Riconoscimento della continuazione in executivis e reati puniti con l’ergastolo giudicati con rito abbreviato

19 Febbraio 2024

Sono state depositate le motivazioni con le quali le Sezioni Unite hanno affermato che quando il giudice dell'esecuzione riconosca l'unicità del disegno criminoso tra i reati giudicati separatamente con rito abbreviato e sanzionati - secondo la normativa ante l. n. 33/2019 - con la pena di anni 30 di reclusione in sostituzione dell'ergastolo, la «pena più grave» ex art. 187 disp. att. c.p.p. è quella conseguente alla riduzione per il giudizio abbreviato.

Questione controversa

La questione controversa riguarda le modalità di determinazione della pena alle quali il giudice dell'esecuzione deve prestare ossequio quando riconosce la continuazione tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato e sanzionati, per effetto della diminuente di cui all'art. 442 comma 2, terzo periodo, c.p.p. – nel testo vigente sino all'aprile 2019 – con la pena di anni trenta di reclusione in sostituzione dell'ergastolo.

Possibili soluzioni
Prima soluzione Seconda soluzione

Secondo un primo orientamento, a seguito del riconoscimento in sede esecutiva della continuazione tra reati oggetto di condanne emesse all'esito di distinti giudizi abbreviati, si dovrebbe individuare il reato più grave e determinare la pena base nella sua entità precedente alla riduzione conseguente alla scelta del rito alternativo, operando l'aumento per la continuazione su detta pena base e, infine, applicare la diminuente per il rito abbreviato sul computo in tal modo ottenuto (1).

Secondo l'opposto orientamento, in sede esecutiva, a seguito della rideterminazione della pena successiva al riconoscimento della continuazione tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato e sanzionati, per effetto della diminuente ex art. 442 comma 2, terzo periodo, c.p.p., con la pena di anni trenta di reclusione in sostituzione dell'ergastolo, non potrebbe applicarsi la sostituzione della pena temporanea con la pena perpetua, trovando applicazione la regola generale sul limite dell'aumento della pena principale ex art. 78 c.p.

Secondo questo orientamento, dal combinato disposto degli artt. 81, commi 1 e 2, c.p., 187 disp. att. c.p.p. e 671 comma 2, c.p.p., dovrebbe evincersi che il criterio di calcolo della pena del reato continuato è basato su un cumulo giuridico che prevede la possibilità di aumentare fino ad un terzo la pena più grave, e che la pena finale deve essere omogenea ai fattori impiegati, non potendo, pertanto, determinarsi una mutazione peggiorativa della base sanzionatoria, anche nel caso in cui alla pena per il delitto più grave pari ad anni trenta di reclusione si sia pervenuti, a seguito di giudizio abbreviato, partendo dalla pena dell'ergastolo senza isolamento diurno.

Alla base di questa affermazione vi sarebbe l'art. 187 disp. att. c.p.p., interpretato nel senso che l'utilizzazione del participio «inflitta» si riferisce alla pena concretamente irrogata, al netto della riduzione a seguito del rito abbreviato.

Ad avviso di questo orientamento, altresì, dovrebbe ritenersi applicabile il limite di cui all'art. 78 comma 1, n. 1), c.p. e non quello di cui all'art. 73 comma 2, c.p., che, in sede di cognizione, presuppone una pluralità di delitti sanzionabili con pene non inferiori a ventiquattro anni di reclusione e, in sede di esecuzione, una pluralità di pene per più delitti ciascuno dei quali sanzionato con una pena non inferiore a ventiquattro anni di reclusione (2).

(1Cass. pen., sez. I, 19 luglio 2019, n. 37168; Cass. pen., sez. I, 20 aprile 2018, n. 31041; Cass. pen., sez. I, 5 maggio 2010, n. 20007.

    

(2Cass. pen., sez. I, 21 febbraio 2020, n. 13756.

Rimessione alle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. I, 21 dicembre 2022, n. 10019
  • I giudici rimettenti erano chiamati a scrutinare il ricorso per cassazione del condannato per plurimi gravi delitti (associazione mafiosa, omicidio, ecc.), nei cui confronti il giudice dell'esecuzione, riconosciuta l'unicità del disegno criminoso tra le contestazioni oggetto di sei distinte sentenze di condanna, aveva rideterminato la pena adottando come pena base l'ergastolo (con riferimento ad una condanna ad anni trenta di reclusione inflitta, all'esito del giudizio abbreviato, in relazione ad un omicidio aggravato dalle modalità mafiose), aumentando la pena complessivamente di anni 33 e mesi 9 di reclusione per la continuazione con i reati giudicati con le restanti sentenze, sostituendo, in base all'art. 72 comma 2, c.p., l'aumento di pena con l'isolamento diurno, ed infine, in forza del rito abbreviato, riportando la pena all'ergastolo.
  • Con il ricorso per cassazione l'imputato si doleva dell'erroneità del metodo di calcolo adottato dal giudice dell'esecuzione: ed invero, riconosciuta la sussistenza del vincolo della continuazione tra tutti i reati oggetto delle diverse sentenze di condanna, la pena temporanea della reclusione applicata nei giudizi non poteva essere sostituita con quella dell'ergastolo. Il Giudice aveva, dunque, erroneamente individuato l'ergastolo come pena inflitta per la violazione più grave, poiché la pena base per il calcolo avrebbe dovuto essere, ai sensi dell'art. 187 disp. att. c.p.p., quella più alta concretamente irrogata, e, dunque, quella di anni trenta di reclusione comminata all'esito di giudizio abbreviato per uno degli omicidi contestati al ricorrente.
  • La Prima Sezione, accertata l'esistenza del contrasto radicatosi nella recente giurisprudenza di legittimità, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, formulando il seguente quesito: «Se il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell'art. 671 c.p.p., tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato, fra cui sia compreso un delitto punito con la pena dell'ergastolo per il quale il giudice della cognizione abbia applicato la pena di anni trenta di reclusione per effetto della diminuente di un terzo ex art. 442, comma 2, terzo periodo, c.p.p. (nel testo vigente sino al 19 aprile 2019), comporti che, in sede esecutiva, per “pena più grave inflitta” che identifica la “violazione più grave” ai sensi dell'art. 187 disp. att, c.p.p. debba intendersi quella risultante dalla riduzione per il rito speciale ovvero quella antecedente alla suddetta riduzione».

Informazione provvisoria

Le Sezioni Unite, all'esito della camera di consiglio del 28 settembre 2023, hanno enunciato il seguente principio di diritto: «Ai sensi dell'art. 187 disp. att. c.p.p. il giudice dell'esecuzione deve considerare come “pena più grave inflitta” che identifica la “violazione più grave” quella conseguente alla riduzione per il giudizio abbreviato».

Le motivazioni delle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. un., 28 settembre 2023, n. 7029
  • Dopo aver ripercorso il contrasto interpretativo insorto nella giurisprudenza di legittimità, le Sezioni Unite hanno dato continuità all'orientamento in base al quale la «pena più grave inflitta» è quella conseguente alla riduzione per il giudizio abbreviato, in ragione:
  1. del tenore letterale delle disposizioni in oggetto: poiché, ai sensi dell'art. 12 delle preleggi il significato dell'espressione legislativa va determinato «in base al suo valore semantico secondo l'uso linguistico generale», la circostanza che l'art. 187 disp. att. c.p.p., per individuare la «pena più grave», identificante, a sua volta, la «violazione più grave», utilizzi il participio passato («inflitta») «inequivocamente rimanda alla pena in concreto irrogata dal giudice della cognizione siccome indicata nel dispositivo di sentenza e, in caso di pena inflitta in sede di giudizio abbreviato, a quella risultante dalla riduzione di un terzo per il rito»;
  2. di un'interpretazione sistematica: l'art. 187 disp. att. c.p.p. ha natura derogatoria rispetto alla norma generale dell'art. 81 c.p., ed è ispirata all'esigenza di adattare l'istituto della continuazione alle caratteristiche proprie dell'esecuzione; mentre, dunque, nel processo di cognizione l'individuazione della violazione più grave è affidata alla valutazione discrezionale, per quanto vincolata, del giudice, nella fase esecutiva essa, pur a fronte alla cedevolezza, pro reo, del giudicato, non può che incontrare il limite della pena più grave già inflitta: nell'uno come nell'altro caso, quindi, la pena-base è sempre quella per la violazione più grave, rispettivamente da determinare o già determinata, dovendosi la disciplina applicare in maniera diversa a seconda che venga in rilievo una mera ipotesi di pena applicabile ovvero una pena già concretamente applicata;
  3. di quanto incidentalmente già statuito dalle Sezioni unite: Cass. pen., sez. un., 27 ottobre 2007, n. 45583, espresse «un'opzione netta a favore della tesi secondo cui l'operazione di ricalcolo della pena a norma dell'art. 187 cit. deve assumere come base la pena concretamente applicata, al netto della riduzione operata per effetto del giudizio abbreviato»; Cass. pen., sez. un., 27 maggio 1998, n. 8411, nel dare risposta al quesito se, ai fini dell'applicazione delle pene accessorie dovesse farsi riferimento, in caso di giudizio abbreviato, alla pena principale determinata prima dell'applicazione della diminuente del rito, ovvero a quella inflitta in concreto, affermarono che occorre fare riferimento alla pena concretamente inflitta, così come determinata dopo la riduzione per il rito abbreviato;
  4. della considerazione che la diminuente di cui all'art. 442 comma 2, c.p.p. non ha solo natura processuale, poiché da essa scaturiscono anche effetti di carattere sostanziale, «dovendosi ritenere tali quelli relativi alla diminuzione o alla sostituzione della pena».
  • Le Sezioni unite hanno, dunque, affermato i seguenti principi di diritto:
  1. «ai sensi dell'art. 187 disp. att. c.p.p., il giudice dell'esecuzione deve considerare come “pena più grave inflitta”, che identifica la “violazione più grave”, quella concretamente irrogata dal giudice della cognizione siccome indicata nel dispositivo di sentenza;
  2. ai sensi degli artt. 671 c.p.p. e 187 disp. att. c.p.p., in caso di riconoscimento della continuazione tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato, fra cui sia compreso un delitto punito con la pena dell'ergastolo per il quale il giudice della cognizione abbia applicato la pena di anni trenta di reclusione per effetto della diminuente di un terzo ex art. 442, comma 2, terzo periodo, c.p.p. (nel testo vigente sino al 19 aprile 2019), il giudice dell'esecuzione deve considerare come “pena più grave inflitta” che identifica la “violazione più grave” quella conseguente alla riduzione per il giudizio abbreviato».

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