Decreto legislativo - 12/01/2019 - n. 14 art. 260 - Versamenti dei soci a responsabilita' limitataVersamenti dei soci a responsabilità limitata 1. Nella procedura di liquidazione giudiziale delle società con soci a responsabilità limitata il giudice delegato può, su proposta del curatore, ingiungere con decreto ai soci e ai precedenti titolari delle quote o delle azioni di eseguire i versamenti ancora dovuti, quantunque non sia scaduto il termine stabilito per il pagamento. 2. Contro il decreto emesso a norma del comma 1, può essere proposta opposizione ai sensi dell'articolo 645 del codice di procedura civile. InquadramentoL'art. 260 c.c.i.i., che riproduce salvi gli opportuni adattamenti lessicali l'art. 150 l.fall., consente al curatore di rivolgersi direttamente al giudice delegato per richiedere di ingiungere ai soci a responsabilità limitata di eseguire i versamenti ancora dovuti, relativamente alle quote o azioni sottoscritte, permettendo a questi ultimi di proporre l'opposizione di cui all'art. 645 c.p.c. assumendo il provvedimento del giudice delegato la natura ed i caratteri di un comune decreto ingiuntivo. L'unica peculiarità, rispetto ad un normale procedimento monitorio, concerne il momento dell'iniziativa, atteso che essa è riservata esclusivamente al curatore il quale potrà rivolgersi al giudice delegato senza che occorra né una preventiva autorizzazione di quest'ultimo né l'assistenza di un legale (quest'ultima torna invece ad essere necessaria relativamente alla fase dell'opposizione). Circa la necessità della prova scritta di cui all'art. 633 c.p.c., il disposto di tale ultima norma va coordinato con le peculiarità del provvedimento in esame, che presuppone che nella relazione nella quale il curatore richiede l'adozione del provvedimento ingiuntivo quest'ultimo attesti che il mancato versamento dei decimi emerga dall'esame delle scritture contabili. Quanto all'utilizzo della formula potestativa da parte del legislatore (il quale pone l'accento sul fatto che il giudice delegato possa, ma non necessariamente debba, ingiungere ai soci i versamenti ancora dovuti), è chiaro che con tale formula si sia inteso fare riferimento non già alla facoltà, per gli organi della procedura, di rinunciare alla riscossione di tali crediti, ma alla possibilità concessa al curatore di utilizzare per il recupero strumenti diversi dalla procedura di ingiunzione disciplinata dalla norma (ricorrendo ad esempio alle comuni forme di un'azione ordinaria di cognizione). L'ultima parte del primo comma precisa, inoltre, che per effetto della richiesta del curatore si verifica la decadenza del socio debitore dal beneficio del termine eventualmente fissato nello statuto ed entro il quale gli amministratori possono richiedere ai soci i decimi non versati (risulteranno per l'effetto inapplicabili anche i termini di diffida di cui agli artt. 2344 e 2466 c.c. in tema di s.p.a. ed s.r.l.). La fase dell'opposizione risulterà integralmente disciplinata dalle norme contenute nel codice di rito, dovendosi pertanto ritenere inapplicabile, onde contestare il decreto del giudice delegato, lo strumento del reclamo ex art. 124 c.c.i.i. (corrispondente all'art. 26 l. fall.). Singoli aspetti problematiciSulla compensazione tra il debito del socio avente ad oggetto i decimi non ancora versati e l'eventuale credito pecuniario vantato dal socio nei riguardi della società, Cass. n. 6711/2009 ha precisato che l'obbligo del socio di conferire in danaro il valore delle azioni sottoscritte in occasione di un aumento del capitale sociale è un debito pecuniario che può essere estinto per compensazione con un credito pecuniario vantato dal medesimo socio nei confronti della società, anche ai sensi dell'art. 56 l. fall., quando di essa sia sopraggiunto il fallimento, con la conseguenza che, in quest'ultimo caso, il giudice delegato non può ingiungere al socio il versamento del capitale sociale ai sensi dell'art. 150 l. fall., in quanto tale modalità di esazione presuppone l'esistenza del credito vantato dalla società, che risulta invece estinto per compensazione. L'eventualità che al momento del decreto emesso dal giudice delegato già penda un procedimento avente ad oggetto un accertamento negativo in ordine al credito oggetto dell'ingiunzione, è presa in considerazione da Cass. n. 9803/1999; secondo tale pronuncia «il principio secondo cui, nell'ipotesi di richiesta ad un ufficio giudiziario di un decreto ingiuntivo e di conseguente emissione del decreto, in pendenza di un giudizio di accertamento negativo del credito oggetto del ricorso monitorio, non sussiste né relazione di litispendenza né relazione di continenza fra i due procedimenti, ma, difettando il presupposto della diversità dei giudici e dovendo i procedimenti reputarsi pendenti innanzi allo stesso ufficio, si determina – una volta proposta l'opposizione – soltanto l'esigenza della loro riunione ai sensi degli artt. 273 e 274 c.p.c., deve ritenersi applicabile anche nel caso in cui un giudice delegato fallimentare emetta un decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 150 l. fall. in pendenza, avanti al tribunale cui egli appartiene, di un giudizio di accertamento negativo in ordine al credito oggetto dell'ingiunzione. Ciò, perché anche in tal caso il giudice delegato rappresenta soltanto un'articolazione del tribunale e, mancando il presupposto della diversità del giudice, non può configurarsi una sua competenza diversa ed autonoma rispetto al quella del tribunale». La proposta di ingiunzione non richiede il ministero di un difensore e nemmeno richiede l'autorizzazione del giudice delegato, stante il disposto dell'art. 128, comma 2, c.c.i.i. (Nastri, 1335). Parte della dottrina ha affermato che il decreto ingiuntivo potrebbe restare valido pur non contenendo l'espresso avvertimento di cui all'art. 641 c.p.c., trattandosi di un requisito non specificamente richiesto dall'art. 150 l. fall. (Provinciali, 1044), mentre trova applicazione anche per l'ingiunzione in oggetto la regola secondo cui il decreto perde efficacia se non notificato dal curatore nel termine di sessanta giorni dalla pronuncia ai sensi dell'art. 644 c.p.c. È stato inoltre precisato che il decreto ingiuntivo ex art. 150 l. fall. può essere emesso anche nei confronti di soci limitatamente responsabili di società di persone (Buonocore, 22), trovando più generalmente applicazione per i soci di società di capitali, con esclusione ovviamente del socio accomandatario della società in accomandita per azioni, per i soci delle società cooperative e per il socio accomandante della società in accomandita semplice (Adiutori, 1972). Non trova invece applicazione l'art. 2491 c.c. secondo il quale se i fondi disponibili risultano insufficienti per il pagamento dei debiti sociali, i liquidatori possono chiedere proporzionalmente ai soci i versamenti ancora dovuti (Campobasso, 511). Si è negato che si possa fondatamente parlare, in relazione all'ultima parte del primo comma della norma in commento, di decadenza del socio debitore dal beneficio del termine, posto che gli amministratori possono in ogni momento richiedere ai soci il pagamento delle percentuali promesse (Nigro, 209). Secondo altri, invece, si tratterebbe di una norma eccezionale in quanto realizza una deroga al regime ordinario di decadenza dal beneficio del termine di cui all'art. 1186 c.c. (Satta, 434). La dottrina prevalente esclude la sussistenza di un divieto di compensazione del credito della società per i versamenti ineseguiti con i crediti del socio verso la società (Nastri, 1337; Irrera, 2197). Quanto alla prova da parte dell'ingiunto di aver tempestivamente assolto agli obblighi relativi al versamento dei decimi (prova da fornirsi nel corso del giudizio di opposizione), parte della dottrina (Tomasso, 1947) sottolinea l'esistenza di un certo contrasto tra chi nega che l'ingiunto possa invocare in proprio favore le risultanze delle scritture contabili e dei bilanci della fallita, in quanto il curatore assumerebbe la posizione di terzo rispetto a tali documenti, e chi evidenzia che l'art. 2710 c.c. (al pari dell'art. 2709 c.c.) è inapplicabile al curatore fallimentare solo quando egli, non subentrando nella posizione del fallito, assuma la qualità di terzo, dovendo invece propendersi per l'applicazione di tale norma allorché agisca in sostituzione dell'imprenditore fallito dovendosi provare un rapporto obbligatorio sorto in un periodo antecedente alla dichiarazione di fallimento. BibliografiaAdiutori, Sub art. 150 l. fall., La riforma della legge fallimentare, a cura di Nigro, Sandulli, Torino, 2010; Buonocore, Fallimento delle società, in Enc. dir., Roma, 1989; Campobasso, Fallimento delle società per azioni ed esecuzione dei conferimenti in denaro, in Riv. dir. civ. 1976, I, 511; Irrera, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Fabiani, I, Bologna, 2010; Nastri, Sub art. 260, Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, diretto da F. Di Marzio, Milano, 2022, 1335 ss.; Nigro, Le società per azioni nelle procedure concorsuali, in Tr. Colombo-Portale, Torino, 1993; Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, III, Milano, 1974; Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1990; Tomasso, Sub art. 150, Codice commentato del fallimento, diretto da Lo Cascio, Milano, 2015. |