Decreto legislativo - 12/01/2019 - n. 14 art. 263 - Patrimonio destinato incapiente e violazione delle regole di separatezza

Vittorio Minervini

Patrimonio destinato incapiente e violazione delle regole di separatezza

 1. Se a seguito dell'apertura della liquidazione giudiziale nei confronti della società o nel corso della gestione il curatore rileva che il patrimonio destinato è incapiente provvede, previa autorizzazione del giudice delegato, alla sua liquidazione secondo le regole della liquidazione della società, in quanto compatibili.

2. I creditori particolari del patrimonio destinato possono presentare domanda di insinuazione al passivo della procedura di liquidazione giudiziale aperta nei confronti della società nei casi di responsabilità sussidiaria o illimitata previsti dall'articolo 2447-quinquies, terzo e quarto comma, del codice civile.

3. Se risultano violate le regole di separatezza fra uno o più patrimoni destinati costituiti dalla società e il patrimonio della società medesima, il curatore può proporre l'azione sociale di responsabilità e l'azione dei creditori sociali prevista dall'articolo 2394 del codice civile nei confronti degli amministratori e dei componenti degli organi di controllo della società.

Inquadramento

La disposizione in commento, analogamente a quanto già previsto dall'art. 156 l. fall. disciplina anzitutto la fattispecie in cui, a seguito della liquidazione giudiziale o nel corso della gestione, il curatore rilevi l'incapienza del patrimonio destinato.

In tale ipotesi, previa autorizzazione del giudice delegato, il curatore provvede alla liquidazione del patrimonio destinato osservando le regole in tema di liquidazione della società, «in quanto compatibili».

L'adozione del termine «incapiente» in luogo di «insolvente» è stata ritenuta dalla maggior parte degli interpreti un chiaro, e ulteriore, indice della volontà di non sottoporre il patrimonio destinato in sé a procedura concorsuale, in coerenza con quanto previsto dall'art. 2447-novies c.c. (al cui commento qui si rinvia) e alla perdurante impostazione esclusivamente a soggetto del diritto concorsuale (Niutta, 312).

In particolare, si è osservato che nell'ordinamento non è ammissibile il fallimento (e ora, la liquidazione giudiziale) di un patrimonio che non sia riferibile ad un imprenditore (Fimmanò, 357; Apice, Mancinelli, 290) e, inoltre, che il rimedio in parola sarebbe eccessivo rispetto alla finalità della norma, che si identificherebbe solamente nella liquidazione del complesso patrimoniale destinato (De Sensi, 31).

Secondo parte della dottrina, fermo restando la conclusione che il patrimonio destinato non è sottoposto in via autonoma (al fallimento e ora) alla liquidazione giudiziale, sarebbe stato opportuno estendere anche a tale patrimonio i relativi effetti (Scarafoni, 1977): in sostanza secondo tale Autore il procedimento liquidatorio del patrimonio destinato dovrebbe seguire le regole della «concorsualità».

Con la conseguenza che se il patrimonio destinato fosse capiente, la liquidazione dovrebbe avvenire secondo le regole ordinarie; in caso, invece, di incapienza, troverebbe applicazione la liquidazione concorsuale (De Sensi, 31; Blandino 1843).

Tuttavia è agevole replicare che il tenore letterale della norma in commento, e in particolare l'esplicito riferimento alla disciplina della liquidazione della società, impone – jure condito - di respingere tale conclusione.

Disciplina  

Sul piano operativo vale la pena di osservare che il curatore, per poter valutare la capienza o meno del patrimonio destinato, è chiamato a svolgere, anzitutto, un esame attento delle scritture contabili e dei relativi documenti che sono stati a lui consegnati dagli amministratori (Scarafoni, 1968; Blandino 1843; Santosuosso, 2027).

Va da sé che il curatore non potrà limitarsi a compiere mere operazioni aritmetiche, ma dovrà tenere in considerazione le regole usuali di valutazione di un complesso aziendale organizzato per un'attività d'impresa e, in primo luogo, il valore dell'avviamento

In sostanza, il curatore deve avere una chiara percezione delle pretese creditorie che insistono sul patrimonio destinato: i creditori, infatti, potrebbero aver dei titoli esecutivi ovvero ottenuto misure cautelari e potrebbero non voler attendere l'esito della procedura liquidatoria.

Secondo parte della dottrina, diversamente da quanto qui ritenuto, il curatore dovrebbe effettuare una valutazione meramente quantitativa, e dunque un esame statico della massa attiva rispetto al passivo secondo le risultanze dalle scritture contabili le quali, sulla base degli artt. 2447-sexies e 2447-septies devono essere tenute separatamente (Comporti, 972; Santosuosso, 2027).

La circostanza che la norma in rassegna preveda l'autorizzazione del giudice delegato è certamente un indice della complessità dell'attività che è chiamato a svolgere il curatore, non tanto in riferimento alla liquidazione, quanto, piuttosto, alla valutazione della capienza del patrimonio destinato (Scarafoni, 1978; Manferoce, 1359).

È stato altresì osservato che, poiché la funzione del rendiconto e della relazione è quella di permettere ai creditori di valutare la capienza o meno del patrimonio per esercitare la richiesta, il provvedimento di autorizzazione del giudice delegato, come anche l'obbligo del curatore di procedere alla liquidazione (in caso di incapienza), sembrerebbero essere sufficienti allo scopo e dunque, nella ipotesi in rassegna non sarebbe necessario il rendiconto (Ferro, 772).

Altri Autori hanno invece sostenuto che, analogamente a quanto previsto dall'art. 2447-novies c.c., anche nelle ipotesi disciplinate dall'art. 263 c.c.i.i.sarebbe necessario redigere il rendiconto finale (in vario senso, Castellano, 695; Fimmanò, 375; Macrì, 521).

Insinuazione al passivo

I creditori particolari del patrimonio destinato rimasti insoddisfatti che intendono insinuarsi al passivo della liquidazione giudiziale devono presentare apposita domanda.

Il secondo comma dell’articolo in commento disciplina i casi, limitati, in cui ai creditori particolari è consentito insinuarsi al passivo della liquidazione giudiziale; per realizzare tale effetto i creditori devono presentare apposita domanda, a conferma del fatto che l’amministrazione del patrimonio separato, anche in sede di crisi dell’impresa, è una vicenda separata dalla procedura (Blandino, 1844, sottolinea come l’incapienza del patrimonio destinato non dovrebbe mai propagarsi alla società essendo ciò correlato allo specifico regime di separazione tra le masse; qualora dalla liquidazione del patrimonio destinato residui un passivo, i creditori non potrebbero agire nei confronti del patrimonio sociale).

L’insinuazione in esame è limitata alle ipotesi previste dai commi terzo, quarto e quinto dell’art. 2447-quinquies, che si riferiscono alle obbligazioni derivanti da fatto illecito, alla ipotesi in cui l’atto compiuto sia privo della menzione del vincolo di destinazione e all’ipotesi in cui la società, nella deliberazione di costituzione del patrimonio destinato, abbia assunto la responsabilità per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare. Per le prime due fattispecie è stato osservato che non sussistono particolari dubbi interpretativi, dal momento che si tratta di ipotesi esplicitamente disciplinate dalla legge e che trovano la loro ratio nell’impossibilità di applicare la segregazione patrimoniale, con la conseguenza che i creditori del patrimonio possono in tal caso soddisfarsi anche sul patrimonio sociale (Apice e Mancinelli, 291; Macrì, 520).

Più complicato è invece delineare i limiti della responsabilità convenzionale della società costituente (in vario senso, Comporti, 974; Blandino, 1844; Castellano, 700; Scarafoni, 1980).

Se la responsabilità della società è accompagnata dal beneficio della preventiva escussione del patrimonio destinato, i creditori potranno essere ammessi al passivo con riserva - stante l’impossibilità di riparti parziali - in attesa del verificarsi della condizione prevista (Giannelli, 332).

Si è ritenuta ammissibile, inoltre, una responsabilità anche limitata della società ad una somma specifica (Blandino, 1845; contra, Scarafoni, 1980).

Violazione delle regole di separatezza patrimoniale

Qualora venga violata la disciplina posta a tutela della separatezza patrimoniale tra i patrimoni destinati e tra questi e il patrimonio sociale, l’ultimo comma dell’art. 263 c.c.i.i. prevede la c.c.i.i. possibilità per il curatore di agire contro gli amministratori e gli organi di controllo (in generale, sui poteri e le responsabilità degli amministratori di società in crisi nella legge fallimentare Bertolotti, passim). Nel  comma ora in commento (che opera un diretto richiamo all’art. 2394 c.c.) si registra uno scostamento rispetto al tenore dell‘omologa previsione contenuta nell’art. 156, ultimo comma l. fall. (che, invece, faceva riferimento alle previsioni di cui all’art. 146 l. fall.), essendo ora precisato che il curatore possa “proporre l’azione sociale di responsabilità e l’azione dei creditori sociali prevista dall’art. 2394 del codice civile”. C’è da chiedersi se vi sia e, in caso, quale possa essere, il significato di tale modifica nella formulazione letterale della norma. Secondo una prima ipotesi, almeno nelle intenzioni del legislatore si tratterebbe  di meri «adattamenti lessicali» (così la relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo, poi divenuto d.lgs. 14/2019, sub art. 263), che espliciterebbero oggi ciò che era già ricavabile  attraverso il previgente rinvio all’art. 146 l.f. (che tuttavia – si segnala - alla lettera a) usava una formula più ampia, al plurale, per riferirsi a “le azioni di responsabilità contro gli amministratori [e] i componenti degli organi di controllo...” e alla lett. b) faceva invece espresso riferimento anche alla “azione di responsabilità contro i soci della società a responsabilità limitata, nei casi previsti dall’art. 2476, comma settimo, del codice civile”). In un’altra prospettiva, tale diversa locuzione, nel limitare le azioni esperibili a quelle previste dagli articoli 2393 e 2394 c.c. in materia di società per azioni, intenderebbe invece escludere per la fattispecie in  commento le altre azioni di responsabilità – non qui nominate – esperibili in via generale dal curatore ai sensi dell’art. 255 c.c.i.i. (non richiamato), e la differenza potrebbe essere ermeneuticamente non trascurabile specie ove si consideri che il principio generale stabilito al riguardo dall’art. 7, comma 5, della legge delega (l. 155/2017) era, al contrario, quello di operare un “rafforzamento” delle azioni esperibili da parte del curatore negli interessi della massa, secondo quanto poi disposto, appunto, in via generale, dall’attuale art. 255 c.c.i.i. (ciò che viene anche enfatizzato nella Relazione illustrativa al Codice della crisi, A.G. 53, del 26 novembre 2018,  99); sicché il mancato richiamo a tale disposizione (che ha sostituito il secondo comma dell’art. 146 l.f., prima richiamato) e l’indicazione invece puntuale dell’azione sociale di responsabilità (ex art. 2393 c.c.) e dell’azione dei creditori sociali (ex art. 2394 c.c., espressamente menzionato) indicherebbe allora che queste, e non altre, siano le azioni di responsabilità che il curatore è legittimato a esercitare dalla disposizione in esame: il che sarebbe poi coerente con la tesi, già sostenuta in dottrina, circa la non applicabilità della disciplina dei patrimoni destinati alle società a responsabilità limitata (Niutta, 324 e v. supra il commento all’art. 2447-bis c.c., par. 2), le cui azioni di responsabilità non vengono ora - neppure in via indiretta – richiamate né menzionate. Non sembra invece corretta la notazione, pur contenuta nella citata Relazione illustrativa, secondo la quale il mancato richiamo all’art. 146 l. fall. avrebbe altresì lo scopo di escludere che il curatore, per esercitare l’azione, debba chiedere la preventiva autorizzazione da parte del Giudice Delegato, posto che tale autorizzazione è sempre richiesta, in base al disposto generale dell’art. 128, comma 2, c.d.c.         

La violazione di regole di separatezza rileva sul piano contrattuale, nel rapporto tra amministratori e società, e su quello extracontrattuale, nel rapporto tra gli amministratori e i creditori, in quanto ai primi spetta il dovere di conservare l’integrità del patrimonio sociale.

Si è sostenuto che ratio della previsione (fallimentare, e lo stesso vale ora per quella codicistica) è quella di tutelare l’affidamento dei creditori da ipotesi di distrazione o confusione del patrimonio destinato e che la scelta di sanzionare tali violazioni esclusivamente sul piano della responsabilità extracontrattuale sarebbe funzionale a escludere che nelle pattuizioni relative allo specifico affare si possa intervenire limitando il grado di «protezione» ad essi destinata (Ferro, 773).

Fra le ipotesi di violazione delle regole a tutela della separazione patrimoniale va certamente inclusa la mancata separazione contabile richiesta dal combinato disposto degli artt. 2447-sexies e septies se a causa di essa non sia possibile individuare i beni ed i rapporti compresi nel patrimonio ovvero gli apporti dei terzi oppure il risultato economico della gestione dell’affare o, ancora, non siano correttamente attribuiti i risultati della gestione.

Una altra ipotesi è quella dell’utilizzazione di beni, inclusi nel patrimonio destinato per l’adempimento di obbligazioni sociali ovvero l’utilizzazione dei beni sociali per il pagamento di debiti afferenti il patrimonio destinato.

Bibliografia

 Apice, Mancinelli, Diritto fallimentare: normativa ed adempimenti, Torino, 2008; Bertolotti, Poteri e responsabilità nella gestione di società in crisi. Allerta, autofallimento e bancarotta, Torino, 2017; Blandino, Dei patrimoni destinati a uno specifico affare, Sub art. 156, in Codice commentato del fallimento, diretta da Lo Cascio, Milano, 2013; Caiafa, Valerio, Patrimoni e finanziamenti destinati ad uno specifico affare: profili concorsuali in Le riforme della legge fallimentare, a cura di Didone, 2009, Torino,  1665 ss.; Castellano, Sub art. 156, in Il nuovo fallimento, a cura di Santangeli, Milano, 2006; Colombo, La disciplina contabile dei patrimoni destinati: prime considerazioni, in Banca, borsa e tit. cred. 2004, I,  30; Comporti, Sub art. 156, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di Nigro, Sandulli, Santoro, Torino, 2006; De Sensi, I Patrimoni destinati: l’impatto sulle procedure concorsuali, in Dir. prat. soc. 2004, IV,  31 ss.; Ferro, Le insinuazioni al passivo trattato teorico-pratico dei crediti e dei privilegi nelle procedure concorsuali, Padova, 2005; Fimmanò, La liquidazione concorsuale dei patrimoni destinati in Riforma fallimentare, a cura di Panzani, VIII, Torino, 2006,  331 ss.; Id., La liquidazione delle cellule destinate alla luce della riforma del diritto fallimentare, in Società, 2006, II,  157 ss.; Giannelli, Patrimoni destinati a uno specifico affare, Sub artt. 155 e 156, in Commentario alla legge fallimentare, a cura di Cavallini, Milano, 2010; Inzitari, I patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Società, 2003, II bis,  295 ss.; Iorio, Patrimoni destinati ad uno specifico affare: la gestione fallimentare, in Le procedure concorsuali, a cura di Caiafa, Padova, 2011,  1231 ss.; Macrì, I rapporti giuridici pendenti, in Fallimento e concordati, a cura di Forgillo e Celentano, Milano, 2008,  499 ss.; Montonato, Sub art. 156, in Codice del fallimento e delle altre procedure concorsuali, a cura di Giordano, Tommasi, Vasapollo, Padova, 2015,  676 ss.; Niutta, Patrimoni destinati e procedure concorsuali (a seguito della riforma che ha interessato il diritto fallimentare), in Dir. Fall., 2008, III-IV,  299 ss.; Partisani, La responsabilità civile nella gestione separata dei patrimoni destinati allo specifico affare, in Resp. civ. prev 2006, IX,  1560 ss.; Pescatore, Sub art. 156, in Maffei Alberti, Commentario alla legge fallimentare, Padova, 2013; Rossi, Il presupposto soggettivo del fallimento, in Giur. comm., 2006, V, parte 1,  777 ss.; Rubino de Ritis, La costituzione dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, a cura di Abbadessa, Portale, I, Torino, 2007,  825 ss.; Santosuosso, I patrimoni destinati, in Trattato delle procedure concorsuali, I, a cura di Ghia, Piccininni, Severini, Milano, 2010,  393 ss.; Scarafoni, Sub art. 156, in La legge fallimentare, commentario teorico-pratico, a cura di Ferro, III, Torino, 2014,  1975 ss.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario