PPT: deposito a mezzo PEC degli atti per i quali è permesso il deposito con modalità “non telematiche”

15 Febbraio 2024

Il d.m. 217/2023 non è stato un testo normativo fortunato. Pubblicato con un evidente errore materiale (emendato il 10 gennaio scorso) proprio nella parte di maggiore interesse per gli avvocati, e cioè quella riguardante le “alternative” al deposito telematico dei loro atti processuali, ha suscitato reazioni complessivamente perplesse anche e soprattutto perché non è un esempio di scorrevolezza espositiva.

Dopo l'entrata in vigore del d.m. 217/2023 è ancora consentito il deposito a mezzo PEC degli atti per i quali è permesso il deposito con modalità “non telematiche”?

Farraginosità a parte, a finire nel mirino degli interpreti è stato soprattutto il comma 8 dell'art. 3, ove si prevede espressamente che, per gli atti depositabili anche con modalità non telematica, è consentito l'uso della PEC fino a tutto il 2024. Il tenore della norma, una volta tanto, è inequivocabile: «Rimane consentito il deposito mediante posta elettronica certificata come disciplinato dall'articolo 87-bis del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 per tutti i casi in cui il deposito può avere luogo anche con modalità non telematiche» . Nonostante la chiarezza del dettato normativo, è serpeggiato il dubbio che la disposizione in esame, contenuta in una fonte secondaria quale certamente è il decreto ministeriale, sia illegittima perchè – si è sostenuto – andrebbe in contrasto con norme di rango superiore e, in particolare con l'art. 87, commi 3 e 6-quinquies del d.lgs. 150/22. A ben vedere, però, tali dubbi sono infondati: facciamo intanto due premesse. La prima: il deposito a mezzo posta elettronica certificata non è un “deposito telematico”, intendendosi con tale termine soltanto quello eseguito tramite PDP. In secondo luogo, va osservato che il d.m. 217/2023 appartiene a pieno titolo alla “classe” dei decreti ministeriali richiamati dagli artt. 87 e 87-bis del d.lgs. 150/22 (c.d. “Riforma Cartabia”). Fatte queste due precisazioni, andiamo adesso all'intreccio delle norme e alle conseguenze che ne derivano. Gli artt. 87 e 87-bis della Riforma Cartabia vanno letti insieme: il primo contiene un complesso di regole destinate a operare, per così, dire “nel futuro” e il secondo, invece, detta la disciplina transitoria. Quest'ultima, in parole povere, permette l'uso della PEC per il deposito degli atti processuali diversi da quelli che devono obbligatoriamente veicolarsi mediante portale (atti conseguenti alla notifica dell'avviso ex art. 415-bis c.p.p., opposizione alla richiesta di archiviazione, eccetera). Sia l'art. 87, sia l'art. 87-bis sono attualmente in vigore. Più in particolare, l'art. 87, comma 3, prevede espressamente che il decreto ministeriale (quindi, la nostra fonte secondaria) individui uffici giudiziari e tipologie di atti «per i quali possono essere adottate anche modalità non telematiche di deposito...nonchè i termini di transizione al nuovo regime di deposito». Andiamo adesso a consultare l'art. 87-bis, comma 1: esso, al primo comma, permette l'uso della PEC – modalità, lo ricordiamo, da considerarsi non telematica ma tutt'al più informatica – «sino al quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti di cui ai commi 1 e 3 dell'articolo 87, ovvero sino al diverso termine previsto dal regolamento di cui al comma 3...».Ed ecco, lineare, la nostra conclusione: il “diverso termine” entro cui è consentito l'utilizzo della PEC è il 31 dicembre 2024 e il “regolamento” che lo ha previsto è proprio il d.m. 217/2023, che non reca, quindi, disposizioni in contrasto con le norme della Riforma Cartabia, ma anzi ne costituisce puntuale specificazione.

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