Valide anche per l'erede le limitazioni e le preclusioni relative alle azioni trasmissibili con l’eredità del de cuius
14 Febbraio 2024
Il Tribunale di Busto Arsizio nel 2017, aveva disposto l'adozione di una donna da parte del fratello dell'attore. Nel 2023, la Corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza e dichiarato inammissibile la domanda di revocazione presentata dall'attore. La Corte territoriale ha respinto l'appello sostenendo che l'attore non è legittimato ad agire come erede, ma solo come fratello dell'adottante. L'attore ha proposto un ricorso per cassazione sostenendo che, in quanto erede, ha il diritto di impugnare la sentenza per revocazione. In via subordinata, ha sostenuto che l'azione di revocazione dovrebbe essere riqualificata come opposizione di terzo revocatoria. La Corte di cassazione ha respinto entrambi i motivi del ricorso, affermando che sono parti del procedimento di adozione di maggiorenne esclusivamente l'adottante, l'adottando e il pubblico ministero. Questi sono i soli soggetti legittimati a impugnare il provvedimento di adozione. La revoca dell'adozione può pronunciarsi soltanto per fatti tassativi e particolarmente gravi. Inoltre, l'erede può impugnare per revocazione solo se il dante causa non è decaduto dall'impugnativa. Essendo l'erede, in qualità di successore a titolo universale, titolare di un diritto derivativo e subentrando il medesimo nella stessa situazione giuridica del defunto, l'impugnativa è condizionata a quei medesimi fatti costitutivi, modificativi ed estintivi che condizionavano l'azione del precedente titolare. Pertanto, a prescindere dalla questione relativa alla qualificazione della domanda proposta e alla legitimatio ad causam, il subentro, in caso di morte della parte, del successore (a titolo universale), ex art.110 c.p.c., nella stessa posizione processuale del proprio autore, presuppone che il processo sia pendente. Laddove il processo sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'erede, successore universale, può impugnare per revocazione solo se il dante causa non sia decaduto dall'impugnativa. Pertanto, doveva essere dimostrato che, ai sensi dell'art.396 c.p.c., per il dante causa deceduto la scoperta del dolo fosse avvenuta dopo la scadenza del termine per impugnare, mentre il ricorrente ha soltanto dedotto di aver scoperto il dolo della donna dopo il decesso dell'adottante. La Corte ha concluso respingendo il ricorso e condannando il ricorrente al rimborso delle spese processuali. Fonte: dirittoegiustizia |