Decreto legislativo - 12/01/2019 - n. 14 art. 263 - Patrimonio destinato incapiente e violazione delle regole di separatezzaPatrimonio destinato incapiente e violazione delle regole di separatezza 1. Se a seguito dell'apertura della liquidazione giudiziale nei confronti della società o nel corso della gestione il curatore rileva che il patrimonio destinato è incapiente provvede, previa autorizzazione del giudice delegato, alla sua liquidazione secondo le regole della liquidazione della società, in quanto compatibili. 2. I creditori particolari del patrimonio destinato possono presentare domanda di insinuazione al passivo della procedura di liquidazione giudiziale aperta nei confronti della società nei casi di responsabilità sussidiaria o illimitata previsti dall'articolo 2447-quinquies, terzo e quarto comma, del codice civile. 3. Se risultano violate le regole di separatezza fra uno o più patrimoni destinati costituiti dalla società e il patrimonio della società medesima, il curatore può proporre l'azione sociale di responsabilità e l'azione dei creditori sociali prevista dall'articolo 2394 del codice civile nei confronti degli amministratori e dei componenti degli organi di controllo della società. InquadramentoGli artt. 262 e 263 riproducono senza sostanziali modifiche gli artt. 155 e 156 l.fall. Ai sensi dell'art. 262, relativo al caso del fallimento della società allorché il patrimonio destinato sia capiente, nell'amministrazione del patrimonio subentra il curatore, il quale provvederà alla cessione del patrimonio a terzi, in quanto possibile, provvedendo altrimenti alla sua liquidazione secondo le regole della liquidazione della società in quanto compatibili. Il ricavato della cessione o della liquidazione andranno acquisiti dal curatore nell'attivo fallimentare, al netto dei debiti del patrimonio stesso, per essere ripartiti tra i creditori della società, detratto eventualmente quanto spettante ai terzi che abbiano effettuato apporti (in quanto costoro, attesa la capienza del patrimonio destinato, hanno diritto all'integrale restituzione dei conferimenti: Nastri, 1346). Più articolata è la disciplina contenuta nell'art. 263 relativo all'ipotesi in cui il curatore accerti, a seguito del fallimento della società o nel corso della gestione, l'incapienza del patrimonio destinato: in tal caso, previa autorizzazione del giudice delegato, il curatore provvede alla liquidazione del patrimonio sul quale potranno soddisfarsi i creditori particolari di esso. I creditori particolari, invece, non possono aggredire il patrimonio della società, a meno che non ricorra un'ipotesi di responsabilità illimitata che rende responsabile quest'ultima per le obbligazioni sorte dall'attività di realizzazione dello specifico affare: si tratta delle ipotesi (art. 2447 quinquies, terzo e quarto comma, c.c.) nelle quali, cioè, il meccanismo della sterilizzazione non opera, allorché l'obbligazione derivi da fatto illecito, l'atto compiuto in relazione allo specifico affare non rechi l'espressa menzione del vincolo di destinazione, o la deliberazione di costituzione del patrimonio destinato prevede espressamente la responsabilità della società (Blandino, 1844), sicché in tali ipotesi i creditori particolari dovranno presentare domanda di insinuazione al passivo del fallimento della società. L'ultimo comma dell'art. 263 prevede, quale conseguenza della violazione delle regole di separatezza, il potere del curatore di esercitare l'azione di responsabilità, sia quella sociale sia quella dei creditori, nei confronti degli amministratori e dei componenti degli organi di controllo della società. E' stato esattamente notato come la norma trovi applicazione solo in caso di violazione delle regole di separatezza tra patrimonio destinato ed il patrimonio generale della società, laddove per gli altri illeciti eventualmente commessi dagli amministratori il regime delle azioni di responsabilità resta regolato dalla disposizione generale di cui all'art. 255 c.c.i.i. (Nastri, 1350). Singoli aspetti problematiciCon riferimento all'ipotesi di patrimonio capiente, è stato precisato che con la cessione o liquidazione del patrimonio, il vincolo di destinazione si trasferisce sul ricavato; pertanto, una volta definita la cessione a terzi con l'incasso del corrispettivo, il curatore dovrà prima pagare i creditori particolari (ivi compresi i creditori prededucibili sorti durante la gestione del patrimonio da parte del curatore), senza la necessità di presentare un piano di riparto, mentre il residuo verrà acquisito all'attivo fallimentare (Nastri, 1347, il quale, sollevato il dubbio se l'acquisizione dell'attivo debba avvenire al netto del compenso spettante al curatore per le attività compiute in relazione al patrimonio destinato, dà atto che la tesi prevalente è nel senso che il compenso del curatore andrebbe liquidato solo dopo l'approvazione del rendiconto ex art. 231 c.c.i.i., con la specifica individuazione della parte di compenso che, essendo imputabile a tale attività, deve essere posta a carico del patrimonio destinato: Macrì, 520). L'accertamento circa la verifica dell'incapienza del patrimonio destinato è compiuto dal curatore: in proposito è stato osservato che le molteplici varianti di cui il curatore deve tenere conto in tale valutazione costituiscono uno dei motivi che giustificano la previsione della previa autorizzazione del giudice delegato: essa, infatti, più che riguardare la scelta del curatore sulla tipologia di liquidazione, risulta semmai finalizzata proprio al controllo delle valutazioni del curatore sulla capienza del patrimonio (Penta, 520). L'accertamento dell'incapienza non conduce all'apertura di una procedura concorsuale a carico del patrimonio destinato: ciò emerge non solo dall'uso del termine “incapiente” in luogo dell'aggettivo “insolvente”, ma anche dal rinvio alle regole sulla liquidazione della società in quanto compatibili; ne consegue che gli atti posti in essere in esecuzione dello specifico affare devono ritenersi al riparo dalla revocatoria fallimentare, che presuppone, invece, la procedura concorsuale (Blandino, 1842). Proprio sulla scorta di tale osservazione, si è ulteriormente precisato che nel corso della liquidazione del patrimonio destinato è possibile l'esperimento, da parte dei creditori particolari, di azioni esecutive individuali su tale patrimonio, la cui liquidazione non assume di per sé alcuna connotazione concorsuale (Pajardi Paluchowski, 804).
BibliografiaBlandino, sub artt. 155 e 156 l.fall., Codice commentato del fallimento, diretto da Lo Cascio, Milano 2013,1835 ss.; Macrì, Fallimenti e concordati – Le soluzioni giudiziali e negoziate della crisi d’impresa dopo le riforme, a cura di Celentano e Forgillo, Torino, 2008; Nastri, Sub art. 262 e 263, Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, diretto da F. Di Marzio, Milano, 2022, 1350 ss.; Pajardi Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008; Penta, Fallimenti e concordati – Le soluzioni giudiziali e negoziate della crisi d’impresa dopo le riforme, a cura di Celentano e Forgillo, Torino, 2008; Scarafoni, sub. art. 155, a cura di Ferro, La legge fallimentare, Padova, 2014, 1959 ss. |