Equo processo e prescrizione danni d’amianto: la decorrenza del termine dell’azione di risarcimento a partire dall’esposizione all’asbesto viola l’art. 6 CEDU

La Redazione
19 Febbraio 2024

Con sentenza del 13 febbraio 2024 (n. 4976/20), la Corte EDU si è pronunciata sull'impossibilità di accesso ad un equo processo intentato a seguito di un decesso avvenuto nel 2006 per un cancro causato da un'esposizione all'amianto risalente agli anni '60 e '70. Per la Corte, la statuizione dei giudici svizzeri sul termine di prescrizione – che, a loro avviso, aveva cominciato a decorrere dal momento in cui il soggetto era stato esposto all'amianto e che di conseguenza l'azione era stata prescritta - ha comportato una violazione dell'art. 6 § 1 CEDU, non essendo stato consentito l'accesso ad un tribunale. Affermando che non esiste un periodo di latenza massimo scientificamente riconosciuto tra l'esposizione all'amianto e l'insorgenza del cancro, la Corte critica la Svizzera per la durata del procedimento poiché il rinvio deciso dal Tribunale federale in attesa di una riforma legislativa non era necessaria, avendo attribuito maggiore rilevanza alla certezza del diritto dei responsabili del danno che al diritto delle vittime di agire in giudizio.

La vicenda inizia nel 2006 quando il parente dei ricorrenti davanti alla Corte EDU è deceduto a seguito di un cancro della pleura causato da un'esposizione all'amianto risalente agli anni '60 e '70. Egli, infatti, viveva allora in una casa affittata ad una azienda produttrice di amianto, nelle immediate vicinanze di una delle fabbriche di questa azienda, dove fibre minerali di amianto venivano trasformate in pannelli di cemento.

L'uso dell'amianto è vietato in Svizzera dal 1989.

Poco prima della morte, il soggetto malato aveva avviato un procedimento penale per lesioni corporali gravi, che fu respinto dai tribunali svizzeri. Nel 2009, dopo la sua morte, i suoi parenti (i ricorrenti) avevano avviato un'azione di risarcimento contro la società in questione, i due figli dell'ex proprietario dell'azienda e le Ferrovie federali svizzere.

Chiamato ad esprimersi, il tribunale federale sospese il procedimento fino al 2018 in attesa di una revisione legislativa, di un dibattito parlamentare sulla riforma della prescrizione applicabile a talune azioni civili (che aveva portato i termini della prescrizione da 10 a 20 anni). In seguito, il Tribunale dichiarò che il termine di prescrizione era scaduto ed in particolare ritenne che vincolare l'inizio della prescrizione al verificarsi di un danno sarebbe stato contrario alla certezza del diritto. Egli considerò che nella fattispecie il termine aveva cominciato a decorrere a partire dalla fine del fatto dannoso asserito (cioè nel 1972, quando il soggetto malato aveva lasciato la città di Niederurnen) e che quindi fosse scaduto al momento dell'inoltro dell'azione legale, ritenendo che tale ragionamento fosse conforme all'art. 6 della Convenzione EDU.

Nel 2018, a seguito dell'adozione da parte del Parlamento di una nuova legge sulla prescrizione e su richiesta dei ricorrenti, il Tribunale federale riprese il procedimento respingendo le richieste dei ricorrenti e confermando la sentenza del tribunale superiore, costatando peraltro che era stato creato un fondo di risarcimento per le vittime dell'amianto. Il Tribunale stabilì che i nuovi termini di prescrizione per omicidio colposo o lesioni personali non si applicassero al caso di specie. Infine, considerò che il termine di prescrizione decorreva dal momento in cui il danno causato al soggetto malato era iniziato.

Nella sua sentenza – criticando la Svizzera per la durata del procedimento – La Corte EDU rileva che non esiste un periodo di massima latenza scientificamente riconosciuta tra l'esposizione all'amianto e l'insorgenza del tumore della pleura. I periodi di latenza variano infatti  da 15 anni a 45 anni (o più) dopo l'esposizione.

La Corte ricorda che quando è scientificamente provato che una persona è nell'impossibilità di sapere che soffre di una certa malattia, tale circostanza dovrebbe essere presa in considerazione nel calcolo del termine di prescrizione. Tenuto conto della giurisprudenza del Tribunale federale, è stato stabilito che l'inizio del termine di prescrizione nel caso di specie corrispondeva alla fine del fatto dannoso in questione, e di conseguenza i ricorrenti non hanno ottenuto l'esame nel merito da parte di un tribunale delle loro domande di risarcimento.

Inoltre, poiché la giurisprudenza interna attribuisce maggiore importanza alla certezza giuridica delle persone responsabili del danno rispetto al diritto di accesso a un tribunale per le vittime, non vi è stata una ragionevole proporzionalità tra gli scopi perseguiti e i mezzi impiegati.

I tribunali svizzeri hanno dunque limitato il diritto dei ricorrenti di adire un tribunale a tal punto che il loro diritto si è trovato intaccato nella sua sostanza. Lo Stato in questione ha dunque oltrepassato i limiti del suo margine di valutazione, in violazione dell'art. 6 § 1 della Convenzione EDU (accesso a un tribunale).

Sulla durata del procedimento la Corte ricorda che deve essere valutata alla luce delle circostanze particolari della causa. Nella fattispecie, i ricorrenti si sono lamentati in sostanza della durata del procedimento dinanzi al Tribunale federale, ossia sei anni in totale.

Tenuto conto del carattere complesso della causa, si tratta essenzialmente di stabilire se il periodo di quattro anni e mezzo di sospensione del procedimento abbia costituito un «termine ragionevole», come sostiene il Governo.

In risposta alla tesi del Governo – e cioè che i ricorrenti avrebbero potuto chiedere più volte la ripresa del procedimento –  la Corte ricorda che spetta allo Stato vigilare affinché una procedura sia condotta rapidamente. Inoltre, nella fattispecie, il Tribunale federale ha deciso di attendere le riforme del diritto pertinente prima di procedere, il che, secondo i giudici di Strasburgo, non era necessario.

La creazione di una Fondazione per la cura delle vittime dell'amianto non è neppure un punto pertinente per la Corte, in quanto è intervenuta più di un anno dopo che i ricorrenti avevano chiesto la ripresa del procedimento e che, del resto, essa non fa parte dei motivi della sospensione decisa dal Tribunale federale.

In conclusione, la Corte, stabilendo che la Svizzera dovrà versare ai ricorrenti congiuntamente 20.800 euro per danno morale e 14.000 euro per le spese, afferma che vi è stata violazione dell'art. 6 § 1 della Convenzione EDU per il fatto che lo Stato non si è conformato al suo obbligo di garantire la celerità del procedimento dinanzi al Tribunale federale, criticando il fatto che la giustizia svizzera abbia attribuito maggiore rilevanza alla certezza del diritto dei responsabili del danno che al diritto stesso delle vittime di accedere ad un tribunale.