Non è contraria all’ordine pubblico trascrizione di una sentenza straniera di adozione pronunciata in favore di genitori non uniti in matrimonio
19 Febbraio 2024
Massima La sentenza di adozione pronunciata all'estero in favore di genitori non uniti in matrimonio non è contraria ai principi di ordine pubblico e può essere trascritta automaticamente ai sensi dell'art. 41, l. n. 218/1995. Il caso Due genitori avevano chiesto all’ufficio di stato civile del Comune di Milano il riconoscimento dell’adozione pronunciata all’estero (nello stato del Texas). L’ufficio aveva negato la trascrizione motivando la decisione con il difetto, in capo ai richiedenti, sia dei requisiti di cui all’art. 31, comma 2, l. n. 184/1983 (genitori uniti in matrimonio), sia di quelli previsti dagli articoli 29 e 36 della medesima legge (giudizio di idoneità all’adozione ed effettuazione del percorso adottivo). La Corte di Appello di Milano - alla quale i genitori erano ricorsi ai sensi del combinato disposto degli articoli 67 l. n. 218/1995 e 30 del d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150 - aveva rigettato la domanda con una diversa motivazione: la sentenza di adozione emessa in Texas non poteva essere automaticamente riconosciuta in Italia ai sensi degli artt. 65, e 66 l. n. 218/1995, in quanto l’art. 41 consente il riconoscimento automatico alle sole sentenze pronunciate da stati esteri in favore di cittadini “non italiani”, mentre, nel caso specifico, i genitori richiedenti la trascrizione avevano “anche” la cittadinanza italiana. Trattandosi, quindi, di cittadini italiani residenti all’estero, a parere della corte territoriale alla fattispecie si doveva applicare - in forza dell’art. 19 della citata legge n. 218/1995 - la legge italiana e, quindi, la disciplina dell’adozione prevista dall’art. 36 l. n. 184/1983. La decisione è stata impugnata dai genitori dinanzi al giudice di legittimità, deducendo la violazione dell’art. 41 l. n. 218/1995, la mancata valutazione degli elementi relativi a dimostrare la stabile residenza all’estero degli adottanti e, infine, la violazione delle norme sovranazionali che sanciscono il diritto del minore a mantenere i propri legami familiari. La questione Se sia trascrivibile e, in forza di quali norme, la sentenza straniera di adozione relativa a genitori non uniti da vincolo matrimoniale. Le soluzioni giuridiche La Corte di Cassazione ha accolto il primo motivo di ricorso enunciando il seguente principio di diritto: “ove ricorrano le condizioni per il riconoscimento della sentenza di adozione straniera, legge n. 184/1983, ex art. 41, comma 1, la mancanza di vincolo coniugale tra gli adottanti non si traduce in una manifesta contrarietà all'ordine pubblico, ostativa del suddetto riconoscimento automatico degli effetti della sentenza straniera nel nostro ordinamento, anche a prescindere dall'accertamento in concreto della piena rispondenza del provvedimento giudiziale straniero all'interesse del minore”. Al fine di emettere la citata pronuncia, la Suprema Corte affronta preliminarmente la questione relativa all'inquadramento della fattispecie quale “adozione internazionale”. Gli articoli da 29 a 36 l. n. 184/1983 (Legge sull'adozione) richiamati dall'ufficio si applicano, infatti, alle adozioni internazionali, che trovano la loro definizione - in forza del disposto di cui all'art. 29 della legge medesima - nella Convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993 (ratificata in Italia con legge n. 476/1998). La Corte precisa che le “adozioni pronunciate all'estero” sono ontologicamente diverse da quelle internazionali, e sono disciplinate non dalla legge n. 184/1983, ma dall'art. 41 l. legge n. 218/1995, che prevede il riconoscimento automatico della decisione da parte dell'ufficiale di stato civile, purché il provvedimento da riconoscere non sia contrario ai principi di ordine pubblico, e siano stati rispettati i diritti essenziali della persona. A parere degli ermellini, al fine di accertare se si tratti di adozione internazionale (soggetta quindi alle regole di cui agli artt. 36 e seguenti della legge n. 184/1983) occorre verificare se vi sia stato un concreto “sradicamento” del minore dallo Stato “di origine”, in quanto, solo quando si verifica tale circostanza, si ha una “adozione internazionale”, sia nel caso in cui la sentenza di adozione sia stata emessa nello stato di origine del minore in favore di cittadini che risiedono abitualmente in uno Stato diverso (il cosiddetto Stato “di accoglienza”), sia nell'ipotesi di adozione pronunciata con provvedimento emesso nello stato di accoglienza medesimo. Non tutti i provvedimenti di adozione pronunciati all'estero di cui si chiede il riconoscimento in Italia, pertanto, sono da ritenersi “adozioni internazionali”: se non si è verificato lo “sradicamento del minore”, non si può definire internazionale l'adozione, trattandosi piuttosto di adozione estera. Del resto, l'art. 29-bis l. n. 184/1983 definisce internazionale solamente l'adozione effettuata da “persone residenti in Italia (…) che intendono adottare un minore straniero residente all'estero” (comma 1), o da “cittadini italiani residenti in uno Stato straniero”(comma 2). Nel caso in esame, la minore era indubbiamente “straniera residente all'estero” in quanto era nata e risiedeva negli USA, mentre i genitori avevano doppia cittadinanza (italiana e statunitense) e vivevano stabilmente negli Stati Uniti. Non siamo quindi nell'ambito dell'adozione internazionale, ma in quello della “adozione estera”, proprio perché non si è verificato alcuno sradicamento della bambina dallo stato di origine a quello di accoglienza. La Corte di appello ha dunque errato nel ritenere che i due genitori dovessero seguire la procedura prevista dall'art. 36 e seguenti della legge sull'adozione perché cittadini italiani, non avendo considerato che il possesso anche della cittadinanza statunitense consentiva loro di procedere all'adozione secondo le norme dello stato del Texas, nel quale vivevano da oltre venti anni. Ciò che più rileva comunque è che la bambina, sin dalla nascita, aveva abitato con i genitori adottivi e non era mai stata portata in Italia. Nel caso di specie è dunque irrilevante, ai fini della corretta qualificazione, il fatto che i genitori avessero mantenuto anche la cittadinanza italiana, in quanto la disposizione di cui all'art 19 comma 2 l. n. 218/1995 (richiamato dalla Corte di appello) non è idonea a qualificare e/o identificare l'adozione (nazionale, straniera o internazionale), ma ha solo lo scopo di determinare la legge applicabile ai soggetti dotati di doppia cittadinanza. Una volta chiarito che la fattispecie debba essere decisa applicando l'art. 41 l. 218/1995, gli ermellini passano ad esaminare se, in concreto, il riconoscimento automatico della sentenza straniera di adozione sia possibile o meno, posto che, laddove la sentenza risultasse manifestamente non conforme ai principi di ordine pubblico, la stessa non potrebbe avere ingresso in Italia. Ebbene, poiché l'art. 6 l. n. 184/1983 consente l'adozione solamente ai coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni, è necessario domandarsi se tale disposizione costituisca un limite di ordine pubblico internazionale. La Suprema Corte richiama al riguardo i principi enucleati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 9006/2021, che ha stabilito che «L'esame dei più recenti interventi della giurisprudenza costituzionale e di legittimità non consente, in conclusione, d'introdurre tra i principi di ordine pubblico internazionale che possono costituire il limite al riconoscimento dell'atto estero che forma oggetto del presente giudizio, le condizioni di accesso alla genitorialità adottiva legittimante contenute nella l. n. 184/1983, art. 6 e dalla l. n. 76/2016, art. 1, comma 20” affermando che i divieti all'adozione previsti dalla normativa nazionale non possono essere considerati alla stregua di principi di ordine pubblico internazionale, in quanto nel nostro ordinamento “coesistono principi di derivazione costituzionale e convenzionale che si pongono rispetto ad essi in una condizione di netta sovraordinazione e preminenza sia per la loro collocazione tra i diritti inviolabili della persona sia per il grado di condivisione che ne costituisce un tratto peculiare”. Il riferimento è al complesso di norme nazionali ed internazionali che hanno sancito il principio del preminente interesse del minore nelle determinazioni che incidono sul suo diritto all'identità, alla stabilità affettiva, relazionale e familiare (artt. 3 e 31 Cost, l. n. 219/2012 e il d.lgs. n. 154/2013 da un lato e art. 24 della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, e art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo dall'altro). Al riguardo, si ricorda anche la successiva pronuncia, sempre delle Sezioni Unite (Cass. n. 38162/2022), che ha affermato che l'ordine pubblico internazionale non ha solo la funzione di impedire l'ingresso, nel nostro ordinamento, di decisioni in cui siano espressi valori incompatibili con i principi ispiratori dell'ordinamento interno, ma anche quella – positiva/propulsiva – di “favorire la diffusione dei valori tutelati, in connessione con quelli riconosciuti a livello internazionale e sovranazionale”. Ne consegue che, per effetto della progressiva integrazione tra ordinamenti, le decisioni straniere devono confrontarsi non solo con la carta costituzionale, ma anche con le leggi che “come nervature sensibili, fibre dell'apparato sensoriale e delle parti vitali di un organismo, inverano l'ordinamento costituzionale". Il giudice, dunque, deve controllare non tanto la “coerenza della normazione interna di uno o più istituti con quella estera che ha condotto alla formazione del provvedimento giurisdizionale di cui si chiede il riconoscimento”, ma la “compatibilità degli effetti che l'atto produce con i limiti non oltrepassabili” che sono “costituiti: dai principi fondanti l'autodeterminazione e le scelte relazionali del minore e degli aspiranti genitori; dal principio del preminente interesse del minore, di origine convenzionale ma ampiamente attuato in numerose leggi interne ed in particolare nella recente riforma della filiazione; dal principio di non discriminazione, rivolto sia a non determinare ingiustificate disparità di trattamento nello status filiale dei minori con riferimento in particolare al diritto all'identità ed al diritto di crescere nel nucleo familiare che meglio garantisca un equilibrato sviluppo psico-fisico nonché relazionale, sia a non limitare la genitorialità esclusivamente sulla base dell'orientamento sessuale della coppia richiedente; dal principio solidaristico che fonda la genitorialità sociale sulla base del quale la legge interna ed il diritto vivente hanno concorso a creare una pluralità di modelli di genitorialità adottiva, unificati dall'obiettivo di conservare la continuità affettiva e relazionale ove già stabilizzatasi nella comunità familiare". Per questo motivo, considerato l'insieme di norme nazionali ed internazionali che hanno stabilito la prevalenza dell'interesse del minore nelle determinazioni che incidono sul suo diritto all'identità, alla stabilità affettiva, relazionale e familiare, si deve affermare che la mancanza di vincolo coniugale tra gli adottanti non è manifestamente contraria all'ordine pubblico e quindi non può impedire il riconoscimento automatico degli effetti della sentenza straniera nell'ordinamento italiano. Osservazioni La Corte ha deciso la questione applicando i criteri recentemente espressi dalle Sezioni Unite sul tema della conformità ai principi di ordine pubblico delle decisioni in materia di adozione che non rispettino i divieti e i limiti della normativa nazionale. I principi invocati nella pronuncia in commento sono stati richiamati anche nella decisione della medesima Corte di cassazione n. 32527/2023, relativa alla richiesta di trascrizione di una sentenza straniera che aveva dichiarato l'adozione di due minori da parte di due donne italiane (in tal caso, la Corte di Appello si era pronunciata favorevolmente e il Comune aveva impugnato la decisione sostenendo che la trascrizione fosse contraria ai principi di ordine pubblico). Il giudice di legittimità ha ribadito che il principio del “best interest of child” concorre alla definizione del concetto di ordine pubblico, e consente l'ingresso, nel nostro ordinamento, di nuove relazioni genitoriali. In sintesi, si afferma che è il minore ad essere titolare del diritto al riconoscimento del legame instaurato con il genitore adottivo, diritto da considerarsi prevalente rispetto ad eventuali limitazioni previste dalla normativa interna, in quanto, in caso contrario, la prole sarebbe discriminata in ragione della scelta operata dagli adulti. Non si può non evidenziare, però, che i principi che vengono enunciati nelle decisioni citate, da un lato, sono richiamati per dichiarare non contraria all'ordine pubblico la trascrizione delle sentenze di adozione rese all'estero in favore di genitori del medesimo sesso, dall'altro, sono invocati per negare la trascrizione di atti di nascita in favore di coppie omogenitoriali, e ciò costituisce una evidente contraddizione. Si legge infatti nella motivazione della pronuncia delle Sezioni Unite del 30 dicembre 2022, (Cass. n. 38162/2022) – più volte richiamata nella sentenza in commento - che quando nasce un bambino sorge «l'esigenza di proteggere il diritto fondamentale del minore alla continuità del rapporto affettivo con entrambi i soggetti che hanno condiviso la decisione di farlo venire al mondo, senza che vi osti la modalità procreativa», che «l'interesse del minore che vive e cresce in una determinata comunità di affetti con entrambi i committenti può essere quello del riconoscimento non solo sociale, ma anche giuridico di tale legame», ma poi si conclude affermando che «non è trascrivibile in Italia il provvedimento straniero che indica il genitore d'intenzione quale genitore del bambino». Ma se si afferma che «il nato non è mai un disvalore e la sua dignità di persona non può essere strumentalizzata allo scopo di conseguire esigenze general-preventive che lo trascendono. Il nato non ha colpa della violazione del divieto di surrogazione di maternità ed è bisognoso di tutela come e più di ogni altro. Non c'è spazio per piegare la tutela del bambino alla finalità dissuasiva di una pratica penalmente sanzionata. Il disvalore della pratica di procreazione seguita all'estero non può ripercuotersi sul destino del nato. Occorre separare la fattispecie illecita (il ricorso alla maternità surrogata) dagli effetti che possono derivarne sul rapporto di filiazione e in particolare su chi ne sia stato in qualche modo vittima” (così ancora Cass. civ sez un 38162/2022) tale principio deve ritenere consentita sia la trascrizione sia delle sentenze straniere di adozione, sia degli atti di nascita di figli di coppie omogenitoriali. Il minore, infatti, diviene titolare di diritti fondamentali – primo fra tutti quelli veder riconosciuto il legame con i genitori – indipendentemente dalla condizione di figlio adottivo o figlio naturale. Negare il diritto a veder riconosciuto il legame genitoriale – che sia stabilito in una sentenza di adozione o consacrato in un atto di nascita – costituisce piuttosto una violazione dei principi di ordine pubblico internazionale, tra i quali è innegabilmente compreso quello al riconoscimento dello status di figlio. |