Ai fini della impugnabilità di un atto non conta il nomen iuris, ma la pretesa tributaria ad esso sottesa

25 Gennaio 2024

È ammessa l’impugnazione di atti non espressamente previsti nell’art. 19 d.lgs. n. 546/1992, qualora dagli stessi sia desumibile una pretesa fiscale. Ai fini della impugnabilità, al di là della veste formale, assume rilevanza la pretesa fiscale sottesa all’atto che fa sorgere nel destinatario l’interesse ad agire per ottenere una tutela giurisdizionale ex art. 100 c.p.c.

In data 30 novembre 2015, il contribuente presentava istanza di accesso alla procedura di collaborazione volontaria seguita da una successiva integrazione del 30 dicembre 2015. Il 12 ottobre 2016, l'Amministrazione chiedeva l'invio di documentazione a riprova del rientro effettivo dei capitali. La suddetta richiesta rimaneva inevasa, sicché il 19 dicembre 2016 l'Ufficio comunicava l'inammissibilità dell'istanza per mancato rispetto del Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate, che prevedeva l'invio della predetta documentazione entro 30 giorni dalla data di presentazione della prima o in un'unica istanza, con conseguente perdita dei benefici fiscali.

Il contribuente impugnava la decisione dinnanzi alle Autorità competenti ed usciva vittorioso sia in primo che in secondo grado. In particolare, la CTR respingeva l'eccezione di inammissibilità contenuta nell'appello promosso dall'Amministrazione finanziaria, ritenendo la comunicazione di inammissibilità della istanza di collaborazione volontaria atto “autonomamente impugnabile”.

L'Ufficio impugnava la suddetta sentenza dinnanzi alla Suprema Corte, denunciando in particolare che il provvedimento che dichiara l'inammissibilità dell'istanza di collaborazione volontaria non rientra negli atti autonomamente impugnabili di cui all'art. 19 d.lgs. n. 546/1992. Il contribuente resisteva con controricorso.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo e condanna l'Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite in favore del controricorrente.

I Giudici di legittimità si pronunciano sull'annosa questione della interpretazionerestrittiva o estensiva, dell'art. 19 d.lgs. n. 546/1992.

Gli Ermellini asseriscono che «in tema di contenzioso tributario, l'elencazione degli atti impugnabili contenuta nell'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l'amministrazione finanziaria porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria». Non conta, pertanto, il nomen iuris, bensì la pretesa tributaria sottesa all'atto in questione (Cass. Civ. sez. trib. n. 23061/2015). Occorre, pertanto, evidenziare, riproponendo un altro precedente giurisprudenziale, che l'art. 19 d.lgs. n. 546/1992, «ha natura tassativa, ma in ragione dei principi costituzionali di tutela del contribuente e buon andamento della P. A. ogni atto adottato dall'ente impositore che porti a conoscenza del contribuente una specifica pretesa tributaria è impugnabile davanti al giudice tributario» (Cass. Civ. sez. VI, 28 luglio 2015 n. 15957).

È possibile, dunque, distinguere tre tipologie di atti:

  • gli atti autonomamente impugnabili in via obbligatoria (espressamente indicati nell'art. 19 d.lgs. n 546/92);
  • gli atti autonomamente impugnabili in via facoltativa (dai quali è desumibile una pretesa fiscale)
  • quelli che non sono direttamente impugnabili, in quanto non vi è sottesa una pretesa tributaria (si pensi al processo verbale di constatazione che può essere impugnato in via differita, solo congiuntamente ad un altro atto avente veste autoritativa).

Nel primo caso l'impugnazione è obbligatoria, sicché in mancanza di gravame il contribuente decade dal diritto; nella seconda ipotesi il contribuente ha la facoltà e non l'onere di impugnare l'atto (pertanto, non può essere irrogata alcuna sanzione in caso di mancata impugnazione), infine, vi è l'ipotesi di impugnazione differita che attiene agli atti tra i quali intercorra un collegamento negoziale (atto presupposto - atto posto).

Secondo quanto disposto dai Giudici, dunque, la comunicazione di inammissibilità relativa all'istanza di voluntary disclosure di cui alla l. n. 186/2014 consegue alla configurabilità di tale procedura come strumento di definizione agevolata che presuppone già un debito tributario. Sarebbe, pertanto, improprio assegnare alla comunicazione di rigetto della istanza di volontaria collaborazione la natura di “mera comunicazione informativa”, in luogo di quella provvedimentale che, invece, emerge dalla circostanza che la procedura agevolata presuppone già l'esistenza di un debito tributario.

D'altronde la predeterminazione degli atti autonomamente impugnabili origina da esigenze di economicità al fine di agevolare il contribuente all'accesso alla giustizia, senza che ciò comporti l'esclusione automatica di atti non ricompresi nell'elenco, occorrendo, invece, una analisi caso per caso degli atti dai quali sia desumibile una pretesa fiscale.

Fonte: Diritto e Giustizia