“Il mutuo bancario con ammortamento alla francese”: sintesi del convegno di Roma del 31 gennaio 2024
05 Febbraio 2024
Premessa Nel convegno tenutosi a Roma il 31 gennaio 2024 presso la Corte di Cassazione è stato affrontato il tema delle conseguenze che derivano dall'omessa indicazione nel contratto di mutuo bancario delle modalità di ammortamento c.d. alla francese, nonché del regime di capitalizzazione composto degli interessi debitori. Il dibattito, stimolato da un rinvio pregiudiziale alla Corte ex art. 363-bis c.p.c. da parte del Tribunale di Salerno, ha coinvolto magistrati, accademici e professionisti al fine di prospettare le possibili soluzioni ai problemi emersi in vista della decisione delle Sezioni Unite. In considerazione del tecnicismo e della complessità della questione, alla discussione hanno partecipato anche esperti non giuristi, che hanno restituito una visione dell’istituto in chiave scientifica attraverso il linguaggio della matematica finanziaria. Mutuo bancario con ammortamento alla francese Nel mutuo la restituzione del capitale deve essere effettuata al termine convenuto o, in mancanza, a quello fissato dal giudice (art. 1817 c.c.). La restituzione rateale del capitale, consentita dalla legge (art. 1819 c.c.), è peraltro una convenzione normale nella prassi, la quale ha elaborato una serie di formule che consentono di diversamente computare e corrispondere gli interessi dovuti sulle somme mutuate. Le formule praticate in Italia sono fondamentalmente due: quella all’italiana, a capitale costante, e quella alla francese, a rata costante. Sinteticamente:
Il mutuo alla francese, dunque, conviene sicuramente alla banca, ma non può negarsi che soddisfi anche l’interesse del mutuatario di evitare che, proprio quando il suo reddito è verosimilmente più basso, le rate siano più alte e viceversa. Probabilmente, per il fatto che un mutuo alla francese è comparativamente più oneroso di un mutuo all’italiana, è stato più volte chiesto alla giurisprudenza di giudicarne la legittimità. Si dubita al riguardo se la composizione sempre diversa tra capitale ed interessi per ciascuna rata costante possa comportare indeterminatezza e indeterminabilità dell’oggetto del contratto, comportando nullità della pattuizione degli interessi ex art. 1346 c.c. e rideterminazione al tasso legale ex art. 1284 c.c.; nonché se il fatto di incorporare nella rata costante una quota di interessi possa dare corso, di per sé, ad un anatocismo vietato a norma dell’art. 1283 c.c. Alla disamina di queste questioni sarà dedicato un apposito focus di prossima pubblicazione. Con questo contributo si intendono ripercorrere a grandi linee i temi affrontati e discussi durante il convegno in attesa del pronunciamento delle Sezioni Unite sul rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Salerno ex art. 363-bis c.p.c. L'ordinanza di rimessione del tribunale di Salerno Il Tribunale di Salerno (Trib. Salerno 19 luglio 2023) ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione ai sensi del nuovo art. 363-bis c.p.c. in ordine ad una questione avente ad oggetto l’interpretazione delle conseguenze giuridiche derivanti dalla omessa indicazione, all’interno di un contratto di mutuo bancario, del regime di capitalizzazione “composto” degli interessi debitori, pure a fronte della previsione per iscritto del Tasso Annuo Nominale (TAN), nonché della modalità di ammortamento c.d. alla francese. Più precisamente, è richiesto di valutare se tale carenza di espressa previsione negoziale comporti l’indeterminatezza e/o indeterminabilità dell’oggetto del contratto, con conseguente nullità strutturale in forza del combinato disposto degli artt. 1346 e 1418 c. 2 c.c., nonché, stante la specialità della materia bancaria, soggetta alla disciplina del D.Lgs. 385/1993 (c.d. TUB), la violazione delle norme in materia di trasparenza e, segnatamente, di quella di cui all'art. 117 c. 4 TUB, che impone, sotto pena di nullità, che i contratti indichino il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, con conseguente rideterminazione del piano di ammortamento applicando il tasso sostitutivo BOT (art. 117 c. 7 TUB). Con riferimento al caso di specie, il giudice remittente (Tribunale di Salerno) ha rilevato che non era stata pattuita espressamene la modalità di ammortamento c.d. alla francese, né erano stati indicati il regime di capitalizzazione “composto” degli interessi debitori o alcuna modalità di calcolo delle rate secondo formule di matematica finanziaria. Tuttavia, il contratto di mutuo recava l’indicazione del numero di rate da restituire, del loro ammontare, del TAN, del TAE (maggiore del TAN, così rivelando la capitalizzazione infrannuale degli interessi debitori) ed il piano di ammortamento “a rate costanti” che indica tutte le singole rate nel loro ammontare totale e nella loro composizione (cioè, nella parte dovuta per capitale e per interessi). Dopo aver dato conto dei contrapposti orientamenti giurisprudenziali sul punto, il giudice salernitano ha evidenziato come la questione sia suscettibile di porsi in numerosi giudizi, presentando uno spiccato carattere di serialità non solo all'interno del Tribunale in cui è incardinato il giudizio a quo, ma anche negli altri Uffici di merito, sia di primo grado sia di appello, specialmente considerata la diffusività delle controversie in materia bancaria, il numero di mutui stipulati annualmente in Italia e l’elevato tecnicismo e complessità della relativa disciplina, primaria e secondaria. Per tali ragioni ha ritenuto un pronunciamento in via pregiudiziale della Suprema Corte in grado di prevenire l’insorgere di un significativo contenzioso destinato, con ogni probabilità, ad approdare comunque proprio al vaglio della stessa Corte di Cassazione. Tanto premesso, il giudice disponeva il rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione nei seguenti termini.
Il dibattito giurisprudenziale 1. MANCATA INDICAZIONE DELLE MODALITA' DI AMMORTAMENTO ALLA FRANCESE: QUALI CONSEGUENZE? Il primo problema affrontato concerne le conseguenze della mancata indicazione della modalità di ammortamento alla francese del contratto di mutuo, cioè della modalità con cui vengono ad essere composte le singole rate del prestito in relazione al rapporto tra capitale ed interessi. Secondo un primo orientamento giurisprudenziale (maggioritario) da tale omessa indicazione non deriverebbero conseguenze in punto di determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto, né si porrebbero problemi in termini di violazione della c.d. trasparenza bancaria. Ciò in quanto ogni qual volta il piano di ammortamento risulti essere stato allegato al contratto di mutuo e consegnato al cliente mutuatario, questi potrebbe desumere comunque la modalità di ammortamento e, dunque, la composizione delle singole rate in cui viene frazionata nel tempo l'obbligazione restitutoria, attesa la natura negoziale del piano di ammortamento che, come tale, fa parte del regolamento contrattuale (Cass. 25 novembre 2010 n. 23972). La mancata indicazione della modalità di ammortamento non risulterebbe, d'altra parte, pregiudizievole per il cliente in termini di “prezzo” e “condizioni” praticati, riguardando esclusivamente la composizione delle singole rate, e costituendo il piano di ammortamento e la relativa strutturazione la logica e naturale applicazione di quanto contrattualmente pattuito nelle condizioni economiche redatte per iscritto nel corpo del contratto e, dunque, conosciute e conoscibili ex ante dal cliente. A tale impostazione si contrappone una diversa ricostruzione ermeneutica, secondo cui la mancata indicazione della modalità di ammortamento del prestito incide in termini di validità del contratto di mutuo bancario, poiché la determinatezza o determinabilità di detta modalità, ancorché astrattamente evincibile dalla lettura del piano di ammortamento e delle singole clausole recanti le condizioni economiche dell’operazione, risulta una soluzione difficilmente praticabile in concreto. Infatti, nell'ambito dei rapporti bancari il cliente è normalmente privo del necessario bagaglio di conoscenze tecniche indispensabili per comprendere la reale portata economica delle singole clausole che va a sottoscrivere, stante l'elevato tasso di tecnicismo della materia, connotata dall'irrinunciabile ricorso a formule matematico-finanziarie, di talché la determinatezza e/o determinabilità dell'oggetto potrebbe restare tale solo “sulla carta”. Inoltre, si rileva come vi sia una ontologica disparità di forza contrattuale tra clienti, contraenti deboli per antonomasia, e gli istituti di credito, i quali predispongono i contratti secondo lo schema dei moduli e dei formulari per adesione di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c.; disparità che ha condotto il legislatore a prevedere un obbligo per le Banche di rendere i loro clienti edotti, in modo chiaro e comprensibile, di quelli che sono il tasso di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati, così da mettere gli stessi in condizione di determinarsi consapevolmente circa le loro scelte contrattuali e di comprendere pienamente la portata, giuridica e, soprattutto economica, delle loro decisioni. In questa prospettiva, dunque, la mancata indicazione della modalità di ammortamento alla francese non sarebbe priva di conseguenze, ancorché ad essa si potrebbe risalire grazie ad un’attenta lettura delle singole clausole contrattuali o dello stesso piano di ammortamento. Infatti, la modalità di ammortamento alla francese, specie in relazione all'applicazione del regime di capitalizzazione “composto” degli interessi debitori, può determinare un significativo incremento del costo complessivo del denaro preso a prestito per il cliente, specialmente allorquando vengano ad essere corrisposti dapprima gli interessi e poi il capitale; di talché anche la modalità di ammortamento alla francese costituirebbe un “prezzo”, un “costo”, che va esplicitato chiaramente all'interno del contratto bancario, in ossequio al disposto del quarto comma dell'art. 117 TUB. 2. MANCATA INDICAZIONE DEL REGIME DI CAPITALIZZAZIONE COMPOSTA: QUALI CONSEGUENZE? Un secondo problema, altrettanto discusso, concerne le conseguenze derivanti dalla mancata indicazione del regime di capitalizzazione composta nel contratto di mutuo (problema suscettibile di porsi separatamente da o cumulativamente a quello di cui sopra). Questo non concerne le modalità con cui vengono composte le singole rate nel rapporto tra capitale ed interessi, bensì come vadano rimborsati gli interessi, atteso che nel regime di capitalizzazione semplice gli interessi non producono a loro volta interessi e si sommano semplicemente progressivamente al capitale iniziale, con il montante proporzionale al tempo, cioè alla durata di applicazione del tasso; mentre, nel regime di capitalizzazione composto l'interesse prodotto in ogni periodo si somma al capitale e produce a sua volta interessi, per cui il montante è calcolato con una formula in cui il tempo è esponente. Più semplicemente, nella capitalizzazione semplice gli interessi non vengono mai moltiplicati per sé stessi, al contrario di quanto accade ove vi sia la capitalizzazione composta, con evidente maggiore onerosità di quest'ultimo regime di capitalizzazione. Anche sotto questo profilo si fronteggiano due interpretazioni:
Il nuovo art. 363 bis c.p.c., il provvedimento della Prima Presidente della Cassazione e i profili di inammissibilità della questione Il caso che sarà esaminato dalle Sezioni Unite civili è stato oggetto di un rinvio pregiudiziale ai sensi dell'art. 363 bis c.p.c. da parte del Tribunale di Salerno: tale norma del c.p.c. ha voluto intensificare il contributo alla realizzazione della nomofilachia da parte della giurisprudenza di merito. Anche in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, la Prima Presidente ha ricordato che la nomofilachia non implica l'elaborazione esclusiva da parte della Corte di cassazione, ma è frutto di un confronto costante e dialogico tra giudici di merito e giudici di legittimità, nella consapevolezza che i giudici di merito, al pari dei giudici di legittimità, sono chiamati a concorrere a questa delicata attività di interpretazione della legge. Il rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis c.p.c. si colloca, proprio, in questo solco, perché ha voluto favorire una convergenza d’intenti diretta verso l’obiettivo dell’uniforme interpretazione della legge tra la vasta platea dei giudici di merito e la Corte di legittimità, attraverso uno strumento di sollecitazione all'intervento nomofilattico su questioni nuove, perché derivano da innovazioni legislative interne europee o internazionali, o perché determinate da divergenze interpretative non risolte nella giurisprudenza di merito e non ancora affrontate dalla giurisprudenza di legittimità. Nella prospettiva della Prima Presidente della Corte di cassazione, quello stimolato dall’art. 363 bis c.p.c. costituisce un contributo e un dialogo destinato ad intensificarsi e che rappresenta una autentica novità rispetto al passato: vero è che anche in passato la funzione nomofilattica è stata costantemente influenzata dalle riflessioni delle decisioni dei giudici di merito, ma questo avveniva in modo frammentario; ora per la prima volta con l’art. 363 bis c.p.c. si dà una sistemazione logico-sistematica a questo confronto che si colloca nell'ambito di una nomofilachia dialogica. Proprio cogliendo le potenzialità del nuovo istituto, il Tribunale di Salerno ha investito la Corte della questione. Il giudice rimettente precisa che il pronunciamento dei giudici di legittimità, peraltro a Sezioni Unite, costituisce una garanzia di certezza del diritto e prevedibilità delle decisioni future, con un conseguente risparmio di costi sia per l’intero sistema giustizia, il quale non sarebbe gravato da un proliferare di giudizi giuridicamente infondati, sia per le parti, che eviterebbero le spese, anche istruttorie, di un processo. Non può non notarsi come questa prospettiva si inserisca, perfettamente nell’attuale contesto storico segnato dagli obiettivi fissati dal PNRR: se la vicenda appare in ogni caso suscettibile di subire il vaglio della Corte di cassazione, tanto vale che la stessa di pronunci a monte della vicenda processuale, piuttosto che a valle caducando una pronuncia che ritiene errata, anche in considerazione della storica attitudine della materia bancaria a divenire oggetto di pronunce di legittimità. Dello stesso avviso si è dimostrata la Prima Presidente, il cui provvedimento, nell’affermare il superamento del filtro di ammissibilità, ha statuito che: la questione sottoposta alla Corte è motivata dal giudice a quo come necessaria la definizione del giudizio, essendo così soddisfatto il requisito della necessaria pregiudizialità dello scioglimento del dubbio interpretativo ai fini della decisione della controversi pendente dinanzi al Tribunale rimettente; la questione, esclusivamente di diritto, è nuova, non essendo ancora risola ex professo dalla Corte di cassazione; l’interrogativo presenta gravi difficoltà interpretative, essendo possibili diverse letture delle norme di riferimento. Va, tuttavia, segnalato che la questione presenta un profilo di inammissibilità. Infatti, il rinvio pregiudiziale è stato disposto dal Tribunale di Salerno senza aver sentito le parti sul punto. L’ordinanza di rimessione, invero, non dà conto della previa attivazione del contraddittorio, secondo quando prescritto dal primo comma dell’art. 363 bis c.p.c. , e una delle parti del giudizio a quo (l’istituto di credito convenuto), con una nota rivolta alla Corte, ha segnalato tale circostanza chiedendo la declaratoria di nullità del provvedimento di rinvio. Ciò non ha impedito alla Prima Presidente a dichiarare superato il filtro di ammissibilità della questione: si è ritenuto infatti che la mancata attivazione del contraddittorio non ridonda nell’insussistenza di un requisito di ammissibilità da dichiarare già in fase di filtro ad opera del Primo Presidente, dal momento che una valutazione irrimediabilmente negativa nella fase del filtro farebbe venir meno l’eventuale possibilità di un recupero del contraddittorio ex post nella successiva scansione procedimentale, visto che il rinvio si celebra con il rito in pubblica udienza. È stata, pertanto, rimessa al Collegio la valutazione delle conseguenze dell’omessa attivazione del contraddittorio dinanzi al giudice a quo. In verità, la disciplina introdotta dalla Riforma Cartabia non precisa quale sia la conseguenza della mancata attivazione del contraddittorio, né rispetto all’ordinanza di rinvio emessa senza audizione delle parti né rispetto all’iter successivo del rinvio presso la Corte di cassazione. La dottrina ha espresso varie posizioni al riguardo. Secondo una prima lettura, l’ordinanza di rinvio disposta senza aver prima sentito le parti sarebbe irrimediabilmente nulla, giacché emessa in violazione del principio del contraddittorio, con conseguente lesione derivante dall’effetto sospensivo automatico del processo e dall’impossibilità per le parti di interloquire con il Primo Presidente. Pertanto, ancorché all’apparenza il previo contraddittorio non sia sanzionato da alcuna previsione normativa, alla relativa omissione dovrebbe far seguito l’inammissibilità del mezzo. Secondo una diversa opinione, il difetto di contraddittorio dinanzi al giudice di merito non sarebbe motivo di inammissibilità del rinvio da dichiarare in sede di filtro presidenziale, in quanto la disposizione che lo regola limita i casi di inammissibilità alla mancanza di una o più delle condizioni all'art. 363 bis c. 1 n. 1, 2 e 3 c.p.c., e cioè ai soli presupposti oggettivi del rinvio. Peraltro, deve considerarsi che il contraddittorio può essere recuperato nell’ambito della trattazione in udienza dinanzi alla Corte. Sul punto il giudice rimettente ha precisato che, nel caso di specie, la scelta di non sentire le parti circa l’opportunità del rinvio pregiudiziale si giustifica per il fatto che il processo si trovava in fase di ammissione dei mezzi istruttori, per cui già con l’atto di citazione, la comparsa di costituzione e risposta, le memorie istruttorie e le note di trattazione – atti che vertevano esclusivamente su questa questione di diritto – il contraddittorio era stato sostanzialmente attivato. Detto altrimenti, il giudice a quo ha letto l’obbligo di sentire le parti sull’an del rinvio pregiudiziale come limitato al caso in cui la questione di diritto fosse stata sollevata d’ufficio dal giudice stesso. |