Mutuo bancario con ammortamento alla francese: una questione di determinatezza dell’oggetto o di trasparenza bancaria?
Valentina Falco
12 Febbraio 2024
Nel terzo focus dedicato al convegno di Roma "Il mutuo bancario con ammortamento alla francese", la Dottoressa Valentina Falco, con la chiarezza e la precisione che la contraddistinguono, sintetizza un'altra tematica trattata dai relatori: la mancata indicazione della modalità di ammortamento, da un lato, e del ricorso alla capitalizzazione composta, dall’altro, possono determinare un'indeterminabilità dell’oggetto del contratto e, al contempo, essere in contrasto con gli obblighi di trasparenza imposti agli intermediari?
Segnaliamo che il primo focus, pubblicato il 5 febbraio 2024, è consultabile qui, il secondo, pubblicato l'8 febbraio 2024, è consultabile qui.
Premessa
Alle questioni affrontate nel focus pubblicato l'8 febbraio 2024 (consultabile qui) l’ordinanza di rimessione (Trib. Salerno 19 luglio 2023) non fa cenno alcuno. Si interroga, piuttosto, sulla validità della pattuizione sugli interessi dalla differente prospettiva del rispetto delle regole in materia di trasparenza bancaria.
Oggetto di dubbi è in particolare se la mancata indicazione della modalità di ammortamento, da un lato, e del ricorso alla capitalizzazione composta per comporre il montante, dall’altro, possano determinare una sostanziale indeterminabilità dell’oggetto del contratto e, al contempo, contrastare con gli obblighi di trasparenza imposti agli intermediari exart. 117 TUB.
Va specificato che indeterminatezza o indeterminabilità e violazione degli obblighi di trasparenza non sono vizi che viaggiano allineati: una pattuizione può essere anche determinata con riferimento al suo oggetto, ma posta in violazione di una regola di trasparenza. La motivazione di questo disallineamento è assai semplice: divergono la ratio e soprattutto il piano di incidenza delle prescrizioni normative, l’una attinente al piano dei requisiti strutturali dell’atto, l’altra a quello delle condotte.
In altri termini, il ricorso alla categoria dell’oggetto del contratto non è indispensabile al fine di garantire il cliente della banca sotto il profilo della chiara esposizione e, di conseguenza, dell’acquisizione di una reale consapevolezza in ordine alle condizioni della contrattazione.
L’ambito applicativo della disciplina sulla trasparenza bancaria è assai più ampio rispetto a quello dell’art. 1346 c.c., in quanto volto ad assicurare, oltre alla determinabilità della prestazione classicamente intesa, la consapevolezza da parte del cliente in ordine alla portata delle condizioni economiche del contratto e ai rischi, che sul piano economico, possono discenderne.
Il problema della determinatezza dell'oggetto
Giova muovere da una considerazione: nei c.d. mutui ad ammortamento, la formazione delle rate di rimborso, nella misura composita predeterminata di capitale ed interessi, attiene alle mere modalità di adempimento di due obbligazioni poste a carico del mutuatario – aventi ad oggetto l’una la restituzione della somma ricevuta in prestito e l’altra la corresponsione degli interessi per il suo godimento – che sono ontologicamente distinte e rispondono a finalità diverse. Il fatto che nella rata esse concorrano, allo scopo di consentire all’obbligato di adempiervi in via differita nel tempo, non è dunque sufficiente a mutarne la natura né ad eliminarne l’autonomia.
Ciò posto, il Tribunale di Salerno, nel rinviare la questione alla Corte di Cassazione, ha ritenuto che la mancata indicazione della modalità di ammortamento del prestito potrebbe incidere in termini di validità del contratto di mutuo bancario, poiché la determinatezza o determinabilità della stessa, ancorché astrattamente evincibile dalla lettura del piano di ammortamento e dalle singole clausole recanti le condizioni economiche, risulta una soluzione in concreto difficilmente praticabile, in considerazione del fatto che, nell'ambito dei rapporti bancari, il cliente è normalmente privo del necessario bagaglio di conoscenze tecniche indispensabili per comprendere la reale portata economica delle singole clausole che va a sottoscrivere.
È stato, di contro, rilevato che, per affermare la determinatezza o determinabilità dell’oggetto dell’obbligazione accessoria relativa agli interessi, è indispensabile che gli elementi estrinseci o i parametri della determinazione degli interessi ad un tasso diverso da quello legale siano specifici.
Si ha indeterminatezza quando le clausole, pur apparendo di per sé analitiche, da un punto di vista matematico finanziario, sono formulate in modo tale da non dar luogo ad un’univoca applicazione, richiedendo la necessità di una scelta applicativa tra più alternative possibili, ciascuna delle quali comportante l’applicazione di tassi di interessi diversi e, pertanto, non determinate o determinabili nel loro oggetto.
Orbene, ripercorrendo i passaggi motivazionali dell’ordinanza di rinvio, sembra potersi ritenere che, nella vicenda da cui muove il Tribunale di Salerno, non sia, neanche astrattamente, ravvisabile una carenza di determinatezza o determinabilità dell’oggetto contrattuale: il contratto di mutuo portato all’attenzione del Tribunale, infatti, recava l’indicazione delle rate da restituire, del relativo ammontare del tasso annuo nominale e del tasso annuo effettivo, quest’ultimo di entità maggiore del TAN, e come tale espressivo della capitalizzazione infrannuale degli interessi.
Pertanto, nel momento in cui il contratto rechi l’indicazione del capitale, l’indicazione del tasso di interesse nominale, l’indicazione del numero delle rate, non può esservi dubbio alcuno circa la determinatezza del tasso di interesse, espresso, in realtà, in modo univoco. Sicché, la tesi della carenza dell’oggetto appare poco plausibile tutte le volte in cui risulti perfettamente determinata l’obbligazione degli interessi ed il costo complessivo del credito.
E ciò tanto più se, come nella specie scrutinata dal Tribunale di Salerno, il contratto sia corredato dal piano di ammortamento con indicazione delle rate, espresse non solo nel loro ammontare ma anche nella relativa composizione circa la quota per capitale e per interessi.
In definitiva, quanto alla determinatezza o determinabilità del regolamento contrattuale, sembra corretto ritenere che a non dissimili conclusioni si dovrebbe pervenire anche per la differente ipotesi in cui il piano di ammortamento non risulti allegato, tutte le volte in cui, però, risultino espressi i dati economici del contratto, da cui poter desumere la stessa maggiore onerosità del finanziamento in ragione del meccanismo di capitalizzazione composta espressa dal valore maggiore del TAE rispetto al TAN. L’assenza della specifica imputazione delle somme da restituire non comporta certo l’indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto della prestazione.
Il problema della trasparenza bancaria
Maggiormente complessa appare la questione relativa alla mancata indicazione del regime di capitalizzazione adottato nel contratto, tale da determinare una maggiore onerosità del finanziamento costruito secondo la capitalizzazione composta rispetto ad un analogo piano costruito secondo la metrica dell'interesse semplice.
La tipologia di capitalizzazione prescelta concorre alla determinazione del corrispettivo nei contratti di finanziamenti, poiché anche da essa dipende la quantità di interessi che, in concreto, chi riceve una somma di denaro deve restituire al finanziatore. Considerato che l'interesse corrispettivo non è altro che una tecnica di determinazione della controprestazione, la grandezza numerica che ne esprime le conseguenze economiche dovrebbe essere indicata in contratto sulla base di quanto dettato dall'art. 117 c. 4 TUB, il quale dispone che «i contratti indicano il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora», prevedendo l'eterointegrazione del regolamento in caso di omessa indicazione.
L'ordinanza del Tribunale di Salerno muove da una premessa: nel metodo di ammortamento alla francese la composizione della rata avviene secondo il meccanismo nell'interesse composto.
Secondo il giudice rimettente, il regime di capitalizzazione semplice è la modalità ordinaria di computo, disciplinata dall'art. 821 c. 3 c.c., la quale garantisce che gli interessi non producano a loro volta interessi: questi, infatti, si sommano progressivamente al capitale iniziale, e il montante è sempre proporzionale al tempo, cioè alla durata di applicazione del tasso. Al contrario, nel regime di capitalizzazione composto l'interesse prodotto in ogni periodo si somma al capitale e produce a sua volta interessi, per cui il montante è calcolato con una formula dove il tempo è posto in esponente.
In questa prospettiva, se è concepibile il concreto sviluppo del piano di ammortamento secondo la formula dell'interesse composto, può risultare in effetti corretto ritenere che il regime finanziario adottato (e la conseguente modalità di costruzione di una rata), laddove si dimostri che lo stesso si è tradotto in un maggior onere per il mutuatario, individui una di quelle “altre condizioni” che, a mente del quarto comma dell'art. 117 TUB, devono essere indicate nel contratto, la cui inosservanza può dar luogo, se del caso, alle conseguenze di cui ai successivi sesto e settimo comma della medesima disposizione.
Inoltre, l'art. 6 Del. CICR 9 febbraio 2000, rubricato “Trasparenza contrattuale” ed applicabile a tutti i contratti relativi alle operazioni di esercizio del credito, tra cui rientrano certamente i contratti di mutuo, sancisce espressamente che «le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non hanno effetto se non sono specificamente approvate per iscritto»; il che presuppone che la clausola che prevede la capitalizzazione composta degli interessi sia redatta in modo esplicito, onde poter essere poi oggetto di un'approvazione specifica e consapevole da parte del cliente.
La necessità che il regime di capitalizzazione composto sia chiaramente indicato ed esplicitato in contratto comporterebbe, dunque, che esso non possa in alcun modo ritenersi rispettato per il fatto che le condizioni economiche contenute nel contratto oppure la composizione delle singole rate indicate all'interno del piano di ammortamento consentirebbero al cliente di verificare in concreto che è stata prevista, appunto, la capitalizzazione composta.
Una siffatta soluzione interpretativa sarebbe insostenibile, a detta del giudice rimettente, in quanto presuppone che il cliente-mutuatario, di norma dotato di scarse competenze tecniche in materia di matematica finanziaria, sia in grado non solo di comprendere dalla strutturazione delle singole rate quale sia la modalità di capitalizzazione degli interessi all'interno di un contratto di mutuo, ma anche quale sia la relativa incidenza in termini economici sul costo complessivo del denaro mutuato.
Ciò, peraltro, si risolverebbe in un vistoso capovolgimento degli obblighi in capo alle parti contrattuali: l'Istituto di credito, tenuto a rendere edotto il cliente di tutti i costi e prezzi dei contratti bancari, ivi compresa la modalità di capitalizzazione composta degli interessi, sarebbe, altrimenti opinando, di fatto da ciò esonerato; il cliente, invece, sprovvisto delle necessarie competenze tecniche, sarebbe tenuto a verificare quale sia il regime di capitalizzazione applicato nel contratto che va a stipulare, dovendolo desumere da sé in base ad altri elementi contrattuali di difficile comprensione per un soggetto dotato di un normale o talvolta inesistente bagaglio di conoscenze in materia di matematica finanziaria.
Va, tuttavia, rilevato che la costruzione del giudice salernitano parte da un presupposto errato. Come illustrato nel precedente focus (pubblicato l'8 febbraio 2024 e consultabile qui), l'ammortamento alla francese – rispetto a quello all'italiana – determina l'aumento del corrispettivo dovuto dal cliente, quale controprestazione del finanziamento, in quanto, maggiore è la somma di cui si dispone per più tempo, maggiori sono gli interessi che si vanno a pagare sulla stessa. In questo senso, e soltanto in questo, la modalità di imputazione concorre a determinare il costo effettivo del mutuo, traducendosi in un costo ulteriore.
Inoltre, non ha alcun senso ragionare in termini di indicazione espressa oppure no di un regime di capitalizzazione composto piuttosto che semplice, atteso che questa dicotomia ha senso solo in astratto, ma non anche allorquando il cliente abbia sottoscritto un contratto in cui il regime di capitalizzazione è stato pattuito con la modalità composta, come potrebbe evincersi sulla base delle singole condizioni economiche pattiziamente previste e dal piano di ammortamento. La ricostruzione che considera il confronto con la capitalizzazione semplice degli interessi debitori assumerebbe erroneamente quale parametro di riferimento una differente tipologia di regolamento negoziale, che non è stata scelta in concreto dalle parti né da esse è stata sottoscritta. Più semplicemente, mutuo con ammortamento all'italiana e mutuo con ammortamento alla francese sono prodotti diversi.
La trasparenza bancaria ha fallito?
La trasparenza bancaria nasce in Italia con L. 154/1992: lo scopo era quello di dare uno stimolo a quella che Giuliano Amato aveva definito la “foresta pietrificata”; la trasparenza veniva concepita come uno strumento promozionale della concorrenza (così ne parla Renzo Costi, secondo il quale le previsioni in tema di trasparenza sono diretta a garantire la concorrenzialità del mercato e quindi l’efficienza dell’esercizio delle attività bancarie).
Più tardi la disciplina della trasparenza ha acquisito un significato ulteriore, quale tutela del contraente debole, aspetto che è divenuto prevalente: tutelare il contraente debole, colmare l’asimmetria informativa, era l’obiettivo.
Non manca chi ha sostenuto che la trasparenza è un fallimento: Ferruzzi ne ha parlato come dannosa per le banche e inutile per i clienti. Gino Gorla, in uno scritto del 1964, ha evidenziato che il cliente è per definizione un uomo. Daniela Valentino ha dimostrato che il cliente non legge le clausole, non si preoccupa di verificarne il contenuto, anche se sono davanti ai suoi occhi.
Sono settantadue gli articoli del TUB sulla trasparenza bancaria, ai quali deve aggiungersi la disciplina secondaria di settore, un corpus solo per questo ingovernabile. Per colmare l’asimmetria informativa non serve somministrare al cliente di mastodontiche di nozioni. Questo è uno dei paradossi della regolazione: il cliente non è in grado di comprendere la portata e il significato di tutte queste informazioni. Tutelare il cliente con la trasparenza non funziona.
Una visione di sistema: la recente tendenza all’ipertrofica tutela del contraente debole
All’origine del dibattito giurisprudenziale e dottrinale sul punto si pongono generali motivazioni di fondo. Guardando alla più recente giurisprudenza si coglie immediatamente come il contenzioso bancario e finanziario sia uno degli argomenti in questo momento storico maggiormente divisivi e le ragioni di una tale conflittualità (giudiziaria) possono rinvenirsi in una pluralità di fattori.
Vi è, da un lato, la complessità del sistema normativo derivante da una normazione multilivello: i testi normativi, quando non ne siano diretta promanazione, sono condizionati dal formante sovranazionale che incide sull’attività del legislatore, prima, e dell’interprete, poi, chiamato a ricondurre le disposizioni normative (o la loro interpretazione) in linea con la legislazione eurounitaria, antitrust o, ancora, con il cd. Statuto del consumatore.
A ciò si aggiunga l’elevato tasso di tecnicismo che connota la materia: le categorie tradizionali del diritto contrattuale sono, infatti, chiamate a confrontarsi ed arricchirsi dei contenuti propri delle scienze matematiche, non sempre di immediata intellegibilità, di modo che è anche sulla scorta di queste che devono compiersi le valutazioni giuridiche afferenti alle prime, in un dialogo sempre più difficile che rende il settore dei contratti bancari e finanziari quasi un “microcosmo” del diritto contrattuale, governato da regole sue proprie.
Dall’altro lato, v’è, poi, una contrapposizione di matrice in un certo senso “ideologica”.
Il contenzioso bancario e finanziario è, infatti, uno di quelli ove maggiormente si riscontra l’asimmetria contrattuale – che è anzitutto, ma non solo, asimmetria informativa – dove ad un professionista certamente qualificato sul mercato si contrappone una vasta platea di soggetti, che su quel mercato agiscono per le più disparate finalità o per soddisfare le più diverse esigenze ed il cui potere negoziale, siano essi consumatori o meno, può essere, spesso, marginale quando non del tutto inesistente.
Del resto, la difficoltà di addivenire ad un momento di sintesi di tali contrapposti fattori ben la si coglie sol che si ponga mente alla diversità di posizioni espresse dalla giurisprudenza di merito ed al rapido susseguirsi di plurimi interventi della giurisprudenza di legittimità tanto con riferimento ai contratti finanziari che a quelli bancari.
Così, senza pretesa di esaustività e limitando il richiamo agli esempi più rilevanti del fermento che attraversa la materia – evidente espressione di un’esigenza di chiarezza ma, al contempo, anche di ricerca di stabilità di un intero sistema – nel volgere di pochi anni la giurisprudenza è intervenuta dapprima affermando una lettura funzionale e non strutturale del requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dall’art. 23 TUF.
A tale intervento ha, poi, fatto seguito l’affermazione della possibilità dell’investitore di “gestire” a suo vantaggio gli effetti processuali e sostanziali della nullità per difetto di forma scritta di cui all’art. 23 c. 3 TUF, potendo questa essere fatta valere esclusivamente dell’investitore.
Nella materia bancaria, poi, si sono registrate, dapprima, le pronunce sull’usura sopravvenuta, quindi, quelle sui rapporti tra disciplina dell’usura e la Commissione di Massimo Scoperto, ancora quelle sul rilievo che nella disciplina dettata in tema di usura hanno gli interessi moratori, con affermazioni importanti tanto in ordine all’interesse ad agire quanto in ordine alla disciplina concretamente applicabile.
Il tutto senza tralasciare il dibattito, presente in seno alla stessa giurisprudenza di legittimità quanto alla necessità del previo esperimento della richiesta exart. 119 c. 4 TUB, al fine di poter invocare in giudizio la consegna di copia della documentazione relativa alle operazioni dell’ultimo decennio ai sensi dell’art. 210 c.p.c.; al superamento del limite di finanziabilità, anch’esso di recente oggetto di un intervento delle Sezioni Unite; alla nullità del tasso di interesse per la violazione del parametro EURIBOR.
Non è evidentemente questa la sede per soffermarsi, analiticamente, su tutti gli argomenti che si sono appena indicati; può, tuttavia, ritenersi che tutti questi interventi abbiano un minimo comune denominatore: quello di contemperare, sul piano rimediale, le diverse esigenze di trasparenza, correttezza, informazione, equilibrio contrattuale, ma anche equità, proporzionalità e stabilità di un sistema che, negli ultimi anni, ha visto un costante incremento del tasso di litigiosità.
È dunque nella medesima prospettiva che merita di essere risolta la questione devoluta all’esame delle Sezioni Unite.
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Sommario
Il problema della determinatezza dell'oggetto
La trasparenza bancaria ha fallito?
Una visione di sistema: la recente tendenza all’ipertrofica tutela del contraente debole