Decreto legislativo - 12/01/2019 - n. 14 art. 257 - Liquidazione giudiziale della societa' e dei soci

Aldo Ceniccola

Liquidazione giudiziale della società e dei soci

 1. Nei casi previsti dall'articolo 256, il tribunale nomina, sia per la liquidazione giudiziale della società, sia per quella nei confronti dei soci, un solo giudice delegato e un solo curatore, pur rimanendo distinte le diverse procedure. Possono essere nominati più comitati dei creditori. Il curatore ha diritto ad un solo compenso.

2. Il patrimonio della società e quello dei singoli soci sono tenuti distinti.

3. Il credito dichiarato dai creditori sociali nella liquidazione giudiziale della società si intende dichiarato per l'intero e con il medesimo eventuale privilegio generale anche nella liquidazione giudiziale aperta nei confronti dei singoli soci. Il creditore sociale ha diritto di partecipare a tutte le ripartizioni fino all'integrale pagamento, salvo il regresso fra le procedure di liquidazione nei confronti dei soci per la parte pagata in più della quota rispettiva.

4. I creditori particolari partecipano soltanto alla liquidazione giudiziale nei confronti dei soci loro debitori.

5. Ciascun creditore può contestare i crediti dei creditori con i quali si trova in concorso.

6. Il curatore della liquidazione giudiziale della società può esercitare l'azione sociale di responsabilità nei confronti del socio amministratore anche se nei suoi confronti non è stata aperta la procedura di liquidazione giudiziale.

Inquadramento

L'art. 257 c.c.i.i. (corrispondente, al netto di alcune modifiche, al precedente art. 148 l. fall.) disciplina gli aspetti procedimentali della liquidazione giudiziale delle società e pur rimarcando l'autonomia tra la liquidazione giudiziale della società e quella dei singoli soci illimitatamente responsabili, prevede che il tribunale nomini sia per il fallimento della società che per quello dei soci un solo giudice delegato ed un solo curatore, mentre possono essere nominati più comitati dei creditori.

Il riferimento ai «casi previsti dall'art. 256» deve intendersi operato riguardo a tutte le fattispecie ivi contemplate e quindi sia al caso in cui la sentenza dichiari il fallimento dei soci o ex soci delle società di persone, sia al caso disciplinato dal quinto comma dell'art. 256 riguardo all'imprenditore individuale o alla società per i quali, dopo la dichiarazione di fallimento, venga accertata la riferibilità dell'impresa ad una società di cui i primi siano soci illimitatamente responsabili.

Il secondo comma dell'art. 257 prevede la principale conseguenza del principio contemplato dal primo comma (cioè del principio di autonomia delle procedure), affermando che il patrimonio sociale e quello dei singoli soci debbano essere tenuti distinti con la conseguenza che la liquidazione dei beni dei singoli non gode di alcun beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale; d'altro canto la rimarcata distinzione tra i due patrimoni non esclude la possibilità che si pervenga ad una liquidazione unitaria dei beni facenti parte delle differenti masse, ben potendosi utilizzare la medesima procedura competitiva al fine di liquidare i diversi patrimoni.

Il terzo comma contempla un principio suscettibile di affievolire notevolmente l'autonomia tra le procedure, instaurando tra le stesse un evidente collegamento: il credito vantato dai creditori sociali si intende dichiarato per l'intero e con il medesimo privilegio generale anche nelle procedure concernenti i singoli soci con la conseguenza che possono partecipare a tutti i riparti fino a che non abbiano ottenuto l'intero soddisfacimento del loro credito, salvo il regresso, che opera d'ufficio, fra i fallimenti dei soci per la parte pagata in più della rispettiva quota. L'affievolimento del principio dell'autonomia è presente anche nel quinto comma che consente a ciascun creditore di contestare le pretese degli altri creditori con i quali entri in concorso.

Il quarto comma, invece, si riallinea al concetto di separazione delle procedure, prevedendo che i creditori particolari partecipano solo al fallimento dei soci loro debitori, in considerazione dell'irresponsabilità della società di persone per i debiti personali contratti dai singoli soci.

Interamente nuova , rispetto al corrispondente art. 148 l.fall., è invece la previsione contenuta nell'ultimo comma, che consente al liquidatore giudiziale della società l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità nei confronti del socio amministratore, indipendentemente dall'apertura della procedura concorsuale nei suoi confronti.

La posizione del curatore ed il comitato dei creditori

Rispetto alla formulazione del precedente art. 148 l.fall., la norma è innovativa nella parte in cui prevede l'unicità del compenso del curatore: risolvendo un dibattito che aveva visto precedentemente impegnata la giurisprudenza di merito, la norma ha pertanto chiarito che il compenso andrà calcolato una sola volta considerando, quale attivo realizzato sul quale calcolare le percentuali, la sommatoria delle masse realizzate dalla liquidazione della società e dei singoli soci.

Per il resto va evidenziato come l'autonomia delle procedure e l'unicità della persona del curatore costituiscano aspetti antitetici che pongono particolari questioni concernente la legittimazione del curatore a stare in giudizio quale organo della liquidazione sociale o di quella di ciascuno dei soci, dovendosi attentamente verificare se il curatore stia in giudizio quale organo della prima procedura ovvero quale organo della liquidazione di ciascuno dei soci.

Nell'ipotesi in cui sia configurabile un conflitto di interessi tra le due procedure rappresentate dall'unico curatore, è stata ammessa la nomina di un curatore speciale ovvero di un diverso curatore.

Sulla questione della verifica della legittimazione del curatore, Cass. n. 26177/2007, partendo dal presupposto che i fallimenti della società e dei soci illimitatamente responsabili, nonostante l'unicità della sentenza dichiarativa e degli organi della curatela e del giudice delegato, costituiscono procedure autonome, ha stabilito che il curatore è legittimato a stare in giudizio quale organo del fallimento sociale o di ciascuno dei soci, a seconda della riferibilità della controversia all'uno o agli altri e, qualora subentri in un'azione revocatoria avente ad oggetto un atto compiuto dalla società ed agisca in qualità di organo del fallimento sociale ma altresì dei soci, deve attuare, ove processualmente tenuto, il contraddittorio con esplicito riferimento al fallimento di entrambi.

Successivamente, però, Cass. n. 1778/2013 ha precisato che la distinzione tra i due fallimenti è unicamente finalizzata a limitare il concorso dei creditori particolari del socio al solo fallimento del proprio debitore, senza alcuna possibilità di partecipazione al fallimento sociale, mentre il credito dichiarato dai creditori sociali nel fallimento della società si intende dichiarato per l'intero anche in quello del socio, che ha natura derivativa e prescinde dall'insolvenza di questi, sicché, tra l'altro, l'accrescimento del patrimonio del socio, in conseguenza dell'accoglimento di azioni revocatorie, produce risultati positivi agli effetti del soddisfacimento delle ragioni dei creditori della società.

Condividendo tali rilievi, Cass. n. 1103/2016 ha dunque mutato il precedente orientamento, precisando che il curatore del fallimento sociale è legittimato ad agire in revocatoria contro gli atti disposizione compiuti dal socio poiché l'accrescimento del patrimonio di quest'ultimo, in conseguenza dell'accoglimento dell'azione, produce risultati positivi ai fini del soddisfacimento non solo dei suoi creditori particolari ma anche dei creditori della società, il cui credito si intende dichiarato per intero anche nel fallimento del primo. La sentenza che definisce il relativo giudizio fa stato, quindi, nei confronti dei creditori di entrambe le masse, così precludendo al curatore del fallimento personale del socio di riproporre la medesima azione già introdotta quale curatore del fallimento sociale.

Cass. n. 29284/2021 ha poi dato continuità a tale principio, evidenziando che il curatore del fallimento della società di persone è legittimato ad esperire l'azione revocatoria contro gli atti di disposizione del socio illimitatamente responsabile fallito, atteso che, nonostante la massa del fallimento della società sia distinta da quella del socio, l'accrescimento del patrimonio di quest'ultimo in conseguenza dell'accoglimento dell'azione produce risultati positivi anche a favore dei creditori della società, il cui credito si intende dichiarato per intero nel fallimento del socio ed è, pertanto, indifferente che il curatore promuova l'azione spendendo il nome del solo fallimento sociale o, viceversa, del solo fallimento del socio, posto che, in un caso o nell'altro, il passaggio in giudicato della sentenza emessa nel relativo giudizio fa stato nei confronti dei creditori di entrambe le masse.

Sul tema è da ultimo intervenuta Cass. n. 3771/2022, secondo cui la legittimazione all'esercizio dell'azione revocatoria di atti di disposizione patrimoniale compiuti a titolo personale dal socio illimitatamente responsabile compete anche al curatore del fallimento della società, poiché l'effetto recuperatorio utilmente perseguito va a vantaggio dell'intero ceto creditorio e non dei soli creditori personali di detto socio.

La potenziale duplicità di posizione del curatore è stata sottolineata anche da Cass. n. 11084/2004 che, sebbene in relazione ad un caso di opposizione al fallimento «ante riforma», ha stabilito che anche nel giudizio di opposizione ai sensi dell'art. 18 l. fall., che riguardi un socio e il (le ragioni del) suo fallimento personale, il curatore deve agire o essere chiamato in giudizio in qualità di organo del fallimento del socio, dunque con esplicito riferimento al fallimento di quest'ultimo.

Importante è poi la distinzione operata da Cass. n. 22279/2017: il curatore del fallimento sociale non ha legittimazione processuale nelle controversie coinvolgenti la massa attiva personale del fallimento del socio che abbia ad oggetto diritti che già spettavano al fallito, mentre tale legittimazione deve riconoscersi nel caso di azione revocatoria contro atti di disposizione del socio, trattandosi di azioni che incrementano le masse attive dei diversi fallimenti, in relazione alle quali il curatore agisce in rappresentanza di tutti i creditori.

Ferma restando la discrezionalità concessa dalla norma al giudice delegato, è stato osservato che un eventuale conflitto strutturale tra creditori sociali e particolari non potrebbe essere lasciato alla mera disponibilità degli interessati a far parte del comitato dei creditori, dovendo tale organo riflettere in modo equilibrato la quantità e qualità dei crediti concorsuali, donde la necessità da parte del giudice delegato di utilizzare, attraverso un attento dosaggio, il potere di modificarne la composizione, oltreché in relazione alle variazioni dello stato passivo, anche in presenza di un giustificato motivo (Tomasso, 1936).

Sotto altro aspetto, è stato evidenziato come il c.c.i.i. non abbia sciolto il nodo riguardante le situazioni di potenziale conflitto di interessi tra le masse dei creditori, dovendosi pertanto dar credito alla tesi largamente dominante secondo cui, in tali casi, dovrà darsi luogo alla nomina di un curatore speciale (Nastri, 1318).

La posizione dei creditori sociali e dei creditori particolari

La norma, nel prevedere che il credito dichiarato dai creditori sociali si intende dichiarato anche nella liquidazione giudiziale dei singoli soci, ribadisce il meccanismo dell'insinuazione automatica già previsto nella vecchia formulazione, e va intesa nel senso che la domanda di ammissione al passivo proposta dal creditore sociale nella liquidazione della società estende automaticamente i suoi effetti anche riguardo allo stato passivo dei soci, esonerando dunque il creditore dall'onere di proporre una pluralità di domande di insinuazione.

Tale automatismo, però, non è destinato ad operare con riguardo al provvedimento di ammissione da parte del giudice delegato, nel senso che possono esservi delle ipotesi nelle quali il credito, ammesso allo stato passivo nei riguardi della società, non debba essere pure riconosciuto nella massa passiva di singoli soci: è il caso, ad esempio, in cui il credito sia sorto nel momento in cui la partecipazione del socio era venuta meno (allorché la cessazione del rapporto sociale era divenuta opponibile ai creditori), sicché in tal caso quel credito troverebbe collocazione unicamente nello stato passivo della società.

Sotto altro verso deve osservarsi che la norma, nella parte in cui consente al creditore di estendere automaticamente gli effetti della propria domanda nei riguardi delle masse personali, in ragione del fatto che i soci sono illimitatamente responsabili e dunque coobligati solidali rispetto ai debiti della società, genera un favor verso i creditori, costituito dall'estensione dell'efficacia del privilegio generale dei creditori sociali alle procedure riguardanti i singoli soci, sempre che il privilegio sia riconosciuto al momento della formazione dello stato passivo della società; tale principio non è applicabile, invece, al privilegio speciale che, riguardando uno specifico bene, è riferibile solo allo stato passivo del soggetto titolare del diritto dominicale (in tal caso l'ammissione al passivo dovrà avvenire in via privilegiata nei confronti di quest'ultimo ed in via chirografaria nei riguardi degli altri).

È stato osservato in dottrina che la regola dell'insinuazione al passivo del socio da parte dei creditori sociali mette in risalto la perdita da parte dei soci del beneficium excussionis di cui agli artt. 2268 e 2304 c.c. onde i soci non hanno alcun diritto di ottenere che gli organi fallimentari, in sede di liquidazione, procedano alla vendita dei beni sociali prima di quelli che appartengono al loro patrimonio sociale (Jorio, 591).

Controverso in dottrina è se la regola dell'estensione del privilegio generale, prevista dal terzo comma della norma in esame, debba valere anche per i crediti prededucibili: propendono per un'interpretazione letterale e dunque per la soluzione negativa De Cicco, 269 e Cavalli, 241.

Importante è poi la precisazione operata in relazione al caso in cui il credito sia assistito da fideiussione prestata dal socio: in tal caso il creditore che sia stato ammesso al passivo della società non può domandare un'autonoma ammissione anche al passivo del fallimento individuale, ciò risolvendosi in un'indebita duplicazione dell'insinuazione dello stesso creditore (Bozza, Schiavon, 93-100).

Esclude che uno stesso credito, insinuato nel fallimento sociale, possa ricevere un trattamento differente riguardo alla massa personale di un socio, Cass. n. 31053/2019: in particolare è stato deciso che «l'intervenuta ammissione al passivo del fallimento di una società di persone, in via chirografaria, di un credito (nella specie, scaturente da un decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti della società e dei soci fideiussori, in relazione ad uno scoperto di conto corrente) rende inammissibile la successiva domanda di insinuazione dello stesso credito, in via ipotecaria, al passivo del fallimento del socio illimitatamente responsabile, atteso che il credito insinuato in chirografo al passivo sociale ha già prodotto i suoi effetti, ex art. 148, comma 3, l. fall., anche in relazione alla massa imputabile al singolo socio» (nello stesso senso, v. Cass. n. 19646/2015).

La ratio del principio di estensione del privilegio generale è stata rimarcata da Cass. n. 14646/2004 sul rilievo che non sussiste alcuna diversità di causa tra le pretese azionabili nei confronti della società debitrice e dei soci della stessa illimitatamente responsabili, né sul piano oggettivo – trattandosi del medesimo credito – né su quello soggettivo, in quanto l'obbligazione della società di persone rappresenta anche l'obbligazione diretta del socio della stessa illimitatamente e personalmente responsabile.

Sulla questione dell'estensione del privilegio generale anche nell'ambito dello stato passivo del fallimento dei singoli soci, la giurisprudenza ha però precisato che il principio di automaticità, posto dal terzo comma della norma in esame, non esclude che, quando la prelazione non scaturisca dal medesimo rapporto dal quale sorge il credito ma da un rapporto accessorio, come nel caso di pegni o ipoteche costituiti dalla società o dal socio, la stessa venga a gravare su specifici beni, della società o del socio, individuati con il rapporto accessorio costitutivo della garanzia reale, e pertanto possa esser fatta valere nel solo stato passivo del fallimento del titolare del bene gravato (Cass. n. 18312/2007).

Particolarmente importante è la precisazione operata da Cass. S.U. n. 3022/2015, secondo cui «la responsabilità illimitata del socio illimitatamente responsabile di una società di persone per le obbligazioni sociali trae origine dalla sua qualità di socio e si configura come personale e diretta, anche se con carattere di sussidiarietà in relazione al preventivo obbligo di escussione del patrimonio sociale. Pertanto, l'atto con cui il socio illimitatamente responsabile di una società in nome collettivo rilascia garanzia ipotecaria per un debito della società non può considerarsi costitutivo di garanzia per un'obbligazione altrui, ma per un'obbligazione propria». Tale principio consente di esplicitare quanto sostenuto da Cass. n. 18312/2007 secondo cui l'atto con cui il socio illimitatamente responsabile rilascia garanzia ipotecaria per un debito della società non può considerarsi costitutivo di garanzia per un'obbligazione altrui, ma per un'obbligazione propria, con la conseguenza che il creditore il quale, in relazione ad un credito verso la società, sia titolare di garanzia ipotecaria prestata dal socio accomandatario, ha diritto di insinuarsi in via ipotecaria nel passivo del fallimento di quest'ultimo, assumendo egli la veste di creditore ipotecario del fallito, non già mero titolare d'ipoteca rilasciata dal fallito quale terzo garante di un debito.

La contestazione dei crediti concorrenti e la chiusura dei fallimenti

Il quinto comma della disposizione in commento consente a ciascun creditore di contestare l'ammissione al passivo ottenuta dai creditori con i quali si trova in concorso. Potrà darsi, pertanto, sia il caso in cui i creditori sociali contestino l'ammissione dei creditori particolari, con i quali concorrono sul patrimonio del socio assoggettato alla liquidazione in estensione, sia il caso in cui i creditori particolari contestino l'ammissione dei creditori sociali (il cui credito, in forza del principio dell'automatismo, risulti insinuato anche nella liquidazione giudiziale del singolo socio).

Nel caso in cui venga impugnato un credito ammesso nella liquidazione sociale, l'accoglimento dell'impugnazione comporterà l'esclusione di tale credito anche dal passivo delle liquidazioni giudiziali particolari dei soci, a meno che la contestazione riguardi l'esistenza del credito solo nei confronti del socio (ad esempio per essere questi receduto o escluso), giacché in tal caso l'esclusione riguarderà solo la liquidazione giudiziale particolare del socio.

Quanto al profilo concernente le ripartizioni dell'attivo, il terzo comma consente al creditore sociale di partecipare a tutte le ripartizioni fino all'integrale soddisfacimento, sicché questi avrà diritto a soddisfarsi sul ricavato della vendita dell'attivo del singolo socio a prescindere dall'entità della sua quota di partecipazione societaria; naturalmente nel caso in cui un socio abbia pagato in più rispetto all'effettiva quota di partecipazione, occorrerà procedere ad operazioni di conguaglio tra le liquidazioni giudiziali particolari, restando ovviamente escluso il regresso del socio nei confronti della società.

Quanto agli effetti della chiusura della liquidazione giudiziale della società sulle procedure riguardanti i singoli soci, va ricordato che in base all'ultimo comma dell'art. 233 c.c.i.i. la chiusura della procedura riguardante la società nei casi di cui ai numeri 1 e 2 (assenza di domande di ammissione al passivo e pagamento o estinzione dei creditori ammessi) determina anche la chiusura della procedura estesa ai soci, salvo che nei confronti del socio non sia stata aperta una procedura di liquidazione giudiziale come imprenditore individuale: in tali casi, infatti, viene meno il presupposto della sottoposizione a liquidazione giudiziale dei singoli soci e dunque la procedura non ha più ragion d'essere, sicché essa va chiusa ancorché vi siano dei creditori particolari non pagati o non estinti in altro modo.

Qualora invece la liquidazione giudiziale della società si chiuda nei casi previsti dai numeri 3 e 4 (ripartizione finale dell'attivo o mancanza di attivo), le procedure dei singoli soci proseguiranno al fine di soddisfare sia i creditori particolari che i creditori sociali ammessi nelle rispettive liquidazioni giudiziali.

L’azione di responsabilità nei confronti del socio amministratore

Il sesto comma, interamente di nuovo conio, in attuazione dell'art. 7, comma 5, lett. c), della legge n. 155 del 2017, consente al curatore della liquidazione giudiziale della società di persone di esercitare l'azione sociale di responsabilità nei confronti del socio amministratore, ancorché nei confronti di quest'ultimo non sia stata aperta la liquidazione giudiziale.

La disposizione si pone in apparente contrasto con il principio secondo il quale l'apertura della liquidazione giudiziale a carico del socio è  conseguenza automatica della liquidazione giudiziale della società di persone: la soggezione del socio (amministratore) illimitatamente responsabile alla liquidazione giudiziale (quale conseguenza dell'apertura della procedura a carico della società) renderebbe, infatti, priva di utilità pratica l'eventuale azione di responsabilità nei suoi confronti, visto che il riconoscimento della responsabilità illimitata già consente l'assoggettamento di tutto il suo patrimonio alla liquidazione giudiziale.

L'unico scopo della norma, allora, è quello di confermare (circostanza che già può ricavarsi, tuttavia, dai principi generali enunciati dal vecchio art. 43 l.fall. ed ora dall'art. 143 c.c.i.i., che del resto consentirebbero di esercitare l'azione di responsabilità anche nei confronti di un amministratore non socio) la possibilità di proporre l'azione di responsabilità anche nei confronti di coloro che, essendo stati in passato soci ed amministratori della società insolvente, non siano stati sottoposti alla liquidazione giudiziale in estensione, o a causa dello scioglimento del rapporto sociale o a causa della cessazione della responsabilità illimitata da più di un anno prima della liquidazione giudiziale della società (Marzo, 486).

Bibliografia

Blatti, Sub art. 148, in La legge fallimentare, commentario teorico-pratico, a cura di Ferro, Padova, 2014, II; Bozza-Schiavon, L’accertamento dei crediti nel fallimento e le cause di prelazione, Milano, 1992; Caridi, Sub art. 148 l. fall., La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di Nigro, Sandulli, Santoro, Torino, 2010; Cavalli, Gli effetti del fallimento sociale, in Jorio-Sassani, Trattato delle procedure concorsuali, Milano, 2014; De Cicco, Sub art. 148, in Commentario alla legge fallimentare, diretto da Cavallini, Milano 2010; Jorio, La crisi d’impresa, Il fallimento, Milano, 2000, 591; Marzo, Fallimento e liquidazione giudiziale delle società, Dalla legge fallimentare al codice della crisi, Milano, 2021; Nastri, Sub art. 257, Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, diretto da F. Di Marzio, Milano, 2022, 1313 ss.; Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, a cura di Bocchiola, Paluchowski, Milano, 2002; Tomasso, Sub art. 148, in Codice commentato del fallimento, diretto da Lo Cascio, Milano, 2015.

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