La CGUE boccia la conservazione di dati biometrici e genetici di chi ha subito una condanna penale fino al decesso

01 Febbraio 2024

Le autorità di polizia non possono conservare, senza altro limite temporale se non quello del decesso dell’interessato, dati biometrici e genetici riguardanti tutte le persone che abbiano subito una condanna penale definitiva per un reato doloso.

Il principio

L'art. 4 §.1, Lett. c) ed e), Direttiva (UE) 2016/680 (c.d. Direttiva Polizia, “gemella” del GDPR), relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, e la libera circolazione di tali dati, in combinato disposto con gli artt. 5 e 10,  13 §.2, Lett. b) e 16,  §§.2 e 3, alla luce degli artt. 7 e 8 Carta di Nizza dev'essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che preveda la conservazione, a fini di prevenzione, accertamento, indagine e perseguimento di reati o di esecuzione di sanzioni penali, di dati personali, in particolare dati biometrici e genetici, relativi a persone che sono state oggetto di una condanna penale definitiva per un reato doloso rientrante nell'ambito dell'azione penale, fino al decesso dell'interessato, anche in caso di riabilitazione dell'interessato, senza imporre al titolare del trattamento l'obbligo di verificare periodicamente se tale conservazione sia ancora necessaria, né riconoscendo a quest'ultimo il diritto alla cancellazione di tali dati, a condizione che la loro conservazione non sia più necessaria in relazione alle finalità per le quali sono stati trattati, o, se del caso, alla limitazione del trattamento degli stessi.

È quanto deciso dalla EU:C:2024:97, C-118/22 del 30 gennaio in cui il ricorrente (bulgaro) era stato condannato per falsa testimonianza, in via definitiva nel 2016, ad un anno di carcere pena sospesa. Nel 2020 essendo intervenuta la riabilitazione, in forza delle norme in epigrafe e del diritto all'oblio, chiese la cancellazione dei suoi dati biometrici e genetici (DNA, impronte, foto, elenco dei reati commessi e relative condanne). La richiesta fu negata perché può essere effettuata, prima della morte dell'interessato, tassativamente solo in casi d'indulto o ex art. 68 Legge sul Ministero dell'Interno.

Il limite della morte non (sempre) è un tempo adeguato di conservazione dei dati biometrici

In primis, la CGUE ricorda i limiti imposti alle restrizioni ai diritti e libertà fondamentali dall'art. 52 Carta di Nizza: la discrezionalità di uno Stato deve rispettare i principi di proporzionalità, adeguatezza e minimizzazione dei dati. Possono essere imposti se perseguono finalità di interesse collettivo come la sicurezza nazionale e solo per quanto strettamente necessario a conseguirli. L'art. 5 Direttiva di Polizia prevede, poi, «la fissazione di termini adeguati per la cancellazione dei dati personali o per la verifica periodica della necessità di conservare tali dati, nonché norme procedurali che garantiscano il rispetto di tali termini».

Inoltre, l'art. 10, relativamente a dati supersensibili come quelli biometrici e genetici impone una tutela specifica più severa e che sia limitata alla persecuzione di detti fini imperativi. L'art.16 disciplina i casi di cancellazione. Ergo se da un lato è lecito conservare per un tempo necessario ed adeguato tali dati e l'elenco delle precedenti condanne ai fini di facilitare altre indagini penali sull'interessato, rilevare la connessione con altri differenti reati commessi, nonchè profilarne il grado di pericolosità sociale e di recidiva etc. (si vendano anche tutte le problematiche connesse alla c.d. giustizia predittiva), tale liceità viene meno se il loro trattamento e la loro conservazione non rispondono a tali fini. In terzo luogo per la CGUE l'analisi di questi principi «va valutata tenendo conto delle misure tecniche e organizzative appropriate previste dal diritto nazionale, volte a garantire la riservatezza e la sicurezza dei dati conservati in caso di trattamento contrario ai requisiti della direttiva 2016/680, conformemente agli articoli 20 e 29 di tale direttiva, in particolare alle misure di cui all'articolo 20, paragrafo 2, della stessa, garantendo che siano trattati solo i dati personali necessari in relazione a ciascuna finalità specifica del trattamento» (neretto, nda).

Reato doloso è una categoria troppo generica: quali confini per capire se la conservazione è illecita?

Nella categoria “reato doloso” rientrante nell'esercizio dell'azione penale sono compresi di fatto quasi tutti i reati: è troppo generica e priva di chiari confini, sì che potrebbe esser facile incorrere nella violazione dei suddetti principi di proporzionalità, adeguatezza e necessarietà. In breve «non tutte le persone condannate con sentenza definitiva per un reato rientrante in tale nozione presentano lo stesso grado di rischio di essere coinvolte in altri reati, il che giustifichi un periodo di conservazione uniforme dei loro dati. Pertanto, in taluni casi, tenuto conto di fattori quali la natura e la gravità del reato commesso o l'assenza di recidiva, il rischio rappresentato dalla persona condannata non giustificherà necessariamente la conservazione dei dati che la riguardano nel registro nazionale di polizia previsto a tal fine fino al suo decesso. In tal caso, non sussisterà più un rapporto necessario tra i dati conservati e la finalità perseguita [v., per analogia, parere 1/15 (Accordo PNR UE-Canada), del 26 luglio 2017, EU:C:2017:592, punto 205]. Pertanto, la loro conservazione non sarà conforme al principio di minimizzazione dei dati, enunciato all'articolo 4, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2016/680 e supererà il periodo necessario in relazione alle finalità per le quali sono trattati, in violazione dell'articolo 4, paragrafo 1, lettera e), di tale direttiva» (neretto, nda).

Questo carattere troppo generico ed indiscriminato, come da prassi conforme della CGUE (EU:C:2023:49; Gaughran c. Regno Unito del 13/2/20), non consente di perseguire il giusto equilibrio tra i contrapposti interessi e perciò la contestata conservazione non risulta necessaria in una società democratica, non realizzando fini legittimi ed anzi violando le libertà ed i diritti fondamentali dell'interessato.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.