Quando l’imputato impugni la sentenza che lo ha riconosciuto responsabile del reato ascrittogli e lo ha condannato al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, e, prima della decisione, decorrano interamente i termini di prescrizione del reato, i giudici di appello non devono limitarsi a prendere atto della causa estintiva, ma devono valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l’assoluzione nel merito dell’imputato. Le motivazioni delle Sezioni Unite.
Questione controversa
La questione controversa riguarda la regola di giudizio alla quale deve attenersi la Corte di appello innanzi alla quale sia stata impugnata la sentenza di condanna - anche al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile - in relazione a reato per il quale vengano integralmente a decorrere, prima della celebrazione dell'udienza, i termini massimi di prescrizione.
Non si tratta di questione sorta a seguito di un contrasto interno alla giurisprudenza di legittimità.
Ed invero, sul punto si era già registrato l'intervento delle Sezioni Unite, che, con la sentenza Tettamanti (Cass. pen., sez. un., 28 maggio 2009, n. 35490), avevano statuito che «allorquando, ai sensi dell'art. 578 c.p.p., il giudice di appello - intervenuta una causa estintiva del reato - è chiamato a valutare il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili per la presenza della parte civile, il proscioglimento nel merito prevale sulla causa estintiva, pur nel caso di accertata contraddittorietà o insufficienza della prova» (in termini, nella successiva giurisprudenza della Suprema Corte, Cass. pen., sez. VI, 7 gennaio 2010, n. 4855; Cass. pen., sez. VI, 20 marzo 2013, n. 16155; Cass. pen., sez. IV, 11 aprile 2018, n. 20568): si era, dunque, riconosciuto il potere del giudice di appello di addivenire - nonostante l'intervenuta estinzione del reato - ad una sentenza di assoluzione dell'imputato all'esito di una valutazione del compendio probatorio compiuta secondo la regola di giudizio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, pur dovendosi solo accertare la fondatezza della domanda di risarcimento del danno, non essendo più in discussione la responsabilità penale dell'imputato.
Questo incontroverso modus operandi è stato, tuttavia, travolto da C. cost. 7 luglio 2021, n. 182: chiamato a vagliare i rapporti tra l'art. 578 c.p.p. e la presunzione di innocenza, il Giudice delle leggi, con l'indicata sentenza interpretativa di rigetto, ha ritenuto che, nella situazione in esame, «il giudice non è affatto chiamato a formulare, sia pure incidenter tantum, un giudizio di colpevolezza penale» dell'imputato, «non è chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice, in cui si iscrive il fatto di reato di volta in volta contestato; egli deve invece accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell'illecito aquiliano», «se quella condotta sia stata idonea a provocare un danno ingiusto secondo l'art. 2043 cod. civ., e cioè se, nei suoi effetti sfavorevoli al danneggiato, essa si sia tradotta nella lesione di una situazione giuridica soggettiva civilmente sanzionabile con il risarcimento del danno»: accertamento «che impinge unicamente sugli elementi costitutivi dell'illecito civile», e che va, dunque, compiuto sulla base delle regole di giudizio proprie del giudizio civile.
Qual è, dunque, la regola di giudizio alla quale devono attenersi i giudici di appello che, nonostante l'estinzione del reato per prescrizione, debbano comunque pronunciarsi sulle statuizioni civili contenute nella sentenza impugnata?
Possibili soluzioni
Prima soluzione
Seconda soluzione
Dando continuità al dictum della Corte costituzionale, il giudice di appello dovrebbe: 1) ai fini penali, valutata l'insussistenza della evidenza della prova dell'innocenza dell'imputato, concludere per l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione (esulano, ovviamente, dalla questione controversa i casi nei quali vi siano gli estremi per una pronuncia liberatoria, e quelli nei quali l'imputato rinunci alla prescrizione); 2) ai fini civili, valutare la responsabilità dell'imputato in rapporto alla fattispecie dell'illecito aquiliano e pronunciarsi sul diritto delle parti civili al risarcimento del danno, applicando la regola di giudizio del più probabile che non.
Seguendo, invece, il principio di diritto delle Sezioni Unite Tettamanti, il giudice di appello, in presenza di una causa estintiva del reato, dovrebbe comunque valutare i fatti secondo il paradigma dell'oltre ogni ragionevole dubbio, onde pronunciarsi sulle statuizioni civilistiche della sentenza impugnata.
Rimessione alle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. IV, 8 giugno 2023, n. 30386
I giudici rimettenti erano chiamati a scrutinare il ricorso per cassazione delle parti civili avverso la sentenza di appello che, riformando la sentenza di condanna di primo grado, aveva assolto l'imputato dal reato a lui ascritto, revocando le statuizioni in favore delle parti civili.
I giudici di appello, pur rilevando che alla data della propria pronuncia il reato risultava estinto per prescrizione, avevano comunque valutato i fatti nel merito, in considerazione della presenza delle parti civili, pervenendo alla conclusione che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di primo grado, l'istruttoria dibattimentale non avesse consegnato la prova della penale responsabilità dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio.
Con il ricorso per cassazione le parti civili deducevano, tra l'altro, la violazione dell'art. 578 c.p.p., nell'interpretazione offerta dalla sentenza n. 182 del 2021 della Corte costituzionale: i giudici di appello avrebbero dovuto dichiarare la prescrizione del reato ex art. 129 comma 1, c.p.p. e, non potendo recuperare opinabili valutazioni fondate sul ragionevole dubbio in ambito penale, avrebbero dovuto valutare la condotta dell'imputato sotto il mero profilo della responsabilità civile ex artt. 2043,2054 e 2059 c.c., attenendosi alla regola di giudizio del più probabile che non.
La Quarta Sezione ha rilevato che, mentre la sentenza Tettamanti delle Sezioni Unite «è espressione di un diritto vivente per il quale la presunzione di innocenza non è chiamata a svolgere, nell'ambito dei rapporti tra azione penale ed azione civile, il ruolo di principio ordinatore, e si inscrive in un contesto culturale che trasmette all'azione civile le regole del giudizio penale in cui è stata ospitata», la sentenza n. 182 del 2021 della Corte costituzionale costituisce «termine di riferimento non eludibile», poiché «la condivisibile soluzione rinvenuta appare comporre in un ragionevole equilibrio i diversi valori in gioco, ponendosi nella linea di tendenza anche normativa di una sempre più evidente distinzione tra azione penale e azione civile».
Dunque, «la decisione cui si dovrebbe pervenire nel presente procedimento si contrapporrebbe al decisum di Sez. U. Tettamanti, dovendone disapplicare il principio secondo cui all'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, quando, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili. Ma, com'è noto, la legge 23 giugno 2017, n. 103 ha dettato nuove regole in materia di rapporti tra Sezioni unite e Sezioni semplici, introducendo con il nuovo comma 1-bis dell'articolo 618 cod. proc. pen. un'ipotesi di rimessione ‘obbligatoria', che scatta ogni qual volta una delle Sezioni semplici ritenga di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite. La norma trova evidente applicazione anche nel caso di novum che dipenda da una sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale».
Il ricorso è stato, pertanto, rimesso alle Sezioni Unite, con la formulazione del seguente quesito: «Se, nel giudizio di appello promosso avverso la sentenza di condanna dell'imputato anche al risarcimento dei danni, intervenuta l'estinzione del reato per prescrizione, il giudice debba pronunciarsi sulle statuizioni civili sulla base della regola di giudizio processual-penalistica dell'”oltre ogni ragionevole dubbio” ovvero di quella processual-civilistica del “più probabile che non”».
Informazione provvisoria
Le Sezioni Unite, all'esito della camera di consiglio del 28 marzo 2024, hanno statuito che «In coerenza con i principi sanciti dall'art. 27 Cost., dall'art. 6 della Cedu e dagli artt. 48 e 53 della Carta di Nizza, il giudice può pronunciare l'assoluzione nel merito alla stregua dei principi enunciati da Cass. pen., sez. un.,28 maggio 2009, n. 35490, Tettamanti, Rv. 244273.
Le motivazioni delle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. un., 28 marzo 2024, n. 36208
La Corte ha ripercorso il percorso ermeneutico culminato con le sentenze delle Sezioni Unite Tettamanti (Cass. pen., sez. un., 28 maggio 2009, n. 35490) e Schirru (Cass. pen., sez. un., 29 settembre 2016, n. 46688): l'obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità imposto dall'art. 129 c.p.p., funzionale ad esigenze di speditezza, deve arrestarsi, ai sensi dell'art. 578 c.p.p., quando la presenza della parte civile imponga al giudice del gravame di valutare nel merito il compendio probatorio già acquisito, nonostante l'intervenuto maturarsi della causa estintiva del reato, onde pronunciarsi sulle statuizioni civili: «ciò rende recessivo l'obbligo per il giudice di appello di attenersi a canoni di economia processuale rispetto al dovere di “conoscere” il merito della causa, aprendo in tal modo il varco alla tutela dei diritti fondamentali della persona imputata».
Si è, così, riconosciuto potere di cognizione piena al giudice di appello, che, nonostante l'integrale decorso dei termini di prescrizione, può pervenire ad un esito assolutorio, anche ai sensi dell'art. 530 comma 2, c.p.p.
Si è, successivamente, riconosciuto che, anche nel caso in cui addivenga alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, il giudice dell'impugnazione ha il potere di accertare la responsabilità civile.
Questi principi hanno trovato incontroversa applicazione nella successiva giurisprudenza di legittimità, che ha, ad esempio, statuito che «Il giudice di appello, nel dichiarare una causa estintiva del reato per il quale in primo grado è intervenuta condanna, in presenza della parte civile, è comunque tenuto a compiutamente esaminare i motivi di gravame proposti dall'imputato sul capo o punto della sentenza relativo all'affermazione di responsabilità, al fine di decidere sull'impugnazione agli effetti civili; ne deriva che, qualora detti motivi siano fondati, deve riformare la sentenza stessa, contestualmente revocando le statuizioni civili anche in difetto della proposizione di specifica doglianza al riguardo, sempreché detta condanna abbia diretta dipendenza dal capo o dal punto impugnato» (Cass. pen., sez. II, 23 maggio 2017, n. 29499), che «All'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga infondata nel merito l'impugnazione del pubblico ministero proposta avverso una sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p.» (Cass. pen., sez. IV, 21 novembre 2018, n. 53354), e, da ultimo, che «Nel giudizio di cassazione, qualora risulti che la sentenza di appello ha illegittimamente dichiarato l'inammissibilità dell'impugnazione avverso la condanna di primo grado e si proceda contestualmente anche agli effetti civili, la Corte non può immediatamente dichiarare l'estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione, limitandosi ad escludere la possibilità di un più favorevole proscioglimento per ragioni di merito ex art. 129 c.p.p., poiché il ricorso dell'imputato in ordine all'affermazione di responsabilità impone la valutazione del compendio probatorio “a cognizione piena”, sia agli effetti penali che a quelli civili, con conseguente trasmissione degli atti al giudice penale a seguito di annullamento con rinvio» (Cass. pen., sez. V, 20 settembre 2021, n. 46780).
La sentenza n. 182 del 2021 della Corte costituzionale ha, tuttavia, puntualizzato che la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione fa venire meno la cognizione sulla responsabilità penale dell'imputato, sicché il giudice dell'impugnazione, chiamato dall'art. 578 c.p.p. a provvedere sul gravame ai soli effetti civili, deve compiere un accertamento incentrato sugli elementi costitutivi dell'illecito civile, non dovendosi più occupare - neppure incidenter tantum – della responsabilità penale dell'imputato.
Ciò posto, le Sezioni Unite hanno ritenuto che l'appena indicata sentenza della Corte costituzionale non osta alla lettura dell'art. 578 c.p.p. già patrocinata dal massimo consesso nomofilattico.
In via di premessa, si è osservato che quella n. 182 del 2021 è una sentenza interpretativa di rigetto, sicché il giudice a quo non può attribuire alla norma la portata esegetica ritenuta non corretta dal Giudice delle leggi, ma è certamente libero di interpretare quella norma anche in modo difforme dalla Consulta, a maggior ragione ove venga in rilievo una fattispecie diversa da quella oggetto dello scrutinio di legittimità costituzionale.
Dunque, l'art. 578 c.p.p. non può certo essere interpretato nel senso che l'accertamento del giudice di appello, esaurita la vicenda penale con la declaratoria di prescrizione del reato, può condurre – direttamente od incidenter tantum – ad affermare la responsabilità penale dell'imputato ormai prosciolto.
E', tuttavia, evidente che questo principio non può che governare esclusivamente il caso in cui venga in rilievo l'impugnazione della parte civile avverso una sentenza di assoluzione.
Ed allora, nel caso contrario, ossia quando sia stato l'imputato ad impugnare la condanna riportata in primo grado anche al risarcimento del danno, non può richiamarsi la sentenza n. 182 del 2021 per sostenere che il giudice di appello dovrebbe necessariamente limitarsi a prendere atto che i termini di prescrizione del reato sono medio tempore decorsi: una tale conclusione, non imposta dal percorso logico argomentativo seguito dalla Corte costituzionale, mortificherebbe irragionevolmente il diritto di difesa dell'imputato, giungendosi, così, al «paradosso di negare, in virtù del principio di presunta innocenza, la possibilità per il giudice di valutare i presupposti dell'assoluzione nel merito, che rappresenta l'obiettivo primario del diritto di difesa».
Al contrario, continuando a far operare in un caso del genere il principio di diritto della sentenza Tettamanti, viene a riconoscersi all'imputato «una forma di tutela che, addirittura perché consente di pervenire all'assoluzione, non pone in discussione la presunzione di innocenza, in linea con la giurisprudenza di Strasburgo, secondo la quale gli Stati contraenti, quindi anche la giurisprudenza, possono assicurare un livello di garanzie superiore rispetto allo standard minimo convenzionalmente assicurato»; peraltro, osserva la Corte, «nella giurisprudenza della Corte EDU non si rinvengono [..] affermazioni di principio dalle quali si possa desumere l'obbligo di applicazione della causa estintiva del reato con prevalenza rispetto alla pronuncia assolutoria all'interno del medesimo processo penale».
Sulla base di queste considerazioni, le Sezioni Unite hanno risolto la questione controversa statuendo il principio di diritto secondo cui: «Nel giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell'imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l'estinzione del reato per prescrizione, non può limitarsi a prendere atto della causa estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui criteri enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2021, ma è comunque tenuto, stante la presenza della parte civile, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l'assoluzione nel merito».
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