Decreto legislativo - 12/01/2019 - n. 14 art. 262 - Patrimoni destinati ad uno specifico affarePatrimoni destinati ad uno specifico affare 1. Se è aperta la liquidazione giudiziale nei confronti della società, l'amministrazione del patrimonio destinato previsto dall'articolo 2447-bis, primo comma, lettera a), del codice civile è attribuita al curatore, che vi provvede con gestione separata. 2. Il curatore provvede a norma dell'articolo 216 alla cessione a terzi del patrimonio, al fine di conservarne la funzione produttiva. Se la cessione non è possibile, il curatore provvede alla liquidazione del patrimonio secondo le regole della liquidazione della società in quanto compatibili. 3. Il corrispettivo della cessione al netto dei debiti del patrimonio o il residuo attivo della liquidazione sono acquisiti dal curatore nell'attivo della liquidazione giudiziale, detratto quanto spettante ai terzi che vi abbiano effettuato apporti, ai sensi dell'articolo 2447-ter, primo comma, lettera d) del codice civile 1. [1] Comma modificato dall'articolo 28, comma 2, del D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147. Per la decorrenza vedi l'articolo 42, comma 1, del D.Lgs. 147/2020 medesimo. Successivamente modificato dall'articolo 40, comma 3, del D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136. InquadramentoLa norma in rassegna, che si pone in linea con le previsioni già contenute nell'art. 155 l. fall., disciplina la gestione di patrimoni destinati dopo l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale della società costituente, integrando le disposizioni contenute nell'art. 2447-novies c.c., al cui commento qui si rinvia. In tale ipotesi la gestione di patrimoni destinati è naturalmente affidata al curatore, il quale deve svolgerla separatamente rispetto a quella del patrimonio sociale. Amministrazione del patrimonio in caso di liquidazione giudizialeLa circostanza che la legge continui a imporre una gestione separata del patrimonio destinato ad uno specifico affare pur dopo l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale della società costituente, per un verso chiarisce che il patrimonio destinato non è soggetto alla procedura in esame. Per altro verso, rende evidente il perdurare della separazione patrimoniale.
Rispetto al ruolo del curatore si registrano opinioni contrastanti ancora oggi valide stante l'assimilabilità fra l'articolo in commento e il precedente testo di cui all'art. 155 l. fall.. Alcuni, infatti, valorizzando il riferimento testuale all'«amministrazione», ritengono che il curatore debba limitarsi a una gestione «conservativa» (Comporti, 959; Macrì, 519). Secondo altri, invece, il curatore potrebbe proseguire nella gestione vera e propria dell'affare (Giannelli, 311; Scarafoni, 1966; Fimmanò, 163. Per un esame delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 5/2006 sul ruolo del curatore, Bertolotti, 2006). Al riguardo occorre osservare che normalmente il tribunale, in sede di dichiarazione di fallimento (e ora, di apertura della liquidazione giudiziale), non è in grado valutare la produttività del comparto destinato e, conseguentemente, l'opportunità della prosecuzione dell'affare (Blandino, 1836; Scarafoni, 1966) e, per tali ragioni, la legge non può che affidare tali valutazioni al curatore. Del resto, si può ragionevolmente ritenere che la liquidazione del patrimonio destinato sia ipotesi residuale da percorrere qualora la gestione del patrimonio destinato allo specifico affare non sia in concreto proficua (Santosuosso, 402). Questa gestione, che consente dunque di valutare i pro e contra dell ' affare, contribuisce anche a superare lo stigma sociale che deriva dall ' insuccesso dell ' operazione. Se l'apertura della liquidazione giudiziale interviene successivamente all'iscrizione nel registro delle imprese della deliberazione costitutiva del patrimonio destinato e prima dello spirare del termine di 60 giorni per l'opposizione dei creditori previsto dall'art. 2447-quinquies c.c. (v.), i beni e i rapporti giuridici inclusi nel patrimonio destinato saranno acquisiti all'attivo della liquidazione giudiziale. Le applicazioni giurisprudenziali in tema di gestione del patrimonio destinato sono alquanto scarne. Con riferimento alla sorte di un debito riferibile ad un patrimonio destinato costituito da una società dichiarata fallita nelle more del giudizio, si può segnalare un ' ordinanza del Tribunale di Torino che, dando particolare rilievo al primo comma dell ' art. 155 l. fall. (ora art. 262 c.d.c.) ha statuito che i rapporti obbligatori riferibili al patrimonio destinato non fanno più capo ad esso una volta dichiarata fallita la società costituente, bensì alla gestione separata attribuita ex lege in capo al curatore (Trib. Torino, ord., 6 aprile 2012). Si è ritenuto (Lamanna, 2) che alla medesima conclusione si sarebbe potuti giungere basandosi sul difetto di autonoma soggettività del patrimonio destinato a cui il debito si riferiva e del suo riflesso processuale in termini di capacità e legittimazione nel processo (questo prova nuovamente la rilevanza della questione relativa all ' autonoma soggettività del patrimonio destinato a cui si è accennato nel commento all ' art. 167c.d.c.). Cessione del patrimonio destinatoLa norma in commento prevede che, «al fine di conservare la funzione produttiva», il curatore ceda a terzi il patrimonio destinato ad uno specifico affare. In siffatta ipotesi, il corrispettivo della cessione (al netto dei debiti) ovvero il residuo attivo della liquidazione sono acquisiti all'attivo della liquidazione giudiziale. Il comma secondo dell'art. 262 c.c.i.i. disciplina la possibilità offerta al curatore, nell'ottica della conservazione di produttività, di cedere a terzi il patrimonio al fine di ricavarne un corrispettivo che sarà ricompreso nell'attivo della liquidazione giudiziale. Si è ritenuto che la gestione del patrimonio destinato non può essere a tempo indeterminato (Comporti, 959; Macrì, 519). Tuttavia, in assenza di una esplicita disposizione al riguardo, non essendoci un riferimento nella disposizione, si ritiene che il curatore possa procedere alla cessione o liquidazione nel momento migliore per assicurare il prezzo più vantaggioso. Nell'ipotesi in cui non si possa procedere alla cessione, il legislatore prescrive la liquidazione del patrimonio separato secondo le regole previste per la liquidazione delle società (artt. 2484 e ss. c.c.), ove compatibili (Salamone, 9). Il dettato normativo non specifica quali sono le cause che rendono impossibile la cessione del patrimonio destinato. In ogni caso, tali cause devono essere esplicitamente indicate dal curatore al fine di motivare la scelta liquidatoria. Secondo parte della dottrina, la liquidazione del patrimonio destinato non dovrebbe necessariamente essere accompagnata dalla redazione di un rendiconto finale, con la conseguenza che le attività amministrative e liquidatorie andrebbero fornite con i rapporti semestrali del curatore già previste dall'art. 33 quinto comma l. fall. (Scarafoni, 1972) e ora disciplinate dall'art. 130, ultimo comma, c.d.c. Sia nella ipotesi di cessione che in quella liquidatoria, l'attivo acquisito alla liquidazione giudiziale è al netto dei debiti del patrimonio destinato (e dunque di quanto occorre per la soddisfazione creditori particolari) e di ciò che spetta a terzi i quali abbiano effettuato apporti ai sensi dell'art. 2447-ter, primo comma, lett. d) c.c.. Al riguardo è stato osservato che, qualora l'apporto consista in un bene determinato, al terzo spetterà solo un diritto di credito consistente nel valore del bene apportato e non la restitutio in integrum del bene stesso (Comporti, 963). I creditori particolari non potranno insinuarsi al passivo della liquidazione giudiziale, salvo che in sede di costituzione del patrimonio destinato la società abbia previsto una responsabilità sussidiaria, ovvero nella ipotesi per le quali la separazione patrimoniale non ha effetto e cioè per le obbligazioni derivanti da fatto illecito e per il compimento di atti senza la menzione del vincolo di destinazione (v. sub art. 2447-quinquies c.c.). Ancora una volta, la disciplina in esame conferma che la liquidazione giudiziale non comporta in automatico la cessazione della separazione patrimoniale. La norma non dispone neanche per la disciplina da applicare rispetto al compenso spettante al curatore per lo svolgimento della propria attività: se esso sia da considerare un debito del patrimonio destinato e quindi debba essere sottratto prima di acquisire il residuo all'attivo, oppure se esso debba essere liquidato al termine della procedura concorsuale da parte del tribunale a seguito dell'approvazione del rendiconto finale, in base a quanto già stabilito dall'art. 39 l. fall. (e ora dall'art. 137 c.d.c.). Parte della dottrina ha ritenuto che tale ultima disposizione trovi applicazione anche al compenso spettante al curatore per le attività di cui all'art. 155 l. fall. (Scarafoni, 1973), oggi disciplinate dalla disposizione in commento.
BibliografiaBertolotti, Il curatore fallimentare nella riforma delle procedure concorsuali (d.lgs n. 5 del 2006), in dircomm.it, V, febbraio 2006; Blandino, Dei patrimoni destinati a uno specifico affare Sub art. 155 in Codice commentato del fallimento, diretta da Lo Cascio, Milano, 2013; Comporti, Sub art. 155, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di Nigro, Sandulli, Santoro, Torino, 2006; Fimmanò, La liquidazione concorsuale dei patrimoni destinati in Riforma fallimentare, a cura di Panzani, VIII, Torino, 2006, 331 ss.; Id., La liquidazione delle cellule destinate alla luce della riforma del diritto fallimentare, in Società, 2006, II, 157 ss.; Giannelli, Patrimoni destinati a uno specifico affare, Sub artt. 155 e 156 in Commentario alla legge fallimentare, a cura di Cavallini, Milano, 2010; Inzitari, I patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Soc., 2003, II bis, 295 ss.; Iorio, Patrimoni destinati ad uno specifico affare: la gestione fallimentare, in Le procedure concorsuali, a cura di Caiafa, Padova, 2011, 1231 ss.; Lamanna, Crediti verso un patrimonio destinato e interruzione del processo per sopravvenuto fallimento della Società costituente, ne Il Fallimentarista, 2012; Macrì, I rapporti giuridici pendenti, in Fallimento e concordati, a cura di Forgillo e Celentano, Milano, 2008, 499 ss.; Montonato, Sub art. 155, in Codice del fallimento e delle altre procedure concorsuali, a cura di Giordano, Tommasi, Vasapollo, Padova, 2015, 676 ss.; Pescatore, Sub art. 155 in Maffei Alberti, Commentario alla legge fallimentare, Bologna, 2013; Rossi, Il presupposto soggettivo fallimento, in Giur. comm., 2006, V, parte 1, 777 ss.; Rubino de Ritis, La costituzione dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, a cura di Abbadessa, Portale, I, 2007, 825 ss.; Salamone, I patrimoni destinati a specifici affari nella s.p.a. riformata: insolvenza, esecuzione individuale e concorsuale, in Riv. esec. forz. 2005, I, 97 ss.; Santosuosso, I patrimoni destinati, in Trattato delle procedure concorsuali, I, a cura di Ghia, Piccininni, Severini, Milano, 2010, 393 ss.; Scarafoni, Sub art. 155, in La legge fallimentare, commentario teorico-pratico, a cura di Ferro, Torino, 2014, 1959 ss. |