Decreto legislativo - 12/01/2019 - n. 14 art. 259 - Liquidazione giudiziale nei confronti di enti ed imprenditori collettivi non societariLiquidazione giudiziale nei confronti di enti ed imprenditori collettivi non societari 1. Le disposizioni di cui agli articoli 254, 255, 256, 257 e 258 si applicano, in quanto compatibili, anche agli enti e imprenditori collettivi non societari e ai loro componenti illimitatamente e personalmente responsabili per le obbligazioni dell'ente. InquadramentoLa norma, che non trova riscontro nella precedente legge fallimentare, implicitamente ribadendo la possibilità di sottoporre ad una procedura concorsuale imprenditori collettivi ed enti non societari, in quanto assumano la qualità di imprenditori commerciali, estende a costoro, nei limiti della clausola di compatibilità, le disposizioni dettate dagli artt. 254,255,256,257 e 258 c.c.i.i. Mentre nessun carattere innovativo può rinvenirsi nella previsione della sottoposizione di associazioni, fondazioni, comitati, onlus, imprese sociali alle procedure concorsuali (o alle procedure di sovraindebitamento, in caso di mancato svolgimento di attività di impresa), la norma si presenta particolarmente incisiva specie nella soluzione dei due principali problemi cha apparivano oggetto di un serrato dibattito dottrinale, ossia l'ammissibilità, in tali casi, dell'azione di responsabilità da parte del curatore e la possibilità di estendere la procedura di insolvenza dell'ente ai soci illimitatamente responsabili. La norma, nel richiamare in particolare gli artt. 255 e 256 c.c.i.i., ha risolto affermativamente la questione, sia pure residuando alcune questioni a causa dell'utilizzo della clausola di compatibilità. L’azione di responsabilità e l’estensione ai soci illimitatamente responsabiliPrima dell'intervento del legislatore , coloro che ammettevano la possibilità per il curatore fallimentare di esercitare l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori degli enti collettivi non societari facevano leva, quanto alle azioni sociali, sul fenomeno della sostituzione del curatore nei diritti ricompresi nel patrimonio dell'imprenditore fallito, e, quanto all'azione dei creditori sociali, sulla teoria della tutela esterna del diritto di credito. Residuava, tuttavia, qualche dubbio circa l'assenza di una previsione espressa quanto al regime autorizzativo idoneo a fondare la legittimazione del curatore. A seguito della novella (giusta il rinvio operato dalla norma in commento all'art. 255 c.c.i.i.), se dell'ammissibilità dell'azione di responsabilità in questione non è più lecito dubitare, come nessun dubbio si pone sulla necessità dell'autorizzazione del giudice delegato, la questione si pone riguardo alla necessità di identificare esattamente i doveri gravanti sugli organi amministrativi degli enti non societari, visto che essi sono per lo più disciplinati in modo autonomo rispetto ai modelli societari (si veda ad esempio, per le associazioni, l'art. 18 c.c.). Per quanto concerne l'applicazione dell'art. 256 c.c.i.i., e dunque la regola dell'estensione della liquidazione giudiziale dell'ente ai soggetti illimitatamente responsabili, la questione principale attiene alle associazioni non riconosciute, per le quali l'art. 38 c.c., nel prevedere che per le obbligazioni assunte dai rappresentanti rispondono anche personalmente ed illimitatamente coloro che hanno agito in nome e per conto dell'associazione, dovrebbe integrare una fattispecie del tutto differente rispetto a quella che fonda la responsabilità illimitata dei soci e dunque non appare sufficiente per legittimare l'estensione a costoro del fallimento dell'associazione non riconosciuta. Sulla legittimazione del curatore ad esercitare l'azione sociale o quella dei creditori sociali ad enti non societari, si segnala Cass. n. 13465/2010 secondo cui «Il curatore del fallimento di un consorzio con attività esterna non è legittimato ad esercitare, nei confronti degli amministratori del consorzio, l'azione di responsabilità eventualmente spettante a coloro che vantino pretese creditorie a valere sul fondo consortile e lamentino l'incapienza di questo, ovvero abbiano subito danni diretti per essere stati fuorviati dalla violazione dei criteri legali che presiedono alla redazione della situazione patrimoniale del consorzio, restando questa un'azione risarcitoria individuale nella titolarità di ciascun singolo creditore nei confronti dell'amministratore del consorzio, che è soggetto diverso dal fallito, e che non è, egli stesso, fallito. Invero, i consorzi, pur quelli con attività esterna, costituiscono enti ben diversi dalla società per azioni, sia dal punto di vista strutturale, sia per le finalità in relazione alle quali operano, e sia per il modo di essere della loro base economico-finanziaria, con conseguente impossibilità di un'applicazione analogica dell'azione di responsabilità dei creditori sociali contemplata dall'art. 2394 cod. civ. e, per l'ipotesi di fallimento, dal successivo art. 2394-bis cod. civ.». Tale pronuncia, inoltre, prende le distanze dall'applicazione della teoria della lesione esterna del credito, osservando come il curatore del fallimento del consorzio esterno non trovi nel patrimonio di quest'ultimo la titolarità di un'azione di responsabilità già spettante all'ente e non potendo invocare una norma speciale che gli attribuisca il potere di agire per conto dei creditori nei confronti di un soggetto diverso dal fallito (essendo l'art. 146 l.fall. circoscritta all'ipotesi del fallimento di società). La differenza tra il meccanismo delineato dall'art. 38 c.c. e la responsabilità illimitata dei soci nelle società di persone è rimarcata da Cass. n. 12714/2019. Secondo parte della dottrina, fermo restando che l'insolvenza non può essere assimilata all'inadempimento dell'obbligazione assunta nella prospettiva delineata dall'art. 38 c.c., la previsione “automatica” dell'attrazione degli enti e dei suoi componenti illimitatamente e personalmente responsabili per le obbligazioni riferibili agli stessi, finirebbe per delineare, nel c.c.i.i., una forma di responsabilità ben più ampia rispetto a quella prevista dal codice, “riqualificando” - di fatto - l'associato come socio illimitatamente responsabile (Fauceglia, 416). Per ciò che concerne, in particolare, la posizione di coloro che hanno agito in nome e per conto dell'associazione, la tesi preferibile è quella secondo la quale l'apertura della liquidazione giudiziale nei confronti dell'ente non determina il loro assoggettamento in estensione alla procedura, ferma restando la loro responsabilità per le singole obbligazioni sorte in forza di atti compiuti in nome e per conto, tesi che va tenuta ferma anche per i consorzi con attività esterna nei quali, in forza del disposto dell'art. 2615, comma 2, c.c., non sono i consorziati ad assumere una responsabilità illimitata per i debiti del consorzio ma, al contrario, è il consorzio a rispondere per un debito altrui, sicché anche per i consorziati va esclusa la possibilità di estendere la procedura di liquidazione giudiziale a carico del consorzio, non trattandosi di componenti illimitatamente responsabili per le obbligazioni dell'ente (D'Attorre, 1257). |