Impugnazione degli atti del commissario ad acta: si applica il reclamo ex art. art. 114 c.p.a. anche in giudizio incardinato sul silenzio-inadempimento della PA

14 Febbraio 2024

Per l'impugnativa degli atti del commissario ad acta nominato in sede di pronuncia declaratoria dell'illegittimità dell'inerzia serbata dall'Amministrazione (artt. 31- 117 c.p.a.) va proposto il rimedio del reclamo disciplinato dall'art. 114 c.p.a. nel termine ivi indicato

Massima

In caso di commissario ad acta nominato con la sentenza che definisce un giudizio diretto all'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato dall'Amministrazione (artt. 31- 117 c.p.a.), il reclamo avverso gli atti dell'organo commissariale va proposto ai sensi dell'art. 114 c.p.a. e, quindi, esso, previa notifica ai controinteressati, va depositato nel termine di sessanta giorni, pena la sua irricevibilità.

Il caso

Reclamo avverso gli atti del commissario ad acta nel rito del silenzio

Con la pronuncia in commento, il Consiglio di Stato definisce i rapporti tra il rito del silenzio e il procedimento di reclamo avverso gli atti del commissario ad acta (nominato già con sentenza, all'esito di un giudizio per l'accertamento dell'illegittimità dell'inerzia dall'Amministrazione su un'istanza dell'amministrato), chiarendo quale sia la disciplina dei termini da applicare per la corretta proposizione del reclamo.

L'occasione della pronuncia è stata determinata dall'accoglimento, da parte del giudice amministrativo di primo grado, di una domanda proposta ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a., con contestuale nomina, per il caso di “persistente inerzia”, di un commissario ad acta con l'incarico di assumere la decisione conclusiva del procedimento (rispetto al quale si era configurata l'inerzia dell'Amministrazione) “quale organo straordinario dell'Amministrazione”.

Avendo assunto il commissario ad acta una determinazione negativa, non satisfattiva, quindi, della pretesa azionata da parte ricorrente, quest'ultima proponeva reclamo, provvedendo a notificarlo alle altre parti e depositarlo oltre il termine di sessanta giorni dalla notifica. La parte resistente formulava, quindi, eccezione di irricevibilità del reclamo, che veniva, però, disattesa dal giudice sul rilievo della tempestività della proposizione del rimedio in parola in ragione dei termini dettati per il rito del silenzio dall'art. 117, comma 5, c.p.a., termini a cui,  secondo l'indirizzo interpretativo seguito dal giudice del reclamo, la proposizione del reclamo sarebbe restata assoggettata “con la conseguenza di risultare tempestiva, atteso il rispetto dei termini decandenziali dimidiati previsti per il rito ex art.117 c.p.a.”.

La questione

Rito applicabile al reclamo avverso gli atti del commissario ad acta nel rito del silenzio

La questione interpretativa che si è posta nella vicenda in esame è incentrata sulla individuazione del termine per la proposizione del reclamo avverso gli atti emanati di un Commissario ad acta nominato per dare esecuzione alla sentenza che abbia dichiarato l'illegittimità dell'inerzia dell'Amministrazione ovvero se questo termine debba essere individuato in quello proprio del rito del silenzio di cui all'art. 31, comma 2, c.p.a. (“L'azione può essere proposta fintanto che perdura l'inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento […]) o in quello dettato dalla disciplina specifica del rito del silenzio dall'art. 114, comma 6, c.p.a. (“Avverso gli atti del commissario ad acta le stesse parti possono proporre, dinanzi al giudice dell'ottemperanza, reclamo, che è depositato, previa notifica ai controinteressati, nel termine di sessanta giorni”).

Le soluzioni giuridiche

Il termine per proporre reclamo avverso gli atti dell'organo commissariale

Il Consiglio di Stato risolve la prospettata questione ermeneutica, richiamandosi alla consolidata giurisprudenza amministrativa, secondo la quale il reclamo ex art. 114, comma 6, c.p.a. è lo strumento attraverso il quale le parti, anche in un giudizio nato avverso il silenzio-inadempimento della p.a., possono insorgere avverso gli atti del Commissario ad acta dinanzi allo stesso giudice che ha accolto il ricorso avverso il silenzio, giusta il disposto dell'articolo 117, comma 4, c.p.a. e sancendo che, da tale opzione ermeneutica, “non può non discendere che l'analogia si estende non solo alla forma del rimedio, ma anche al suo termine di impugnazione”.

I giudici di Palazzo Spada giungono alla conclusione appena delineata, da un lato, ipotizzando quale possa essere stato il ragionamento del giudice di prime cure, non risultando del tutto chiaro il percorso argomentativo seguito da quest'ultimo (v. §11.6 della motivazione, prima parentesi; § 11.8, lett. b), prima parentesi), e, dall'altro, osservando, in primo luogo, che sarebbe incongruo estendere all'impugnazione di un atto avente indubbio contenuto provvedimentale (il provvedimento commissariale) il regime elaborato dal legislatore per una situazione ontologicamente diversa, ossia per l'azione proposta avverso una inerzia, un non-provvedimento della p.a., con ricadute anche sul piano della certezza e della stabilità degli effetti giuridici discendenti dal provvedimento commissariale, e, in secondo luogo, che i precedenti giurisprudenziali richiamati nella sentenza appellata non solo non si soffermano sul regime decadenziale, ma riguardano fattispecie connotate dalla persistenza dello stato di inadempimento della pubblica amministrazione (TAR Roma, sez. II, n. 13761/2019; TAR Puglia Bari, sez. III, n. 1103/2020; TAR Potenza, sez. I, n. 89/2015; TAR Veneto, sez. I, 6 luglio 2021,  n. 897).

Osserva ancora il Consiglio di Stato che la fattispecie decisa è analoga a quella nella in cui, in pendenza di un giudizio promosso con lo speciale rito del silenzio, sopravvenga il provvedimento dell'Amministrazione, cosicché viene a cessare l'inerzia inizialmente censurata: questa evenienza determina, sul piano processuale, che all'azione ex art. 117 c.p.a. viene a sostituirsi un ricorso a carattere impugnatorio soggetto a preclusione decadenziale con decorrenza del relativo termine dall'adozione dell'atto (art. 117, comma 5, c.p.a.).

Inoltre – obiettano i giudici di Palazzo Spada – a voler seguire l'opzione ermeneutica fatta propria dal giudice di primo grado nella vicenda in esame, si configurerebbe una palese incongruità sul piano del regime temporale dell'azione previsto dall'art. 31 c.p.a. “dal momento che, se è vero che l'azione avverso il silenzio-inadempimento può essere proposta fintanto che perdura l'inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento”(art. 31, comma 2, c.p.a.), in un caso come quello di specie, in cui il silenzio è stato infranto dal sopravvenire dell'atto commissariale, la predetta regola non trova più validi punti di riferimento applicativo.

Ne conseguirebbe, ad avviso del Consiglio di Stato, un'aporia logica di tutti i possibili seguenti esiti alternativi:

  • tenere ferma la decorrenza del termine come individuato dall'art. 31, comma 2, c.p.a., dal momento che l'atto commissariale potrebbe sopravvenire anche oltre il termine massimo annuale e quindi sfuggirebbe al dies ad quem di esperibilità del reclamo;
  • far decorrere il termine annuale dall'atto sopravvenuto, atteso che ciò che si assume implicitamente nell'impostazione in commento è che l'inerzia dell'amministrazione perduri nel tempo e che il procedimento non sia ancora giunto a conclusione; in uno scenario di questo tipo – osserva il Consiglio di Stato - costituirebbe solo una fictio, del tutto contraddittoria con la richiamata premessa, quella che assumesse l'adozione dell'atto commissariale quale momento di ulteriore abbrivio del procedimento, al quale agganciare una nuova decorrenza del termine annuale ex art. 31, comma 2, c.p.a.

Osservazioni

Questione di rito, questione di termine

La decisione in commento va ascritta al novero delle decisioni, invero non molto numerose, nelle quali viene espressamente esaminata e decisa una questione interpretativa che investe il rito applicabile in un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, allorquando vi sia stato l'innesto di una fase processuale (nel caso di specie, della fase attuativa della decisione) in una diversa e logicamente antecedente fase processuale (nel caso di specie, la fase cognitoria avente ad oggetto l'accertamento dell'illegittimità del comportamento inerte dell'Amministrazione).

Se da un lato, l'obiettivo della effettività della tutela viene, in tal modo, più agevolmente perseguito, dall'altro questa opzione processuale può far emergere – come è avvenuto nel caso di specie - un disallineamento delle discipline sul piano del rito e, soprattutto, una criticità nell'individuazione dei termini applicabili qualora questi abbiano un rilievo decadenziale.

Nella vicenda decisa nell'occasione la riconduzione del termine per proporre reclamo avverso gli atti del commissario ad acta alla disciplina del rito del silenzio o a quella del reclamo di cui all'art. 114 c.p.a. non è, all'evidenza, una decisione “neutra”, ben diversa essendo la portata del termine da applicare, sia quanto alla durata sia quanto alle conseguenze per il caso di inosservanza, nell'uno o nell'altro caso.

L'opzione ermeneutica prescelta dal Consiglio di Stato nel senso di ricondurre la fattispecie nell'alveo dell'istituto del reclamo merita un particolare apprezzamento perché rivela una adeguata ponderazione delle ricadute della soluzione interpretativa adottata ed è coerente con la fondamentale finalità di assicurare la certezza e la stabilità delle situazioni giuridiche.

Del resto, nonostante la pluralità (e la proliferazione) di riti presenti nel codice del processo amministrativo (rito ordinario, rito camerale cautelare, rito camerale non cautelare, rito elettorale, rito abbreviato in particolari materie, rito appalti), poche sono le norme dedicate al tema: l'art. 32, comma 1, seconda parte, secondo cui “se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dal Titolo V del Libro IV (Riti abbreviati relativi a speciali controversie)”; l'art. 117, comma 5, nell'ambito del rito del silenzio, secondo cui: “se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso, o un atto connesso con l'oggetto della controversia, questo può essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il nuovo provvedimento, e l'intero giudizio prosegue con tale rito”.

Guida all'approfondimento

Sulla figura del commissario ad acta e sulla concorrenza dei poteri facenti capa a questo e all'Amministrazione si rinvia alla pronuncia dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 8/2021 (Cons. Stato, 25 maggio 2021, n. 8) e ai relativi commenti.

Più specificamente per la figura del commissario ad acta nel rito del silenzio si rinvia a R. Fusco, Autotutela sugli atti del commissario ad acta nel giudizio avverso il silenzio, in giustiziainsieme.it, 3 maggio 2021 e alla dottrina e giurisprudenza ivi citata.

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