanare gli offerenti, con l'uso dei mezzi indicati dalla stessa previsione normativa, e che, per altro verso, il reato di turbata libertà degli incanti si consuma nel momento e nel luogo in cui, con l'uso di uno dei mezzi previsti dalla legge, si è impedita o turbata la gara, senza che occorra né la produzione di un danno, né il conseguimento di un profitto.

Possibili soluzioni
Prima soluzione Seconda soluzione

Alcune pronunce di legittimità hanno individuato il danno del delitto di estorsione nella lesione dell'autonomia negoziale, ossia della libertà di regolamentare i propri interessi (cfr., da ultimo, Cass. pen., sez. II, 19 febbraio 2020, n. 12434): poiché una parte della giurisprudenza ritiene che il delitto di turbata libertà degli incanti tuteli non solo l'interesse della pubblica amministrazione alla regolarità della gara, ma anche quello del privato a potervi liberamente partecipare e ad influenzarne l'esito (cfr. Cass. pen., sez. II, 26 gennaio 2006, n. 4925), potrebbe ritenersi che - essendo il danno consistente nella lesione dell'autonomia negoziale già tutelato dall'incriminazione ex art. 353 c.p. - vi sia un rapporto di specialità tra i due delitti, con conseguente configurabilità esclusivamente del reato di turbata libertà degli incanti.

Questa è la tesi sostenuta da Cass. pen., sez. VI, 3 marzo 2004, n. 19607, che, occupandosi di condotte minatorie dirette a dissuadere i titolari di ditte concorrenti a partecipare alla gara, ha escluso il concorso di reati, facendo leva sulla natura plurioffensiva del reato di cui all'art. 353 c.p., idonea a comprendere anche gli interessi sottesi all'art. 629 c.p.

Nella più recente giurisprudenza di legittimità si è ritenuto che il danno del delitto di estorsione possa individuarsi anche nella perdita dell'aspettativa del soggetto passivo di conseguire vantaggi economici (cfr. Cass. pen., sez. V, 16 febbraio 2017, n. 18508; Cass. pen., sez. II, 27 aprile 2016, n. 41433).

La giurisprudenza civile ritiene, peraltro, che la chance sia configurabile solo in presenza di una buona probabilità di riuscita, e che, dunque, essa debba essere caratterizzata da una possibilità di successo presumibilmente non priva di consistenza (cfr. Cass. civ., sez. III, 7 agosto 2023, n. 24050).

Mutuando la nozione di chance dal settore civile potrebbe, allora, riconoscersi la sussistenza del danno tipico del delitto di estorsione solo quando - in una fattispecie quale quella che sarà scrutinata dalle Sezioni Unite - la vittima avesse concreta probabilità di successo; ove siffatta probabilità fosse, invece, di fatto insussistente, si dovrebbe escludere la configurabilità del reato di cui all'art. 629 c.p.

Dunque, nell'ipotesi di soggetto allontanato con violenza o minaccia da una gara, ove non si raggiungesse la prova di una sua concreta probabilità di successo (poiché l'aggiudicatario sarebbe comunque prevalso grazie alla medesima offerta), dovrebbe escludersi la sussistenza tanto dell'ingiusto profitto, giacché la presenza del concorrente escluso non avrebbe compromesso le possibilità di successo dell'effettivo vincitore, quanto del danno, poiché, anche nell'eventualità in cui avesse gareggiato, l'offerente allontanato non avrebbe visto incrementare il proprio patrimonio. Si potrebbe in tali casi dirsi prodotto, invece, un sacrificio del bene tutelato dall'art. 353 c.p., dal momento che l'assenza di un ulteriore interessato ha impedito la piena esplicazione della libera concorrenza, mettendo quindi a repentaglio, secondo un giudizio ex ante, le aspettative della pubblica amministrazione di addivenire ad una contrattazione giusta e conveniente.

Rimessione alle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. VI, 11 luglio 2023, n. 41379
  • I giudici rimettenti erano chiamati a scrutinare il ricorso per cassazione di un imputato condannato per i delitti di cui agli artt. 353 e 629 c.p., per aver intimato alle persone offese di non partecipare all'asta relativa ad un immobile di loro proprietà, così procurandosi l'ingiusto profitto conseguente alla mancata presentazione di offerte per quel lotto, con correlativo danno per le persone offese, e per avere altresì, con la medesima condotta, turbato la regolarità delle aste relative ai beni suindicati.
  • Erano, altresì, chiamati a scrutinare il ricorso per cassazione di altri imputati condannati per i delitti di cui agli artt. 353 e 629 c.p., per aver impedito con minacce e violenze ai due aggiudicatari provvisori di un immobile - di proprietà di una società facente capo ad uno degli imputati - di partecipare all'udienza fissata dopo l'offerta in aumento del sesto presentata dalla figlia di quell'imputato.
  • Con il ricorso per cassazione gli imputati deducevano, tra l'altro, l'insussistenza di un danno rilevante ai fini dell'art. 629 c.p., difettando la prova che le persone offese avrebbero potuto aggiudicarsi i beni se avessero partecipato all'asta, ovvero se, nel secondo caso, avessero partecipato all'incanto fissato a seguito di aumento del sesto.
  • La Sesta Sezione ha ravvisato la necessità di definire la nozione di perdita di chance, poiché dalla sua esatta perimetrazione dipendono la configurabilità del delitto di estorsione e, conseguentemente, la risoluzione del rapporto tra quest'ultimo delitto e quello di turbata libertà degli incanti: nella specie, in un caso le persone offese «erano meri interessati alla gara e non si traggono da entrambe le sentenze di merito ulteriori elementi atti a configurare in capo a essi una situazione tale da individuare una probabilità di successo», mentre nell'altro caso, essendo intervenuta l'offerta in aumento del sesto, «non è evidente che le persone offese rivestissero una posizione di consistente probabilità di successo a fronte della partecipazione alla nuova gara» di altri soggetti.
  • Dunque, hanno concluso i giudici rimettenti, «vi è la necessità di comprendere il significato da assegnare alla categoria chance e, quindi, di sciogliere il nodo sul se nella nozione di danno del reato di estorsione rientri qualsiasi chance o debba ricomprendersi soltanto la chance come delineata in sede civile, che, come detto, presuppone la prova in via presuntiva e probabilistica della concreta e consistente possibilità di conseguire vantaggi economicamente apprezzabili. Ancora più radicalmente vi è anche la necessità di comprendere se la perdita di chance, come delineata in sede civile, possa concretizzare il danno del reato di estorsione».
  • Il ricorso è stato, pertanto, rimesso alle Sezioni Unite, alle quali sono stati rivolti i seguenti quesiti:
  1. «se sia configurabile, oltre al reato di cui all'art. 353 c.p., anche quello di estorsione nella condotta di chi, con violenza o minaccia, allontani gli offerenti da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private;
  2. se nella nozione di danno patrimoniale di cui all'art. 629 c.p. rientri anche la perdita dell'aspettativa di conseguire un vantaggio economico».

Informazione provvisoria

Le Sezioni Unite, all'esito della camera di consiglio del 28 marzo 2024, hanno dato risposta affermativa ad entrambi i quesiti, statuendo che «Rientra nella nozione di danno di cui all'art. 629 c.p. anche la perdita della seria e consistente possibilità di conseguire un risultato utile di cui sia provata la sussistenza sulla base della nozione di causalità propria del diritto penale», e che i delitti di cui agli articoli 353 e 629 c.p. possono concorrere, «a condizione che ricorrano gli elementi costitutivi di entrambi i reati, in rapporto di specialità reciproca tra loro».

Le motivazioni delle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. un., 28 marzo 2024, n. 30016

In relazione al primo quesito sottoposto al loro vaglio, le Sezioni Unite, dopo aver rilevato che «Nel reato di estorsione .. il danno costituisce il perno dell'offesa criminale su cui è costruita l'intera fattispecie ed esprime la lesività materiale tipica dell'interesse tutelato», e dopo averne evidenziato la dimensione necessariamente patrimoniale, tale da ricomprendere «qualunque situazione idonea ad incidere negativamente sull'assetto economico di un individuo», hanno verificato la possibilità di ritenere integrato il danno in oggetto quando la vittima della condotta violenta o intimidatoria abbia perso l'aspettativa di conseguire un vantaggio economico.

Ricostruite storia e struttura del danno patrimoniale da perdita di chance, che, non avendo un'origine normativa, è stato progressivamente delineato dalla giurisprudenza civile di legittimità (inizialmente con riferimento al settore delle procedure concorsuali espletate dal datore di lavoro per l‘assunzione o la promozione dei lavoratori illegittimamente esclusi dalle procedure di selezione, e successivamente con riferimento ai diversi settori della responsabilità professionale e di quella in campo sanitario, ad esempio con riferimento alla diminuzione o all'elisione delle possibilità di guarigione o di sopravvivenza del paziente in conseguenza del comportamento omissivo del medico), le Sezioni Unite ne hanno evidenziato la natura di «situazione di fatto teleologicamente orientata verso il conseguimento di un'utilità o di un vantaggio e caratterizzata, in concreto, da una possibilità di successo non priva di consistenza»: si tratta, come detto, di nozioni tratte dalla elaborazione giurisprudenziale, attenta ad identificare la chance non come una mera aspettativa di fatto, ma come «seria e consistente possibilità di ottenere un risultato sperato», e, dunque, come «una entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione», sicché configura senz'altro un danno risarcibile concreto ed attuale la sua perdita, «id est la perdita della possibilità consistente di conseguire il risultato utile».

Questi generali concetti possono, ed anzi devono, ad avviso delle Sezioni Unite, trovare applicazione in campo penale, e, dunque, anche in relazione alla fattispecie estorsiva, onde evitare di «limitare al solo diritto civile», in sfregio ai principi di unità e complessiva coerenza dell'ordinamento giuridico, «il riconoscimento di un'entità patrimoniale la cui lesione pacificamente costituisca una ragione di danno risarcibile».

In ambito penale, naturalmente, l'indagine sul legame eziologico tra la condotta colpevole del reo e l'evento di danno non potrà essere condotta seguendo la regola civilistica del “più probabile che non”: occorrerà, invece, «dimostrare in termini di certezza l'esistenza di un nesso causale tra la condotta colpevole e l'evento di danno, inteso quale possibilità perduta di ottenere un risultato migliore o più favorevole, distinguendo i profili della seria ed apprezzabile possibilità dalla mera speranza o dalla generica aspettativa del conseguimento di un risultato positivo».

Al primo quesito le Sezioni Unite hanno, dunque, dato risposta affermativa, nei seguenti termini: «nella nozione di danno patrimoniale rilevante ai fini della configurabilità del delitto di estorsione rientra anche la perdita della seria e consistente possibilità di conseguire un bene o un risultato economicamente valutabile, la cui sussistenza deve essere provata sulla base della nozione di causalità propria del diritto penale».

In relazione al secondo quesito, le Sezioni Unite hanno osservato che il problema del concorso formale tra il delitto di estorsione e quello di turbata libertà degli incanti si manifesta «soprattutto nelle evenienze in cui il danno investa anche la lesione dell'autonomia negoziale, ossia della libertà di regolamentare i propri interessi», venendo in rilievo due reati che, accanto ad altro bene giuridico (l'inviolabilità del patrimonio, quanto all'estorsione; l'interesse della pubblica amministrazione al regolare svolgimento della gara secondo regole concorrenziali, quanto al reato di cui all'art. 353 c.p.), tutelano beni giuridici omogenei (in un caso la libertà personale, nell'altro l'interesse del privato a partecipare alla gara liberamente e senza condizionamenti): vi è, dunque, «un punto di intersezione» tra le aree di tutela coperte dalle due fattispecie incriminatrici, che impone di verificare se i rapporti tra le stesse possano essere disciplinati sulla base del principio di specialità di cui all'art. 15 c.p.

Le Sezioni Unite ritengono in proposito preferibile l'orientamento, di gran lunga maggioritario nella giurisprudenza di legittimità, ad avviso del quale i due reati concorrono, poiché l'estorsione si caratterizza per una coartazione dell'altrui volontà con lo specifico fine del conseguimento dell'ingiusto profitto con altrui danno patrimoniale, mentre la turbata libertà degli incanti si connota sia per il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di impedire, turbare la gara o allontanare gli offerenti, sia per essere un reato di pericolo che si consuma nel momento e nel luogo in cui si è impedita o turbata la gara, senza che occorra la produzione di un danno, né il conseguimento di un profitto.

Dunque, i «”perimetri” di offensività» delle due fattispecie non coincidono, né da un punto di vista strutturale, né da un punto di vista teleologico: «ancorché le condotte tipiche di violenza e minaccia siano assimilabili», rilevano le Sezioni Unite, «le due norme incriminatrici intendono prevenire eventi naturalistici diversi», e si caratterizzano per «elementi specializzanti diversi, che impediscono di ritenere l'una assorbita nell'altra, ponendole invece in un rapporto di specialità reciproca».

Riportando queste generali considerazioni alla concreta fattispecie oggetto di disamina, le Sezioni Unite rilevano che l'allontanamento da una gara con violenza o minaccia posta in essere in danno dell'offerente (per tale dovendosi intendere non solo colui che abbia già presentato un'offerta, «ma anche chi si prepari seriamente a presentarla o stia concretamente per farla») integra il delitto di cui all'art. 353 c.p., ma non anche quello di cui all'art. 629 c.p.

Tale ulteriore delitto viene a perfezionarsi solo quando «alla condotta di allontanamento coattivo sia causalmente riconducibile .. un pregiudizio economicamente valutabile per effetto della perdita, ai danni dell'offerente, di una seria e consistente possibilità di ottenere un risultato utile legato all'aspettativa di partecipazione ad una gara»: sicché, ad esempio, deve contestarsi il solo delitto di turbata libertà degli incanti qualora si accerti che la persona offesa «non avrebbe potuto conseguire un risultato economicamente apprezzabile, ovvero che l'aggiudicatario sarebbe comunque prevalso con la medesima offerta».

Anche il secondo quesito - pur con le puntualizzazioni che si sono appena precisate - ha, dunque, ricevuto risposta affermativa, avendo le Sezioni Unite statuito che «la condotta di chi, con violenza o minaccia, allontani l'offerente da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private, oltre ad integrare il reato di cui all'art. 353 c.p., può integrare altresì quello di cui all'art. 629 c.p., ove abbia causato un danno patrimoniale derivante dalla perdita di una seria e consistente possibilità di ottenere un risultato utile per effetto della partecipazione alla predetta gara».

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