Quale reato commette colui che in pubbliche manifestazioni esegua il c.d. “saluto fascista”?

19 Aprile 2024

Le Sezioni Unite chiariscono fonte e caratteri dell'incriminazione di colui che, nel corso di una manifestazione pubblica, protenda il braccio in avanti nel “saluto romano”, evocativo della gestualità tipica del partito fascista.

Questione controversa

La questione controversa riguarda l'inquadramento normativo della condotta di chi, durante una manifestazione pubblica, compia il c.d. “saluto romano”: ci si chiede, in particolare, se la condotta integri il reato di cui all'art. 2 d.l. n. 122/1993 conv. in l. 205/1993 (che incrimina coloro che «in pubbliche riunioni, compiano manifestazioni esteriori od ostentino emblemi o simboli propri o usuali» del disciolto partito fascista), ovvero quello previsto dall'art. 5 l. n. 645/1952 (che incrimina «chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste»).

Possibili soluzioni
Prima soluzione Seconda soluzione

Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, il “saluto fascista” costituisce una rappresentazione tipica delle organizzazioni o dei gruppi che perseguono obiettivi di discriminazione, essendo costituiti per favorire la diffusione di ideologie fondate sulla superiorità o sull'odio razziale e/o etnico.

La condotta sarebbe, dunque, riconducibile alla fattispecie di cui all'art. 2 d.l. n. 122/1993 conv. in l. 205/1993, concretizzando una manifestazione tipica dei gruppi che perseguono finalità discriminatorie, che non necessitano di alcun collegamento, anche solo indiretto, con organizzazioni di ispirazione fascista, al pari della condotta consistente nell'esporre simboli fascisti in occasione di una manifestazione sportiva (cfr., quanto a quest'ultima ipotesi, Cass. pen., Sez. III, 10 luglio 2007, n. 37390) (1).

Secondo l'opposto orientamento, il “saluto fascista” sarebbe riconducibile alla fattispecie di cui all'art. 5 l. n. 645/1952, come modificato dall'art. 11 l. n. 152/1975, che, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, è reato di pericolo concreto, che sanziona le manifestazioni del pensiero e dell'ideologia fascista non per sé stesse, attese le libertà garantite dall'art. 21 Cost., ma soltanto ove le stesse possano determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste, in relazione al momento ed all'ambiente in cui sono compiute, attentando concretamente alla tenuta dell'ordine democratico e dei valori ad esso sottesi.

Si è dunque ritenuto, da parte delle pronunce che sostengono questo orientamento, che effettuare il c.d. “saluto fascista” è condotta punibile ai sensi dell'art. 5 l. n. 645/1952, quando sia idonea a determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni che si ispirano, direttamente o indirettamente, all'ideologia del disciolto partito fascista (2).

(1Cass. pen., sez. I, 27 marzo 2019, n. 21409; Cass. pen., sez. I, 4 marzo 2009, n. 25184.

    

(2Cass. pen., sez. V, 18 aprile 2019, n. 36162; Cass. pen., sez. I, 2 marzo 2016, n. 11038; Cass. pen., sez. I, 25 marzo 2014, n. 37577.

Rimessione alle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. I, 6 settembre 2023, n. 38686
  • I giudici rimettenti erano chiamati a scrutinare il ricorso per cassazione degli otto imputati condannati per il delitto di cui all'art. 2 d.l. n. 122/1993 conv. in l. 205/1993, per aver eseguito il cd. “saluto fascista” nel corso di una manifestazione pubblica organizzata per commemorare due militanti di organizzazioni di destra, assassinati negli “anni di piombo”, ed un gerarca fascista.
  • Con il ricorso per cassazione gli imputati deducevano l'insussistenza del reato loro ascritto, ed evidenziavano che per l'identica condotta, tenuta nel corso della medesima manifestazione commemorativa svoltasi l'anno precedente, la Corte di Appello aveva assolto tutti gli imputati dal reato contestato (in quel caso, il reato di cui all'art. 5 l. n. 645/1952) per difetto dell'elemento soggettivo.
  • Il collegio della Prima Sezione penale della Suprema Corte, ravvisata l'esistenza di un radicato contrasto giurisprudenziale sull'esatto inquadramento normativo della fattispecie, ha ritenuto necessario rimettere il ricorso alle Sezioni Unite.
  • Ha, altresì, devoluto al massimo consesso nomofilattico due ulteriori profili di criticità interpretativa, concernenti l'inquadramento delle condotte in questione quali reati di pericolo concreto o di pericolo astratto, ed il rapporto esistente tra le due fattispecie.
  • Quanto al primo aspetto, i giudici rimettenti hanno evidenziato che le sentenze che hanno ritenuto integrato l'art. 5 l. n. 645/1992 hanno qualificato la fattispecie come reato di pericolo concreto (cfr. le citate sentenze nn. 36162/2019, 11038/2016 e 37577/2014), mentre quelle che hanno ritenuto integrato l'art. 2 d.l. n. 122/1993 conv. in l. 205/1993 l'hanno qualificata come reato di pericolo astratto (cfr. la citata sentenza n. 21409/2019).
  • Quanto al secondo aspetto, si è chiesto alle Sezioni Unite di chiarire la natura del rapporto tra i due reati in oggetto: secondo un orientamento giurisprudenziale vi sarebbe tra le due fattispecie un rapporto di specialità, rilevante ai sensi dell'art. 15 c.p., poiché il primo reato, a differenza del secondo, richiede che le condotte siano idonee a determinare il pericolo concreto di riorganizzazione del disciolto partito fascista (in questi termini Cass. pen., sez. I, 19 novembre 2021, n. 3806, dep. 2022); altra recente pronuncia di legittimità ha, invece, ritenuto che non sussista rapporto di specialità tra i due reati, non sussistendo un rapporto di necessaria continenza tra le due fattispecie, caratterizzate da un diverso ambito applicativo (in questi termini Cass. pen., sez. I, 12 ottobre 2021, n. 7904, dep. 2022).
  • La Prima Sezione ha, dunque, rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, formulando i seguenti quesiti: «Se la condotta tenuta nel corso di una pubblica manifestazione consistente nel c.d. “saluto fascista”, evocativo della gestualità propria del disciolto partito fascista, sia sussumibile nella fattispecie incriminatrice di cui all'art. 2 del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 1993, n. 205 ovvero in quella prevista dall'art. 5 della legge 20 giugno 1952, n. 645; se dette fattispecie abbiano natura di reato di pericolo concreto o di pericolo astratto; se i due reati possano concorrere oppure le relative norme incriminatrici siano in rapporto di concorso apparente».

Informazione provvisoria
  • Le Sezioni Unite, all'esito della camera di consiglio del 18 gennaio 2024, hanno enunciato il seguente principio di diritto: «La condotta tenuta nel corso di una pubblica manifestazione consistente nella risposta alla “chiamata del presente” e nel c.d. “saluto romano”, rituali entrambi evocativi della gestualità propria del disciolto partito fascista, integra il delitto previsto dall'art. 5 della legge 20 giugno 1952, n. 645, ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea ad integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, vietata dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione.
  • A determinate condizioni può configurarsi anche il delitto previsto dall'art. 2 del decreto-legge 26 aprile 1983, convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 1993, n. 205 che vieta il compimento di manifestazioni esteriori proprie o usuali di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
  • Tra i due delitti non sussiste rapporto di specialità. I due delitti possono concorrere sia materialmente che formalmente in presenza dei presupposti di legge».

Le motivazioni delle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. un., 18 gennaio 2024, n. 16153
  • Le Sezioni Unite hanno preliminarmente messo in luce i caratteri dei due reati in questione: quello previsto dall'art. 5 l. n. 645/1952, che, nel dare corpo alla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, che vieta la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista, predispone «una tutela anticipata del bene giuridico protetto, sanzionando condotte prodromiche alla ricostituzione del partito fascista e, allo stesso tempo, di “inoculazione”, anche subdola, della ideologia fascista, sia pure solo attraverso manifestazioni, gestuali o simboliche»; e quello previsto dall'art. 2 d.l. n. 122/1993 conv. in l. 205/1993, che incrimina chi in pubbliche riunioni pone in essere manifestazioni esteriori o ostenta simboli propri od usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654.
  • Le norme - annota la Corte - coincidono quanto al nucleo dell'elemento materiale («che, in entrambi i casi, consiste nel compimento di manifestazioni tenute partecipando a pubbliche riunioni»), ma divergono quanto al contenuto delle manifestazioni incriminate («individuate, nell'art. 5 cit., in quelle usuali del “disciolto partito fascista” di cui, evidentemente, alla XII disp. trans, fin. Cost., e, nell'art. 2 cit., in forza del richiamo all'art. 3, legge n. 654 del 1975, in quelle proprie od usuali dei “movimenti, gruppi, associazioni aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza”»), quanto al bene giuridico (nel caso dell'art. 5 l. n. 645/1952, la tutela dell'ordinamento democratico e costituzionale, «cui viene apprestata una tutela anticipata in relazione a manifestazioni che, in connessione con la natura pubblica delle stesse, espressamente richiesta dalla norma, possono essere tali da indurre alla ricostituzione di un partito che, per la sua ideologia antidemocratica, e per espressa previsione .. contenuta nella stessa Carta del 1948 .., è contraria all'assetto costituzionale»; nel caso dell'art. 2 d.l. n. 122/1993 conv. in l. 205/1993, la tutela dei beni  della dignità e della eguaglianza della persona, onde «evitare la disgregazione dei valori di solidarietà, dignità ed eguaglianza di tutti i consociati» proclamati dagli articoli 2 e 3 della Costituzione), e quanto alla natura del pericolo caratterizzante il reato (quello punito dall'art. 5 l. n. 645/1952 è reato di pericolo concreto, poiché l'incriminazione ha una «funzione ancillare» rispetto alla disposizione costituzionale che vieta la ricostituzione del disciolto partito fascista, dovendo, dunque, il giudice appurare se, alla luce delle specifiche circostanze del caso concreto, sussista una seria probabilità di verificazione del danno; quello di cui all'art. 2 d.l. n. 122/1993 conv. in l. 205/1993 è, invece, reato di pericolo presunto, poiché «la valutazione del pericolo, che si esaurisce all'interno della fattispecie astratta, risulta già fatta, a priori, dal legislatore», anche attraverso la valorizzazione del collegamento con le organizzazioni, le associazioni, i movimenti ed i gruppi di cui all'art. 3 l. n. 654/1975, fermo restando che, come per ogni reato di pericolo presunto, spetta comunque al giudice, in ossequio al principio di offensività, «il compito di verificare, nell'analisi della fattispecie, elementi di fatto capaci di dimostrane, in concreto, l'assenza»).
  • Queste considerazioni impongono di escludere che i rapporti tra le due fattispecie possano essere regolati dall'art. 15 c.p.: «Al nucleo comune di “manifestazioni tenute in pubbliche riunioni”, si aggiunge, in ognuna di esse, l'elemento differenziante del loro contenuto, rilevante già sul piano astratto giacché, se nell'art. 5 cit. le manifestazioni devono essere quelle “usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste”, nell'art. 2 cit. le manifestazioni sono quelle esteriori, proprie ed usuali “delle organizzazioni, movimenti o gruppi di cui all'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654”. Sicché, atteso l'inequivocabile diverso significato di tali manifestazioni, discendente dalla stessa “diversità genetica” degli enti, appare, semmai, ricorrere tra le norme in oggetto un rapporto di “specialità bilaterale” che, tuttavia .., deve ritenersi estraneo alla previsione dell'art. 15 c.p., unicamente espressivo della specialità “unilaterale”».
  • L'assenza di un rapporto di specialità «comporta che debba dunque guardarsi al significato del rituale del “saluto romano” al fine di configurarne l'inquadramento giuridico nelle “manifestazioni” di cui all'art. 5 cit. ovvero in quelle dell'art. 2 cit., o, eventualmente, e a determinate condizioni, in entrambe».
  • Le Sezioni Unite rilevano che «non può sussistere dubbio circa la “fisiologica” riconducibilità del rituale della “chiamata del presente” e del “saluto romano” (ovvero il protendere il braccio destro tenendolo teso e con il palmo rivolto verso il basso) all'interno, anzitutto, della fattispecie di reato dell'art. 5 cit.: pare sufficiente, sul punto, fare riferimento a quanto era previsto dagli artt. 3 e 9 del regolamento del partito nazionale fascista per desumerne l'inequivocabile significato di evocazione e celebrazione dell'ideologia del partito fascista e del regime conseguentemente instaurato. Se tale rituale è, in altri termini, immediatamente e notoriamente idoneo ad evocare, anzitutto, la “liturgia” delle adunanze fasciste, è la consumazione del reato di cui all'art. 5 cit. ad essere innanzitutto realizzata». Peraltro - puntualizza la Corte - «l'integrazione del reato in oggetto richiederà che il giudice accerti in concreto, alla stregua di una valutazione da effettuarsi complessivamente, la sussistenza degli elementi di fatto (esemplificativamente, tra gli altri, il contesto ambientale, la eventuale valenza simbolica del luogo di verificazione, il grado di immediata, o meno, ricollegabilità dello stesso contesto al periodo storico in oggetto e alla sua simbologia, il numero dei partecipanti, la ripetizione insistita dei gesti, ecc.) idonei a dare concretezza al pericolo di “emulazione” insito nel reato secondo i principi enunciati dalla Corte costituzionale».
  • Allo stesso tempo, rilevano le Sezioni Unite, «non si può .. escludere che lo stesso possa integrare anche, a fronte di determinati presupposti, il reato di cui all'art. 2 cit.; e ciò, precipuamente, attesa la possibilità di considerare una tale condotta come evocativa, sempre in ragione del dato storico-sociale e del dato normativo ricavabile dall'art. 1, legge 20 giugno 1952, n. 645 (per cui “si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista ... svolgendo propaganda razzista”), anche di ideologie discriminatorie e razziali».
  • Tuttavia, precisa la Corte, la norma non sanziona le manifestazioni di tipo razziale o discriminatorio tout court, ma solo quelle proprie od usuali delle “organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi dell'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654”: da tanto consegue la necessità di accertare, per un verso, che si tratti di manifestazioni proprie od usuali di gruppi che incitano alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; e, per altro verso, che al comportamento si siano accompagnati «elementi, relativi al contesto complessivo in cui lo stesso sia tenuto, idonei ad attribuirgli non la sola funzione semplicemente evocativa del disciolto partito fascista - e, dunque, ove ricorrente il pericolo concreto richiesto, incitativa della sua ricostituzione - ma anche, a fronte del contesto materiale o dell'ambito nel quale la manifestazione ha luogo, il significato discriminatorio tipizzante il reato di cui all'art. 2 cit. Sotto tale profilo, dunque, altro sarebbe che il gesto sia effettuato nello stretto ambito di un contesto chiaramente connotato (per le modalità e le finalità della riunione nonché per i simboli impiegati) dal riferimento a fatti direttamente o indirettamente ricollegabili all'ideologia fascista, altro, invece, sarebbe il medesimo gesto ove tenuto in ambiti di tipo diverso, nei quali il ricorso a tale rituale costituisca “lo strumento simbolico” di espressione delle idee di intolleranza e discriminazione proprie, nell'attualità, degli agglomerati considerati dall'art. 3 legge n. 654 del 1975. In definitiva, mentre nel primo caso il rituale esibito sarebbe finalizzato ad esternare unicamente l'ideologia propria del disciolto partito fascista, nel secondo avrebbe anche la valenza, implicita, ma chiara, di esternazione delle ideologie di cui alle entità individuate dall'art. 3 cit., nel segno di una contrapposizione ispirata ad idee chiaramente incompatibili con i principi costituzionali».
  • Esclusivamente in quest'ultimo caso, rileva la Corte, il rituale del saluto romano può integrare entrambi i reati dei quali si discute, «ove di entrambe le fattispecie, naturalmente, ricorrano i rispettivi e differenti requisiti di pericolo già illustrati sopra».
  • Le Sezioni Unite hanno, dunque, risolto le questioni controverse statuendo il principio di diritto secondo cui «La condotta, tenuta nel corso di una pubblica riunione, consistente nella risposta alla “chiamata del presente” e nel cosiddetto “saluto romano” integra il delitto previsto dall'art. 5 legge 20 giugno 1952, n. 645, ove, avuto riguardo alle circostanze del caso, sia idonea ad attingere il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, vietata dalla XII disp. trans, fin. Cost; tale condotta può integrare anche il delitto, di pericolo presunto, previsto dall'art. 2, comma 1, d.l. n. 122 del 26 aprile 1993, convertito dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, ove, tenuto conto del significativo contesto fattuale complessivo, la stessa sia espressiva di manifestazione propria o usuale delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all'art. 604-bis, comma 2, c.p. (già art. 3 legge 13 ottobre 1975, n. 654)».

   

Per approfondire si veda La Cassazione a Sezioni Unite sulle “manifestazioni fasciste”: novità, conferme e spunti di riflessione

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