Vendita immobiliare senza menzione dei titoli concessori in sanatoria

27 Febbraio 2024

La disciplina in materia urbanistico-edilizia relativa ai fabbricati ed alla loro circolazione per atto di trasferimento tra vivi è da tempo oggetto di approfondite analisi sia in ambito dottrinale che giurisprudenziale. La sanzione prevista, consistente nella nullità dell'atto in caso di violazione di tali disposizioni ha generato dibattiti tra posizioni formalistiche e sostanzialistiche. La recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione offre l'opportunità di ribadire il fondamento della normativa in questione, sottolineando l'importanza di includere esplicitamente tutti i titoli edilizi relativi all'immobile oggetto del trasferimento.

La disciplina urbanistica e la sua rilevanza nella circolazione immobiliare in Italia

Nel nostro Paese, il rapporto tra la circolazione degli immobili e la menzione dei titoli edilizi costituisce un elemento cruciale nell'ambito dell'urbanistica e della gestione del territorio. I titoli edilizi, quali le autorizzazioni e le concessioni, giocano un ruolo determinante nel regolare la trasformazione, l'uso e la circolazione degli immobili, contribuendo a garantire il rispetto delle normative e a tutelare l'equilibrio urbanistico.

La circolazione degli immobili, in particolar modo per atto tra vivi, è strettamente connessa alla regolamentazione urbanistica. La richiesta e l'ottenimento dei titoli edilizi rappresentano tappe fondamentali in ogni processo di trasformazione urbana, influenzando direttamente la pianificazione del territorio. La presenza di vincoli, norme e regolamenti legati ai titoli edilizi contribuisce a disciplinare la qualità architettonica, l'adeguatezza funzionale e la sostenibilità ambientale degli interventi immobiliari.

La menzione dei titoli edilizi assume un ruolo informativo essenziale in ogni transazione immobiliare, evidenziando la conformità legale degli immobili stessi. La documentazione relativa ai titoli edilizi fornisce agli acquirenti un quadro completo sulla storia e sulla regolarità degli interventi edilizi effettuati sull'immobile, contribuendo così a una circolazione trasparente e sicura degli stessi sul mercato.

Nel contesto normativo italiano, la legislazione urbanistica è articolata e dettagliata, delineando le procedure per l'ottenimento dei titoli edilizi e stabilendo le sanzioni in caso di violazioni. L'adeguato rispetto di tali regole è fondamentale per garantire una circolazione degli immobili che sia in linea con gli obiettivi di sostenibilità, qualità architettonica e tutela del paesaggio urbano, motivo per il quale assume rilevanza centrale, nell’istruttoria dell’attività notarile, un controllo attento e consapevole della normativa vigente, onde evitare conseguenze negative, anche nell’ottica della validità formale dell’atto di trasferimento.

L'evoluzione normativa

Inizialmente la legge Bucalossi (L. 10/1977) introdusse la nullità degli atti negoziali relativi a edifici edificati senza concessione edilizia solo se l'acquirente non era a conoscenza dell'abuso. Tale normativa, tuttavia, si limitava al concetto di "assenza" concreta del titolo edilizio, preoccupandosi unicamente di tutelare l’affidamento dell’acquirente per l’eventuale acquisto di immobile abusivo, tralasciando dunque non solo il caso di omessa menzione dello stesso nel relativo atto di trasferimento, ma anche l’esistenza di eventuali difformità nella costruzione.

Successivamente venne introdotta la L. 47/1985 (e, in particolare, gli artt. 17 e 40) , la quale, innovando la disciplina, richiedeva la menzione esplicita del titolo abilitativo edilizio nell'atto di trasferimento, dando spazio ad una nuova forma di nullità. Tale disposizione non si basava più sulla mancanza di conoscenza da parte dell'acquirente, ma sull'effettiva omissione delle informazioni da parte del venditore, e ciò al fine di garantire l’esistenza reale del titolo abilitativo, comminandosi l’eventuale omissione con la nullità del relativo atto. Unica eccezione, l’inizio dei lavori di costruzione anteriormente al giorno 1 settembre 1967, per la cui eventualità, in luogo della menzione del titolo edilizio, può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante tale evenienza.

Viene, tra l’altro, affrontato separatamente il concetto di difformità, prevedendosi sanzioni con misure amministrative e penali.

Detto concetto è stato, infine, ripreso dall’attuale normativa, e, più precisamente, dal DPR 380/2001, il quale, pur sostituendo l'art. 17 L. 47/1985 con l'art. 46, ribadisce la necessaria indicazione esplicita del titolo abilitativo, prevedendo tale menzione quale unico requisito per evitare la sanzione della nullità. La normativa si estende anche alle segnalazioni certificate di inizio attività per interventi edilizi, includendo le ristrutturazioni. L'evoluzione normativa non giustifica un'inversione dell'interpretazione rispetto alla legge Bucalossi.

La sanzione della nullità – tra teorie formalistiche e teorie sostanzialistiche

Come accennato, la sanzione prevista dalla normativa vigente per il caso di omissione dei titoli edilizi, è la nullità dell'atto, che, non rientrando nelle categorie contemplate nell'art. 1418 c. 1 e 2 c.c. , deve necessariamente essere ricondotta nell'ipotesi della nullità c.d. testuale, cioè espressamente prevista da norme di legge (comma 3). Ciò parrebbe anacronistico, dato il tenore letterale delle disposizioni citate, eppure dottrina e giurisprudenza hanno sempre avuto posizioni contrastanti in merito alla portata di tale nullità, sebbene con conseguenze egualmente poco condivisibili.

Secondo un primo orientamento, strettamente formalistico, sostenuto in più riprese dalla giurisprudenza (Cass. 14 giugno 2017 n. 14804, Cass. 5 luglio 2013 n. 16876, Cass. 5 marzo 2009 n. 5422, Cass. 7 dicembre 2005 n. 26970, Cass. 26 luglio 2005 n. 15584, Cass. 24 marzo 2004 n. 5898, Cass. 15 giugno 2000 n. 8147, Cass. 5 aprile 2001 n. 5068, Cass. 14 dicembre 1999 n. 14025), la legge richiederebbe, ai fini della validità dell'atto, la sola menzione dei titoli edilizi relativi all'immobile oggetto di trasferimento, a prescindere dall'effettiva esistenza degli stessi: una tale ricostruzione, come è evidente, comporterebbe, quale inevitabile conseguenza, la validità di un atto contenente, in linea puramente astratta, titoli edilizi, anche qualora, in concreto, tale provvedimenti non esistano affatto, consentendo dunque la circolazione di immobili essenzialmente abusivi, e incentivando finanche comportamenti colposi e/o dolosi da parte degli utenti, il tutto in netto contrasto con la ratio della disciplina analizzata.

Viceversa, recentemente pare essersi radicata una diversa tesi, della c.d. nullità sostanziale, sempre avallata dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 17 settembre 2015 n. 18261, Cass. 5 dicembre 2014 n. 25811, Cass. 17 ottobre 2013 n. 23591), la quale perviene ad un risultato esattamente opposto, ritenendo necessario, al fine della validità dell'atto, l'esistenza effettiva del provvedimento urbanistico relativo agli immobili oggetto del trasferimento, prescindendo dunque non solo dalla menzione degli estremi dei medesimi nel relativo atto - rectius, dalla sanzione della nullità dell'atto per il solo fatto di aver omesso la menzione del titolo edilizio -, ma soprattutto dalla gravità della difformità della costruzione rispetto al titolo (anche menzionato).

Chiaramente nemmeno questa ricostruzione, per quanto ragionevole,  può dirsi al sicuro da riflessi critici e dubbi, non solo in quanto in netto contrasto col tenore letterale della disciplina stessa, che richiede espressamente la menzione degli estremi di tutti i titoli edilizi concernenti l'immobile in oggetto, ma anche perché, come sopra accennato, non definendo i profili di riferibilità tra titolo e realizzazione finale della costruzione, mancava di chiarezza nello stabilire i casi di effettiva nullità dell'atto di trasferimento.

Ebbene, proprio partendo da tale dicotomia, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. SU 22 marzo 2019 n. 8230,successivamente confermata con le pronunce Cass. 5 marzo 2021 n. 6191 e Cass. 16 maggio 2022 n. 15587), ribadendo la finalità ultima della disciplina edilizia, e, precisamente, il contrasto all'abusivismo edilizio e la tutela e la protezione dell'acquirente, ha statuito che la caratterizzazione in senso formale della nullità di cui trattasi, deve essere temperata con la disciplina della conferma degli atti nulli, contenuta nell'art. 40 c. 3 L. 47/1985 e nell'art. 46 DPR 380/2001: disciplina da cui si ricava che la conferma è possibile solo se la mancanza delle dichiarazioni o dei documenti, rispettivamente da indicarsi o da allegarsi all'atto, non sia dipesa dalla insussistenza del titolo abilitativo edilizio o dalla inesistenza della domanda di titolo abilitativo in sanatoria al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati (ovvero dal fatto che la costruzione sia stata iniziata successivamente al 1° settembre 1967), potendosi da ciò desumere che, se il titolo abilitativo edilizio – non indicato in atto – esisteva al momento dell'atto stesso, ovvero – sempre in assenza di dichiarazione dell'alienante – la costruzione era effettivamente iniziata anteriormente al 1° settembre 1967, la nullità è confermabile, e quindi rimediabile, a iniziativa anche di una sola parte dell'atto stipulato; non, invece, in caso contrario. Ciò chiaramente comporta, facendo uno sforzo interpretativo ulteriore, che, in caso di inesistenza del titolo abilitativo, e quindi di indicazione dei relativi estremi in modo falso o erroneo, si è comunque in presenza di una nullità non confermabile.

Il requisito della riferibilità e la menzione dei titoli successivi, anche in sanatoria

Sull'onda di tale ragionamento, la giurisprudenza (cass. SU 22 marzo 2019 n. 8230) arriva all'ulteriore conclusione che l'atto è valido solo se fa riferimento a un titolo abilitativo effettivamente esistente; in caso contrario, si configura la nullità del medesimo, anche quando sono dichiarati i dettagli relativi al titolo stesso.

La nullità, regolamentata dall'art. 1418 c. 3 c.c. non è limitata a una semplice irregolarità formale, poiché sanziona anche situazioni in cui l'atto è formalmente corretto (contenendo le informazioni richieste), ma l'edificio viene commercializzato senza possedere effettivamente un provvedimento edilizio idoneo.

In questo contesto normativo, la possibilità di confermare atti nulli, così interpretata, serve a impedire la circolazione di immobili che sono radicalmente abusivi, privi del necessario titolo edilizio, anche se falsamente indicato.

Proprio in questa prospettiva, la Suprema Corte individua un “nuovo” requisito, implicito nelle disposizioni della legislazione urbanistica analizzata, consistente nella riferibilità del titolo abilitativo edilizio menzionato in atto rispetto all'immobile oggetto del trasferimento, in concreto e non in astratto. E solo in presenza di un tale requisito può effettivamente ritenersi rispettata la normativa in esame, consistente, per l'appunto, nell'indicazione di un titolo edilizio realmente esistente, imprescindibile ai fini della validità dell'atto.

Certo, tale concetto di riferibilità non è sempre facile da valutare, dovendosi bilanciare il formalismo richiesto dalla legge con la realtà concreta degli immobili nel nostro Territorio: ciò, chiaramente, spinge verso un atteggiamento necessariamente cauto per il professionista chiamato a ricevere un atto di trasferimento immobiliare, contemperato dalla consapevolezza, però, che lievi difformità rispetto al titolo edilizio (necessariamente menzionato) potrebbero non ostacolare, di fatto, l'acquisto, non comportando, dunque, la nullità dell'atto stesso.

In particolare, la giurisprudenza ha provato a circoscrivere i casi di rilevante difformità urbanistica individuandoli fondamentalmente in tre fattispecie:

  1. l'esecuzione di un corpo autonomo;
  2. l'effettuazione di modificazioni con opere interne o esterne tali da comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica (in quanto incidente sull'assetto del territorio, aumentando il cosiddetto carico urbanistico);
  3. il mutamento di destinazione di uso di un immobile preesistente allorché esso non sia puramente funzionale, ma si realizzi attraverso opere strutturali implicanti una totale modificazione rispetto al preesistente e al previsto.

Non era questo, tuttavia, il caso analizzato dalla pronuncia giurisprudenziale in commento (Cass. 16 gennaio 2024 n. 1578), la quale, per l'appunto, partendo dalla ricostruzione già fatta precedentemente dalla stessa Suprema Corte, sia pure a Sezioni Unite, ha ritenuto, correttamente, necessaria, ai fini della validità dell'atto, la menzione di tutti i titoli edilizi concernenti l'immobile oggetto dell'atto di trasferimento, non potendosi prescindere da eventuali provvedimenti successivi (anche in sanatoria), per il solo fatto che era stato citato il titolo edilizio originario.

Come ribadito in più occasioni dalla giurisprudenza, infatti, tanto nell'ottica della nullità testuale (formale e sostanziale), quanto in quella di riferibilità, non è possibile omettere eventuali provvedimenti ulteriori e successivi, anche e soprattutto quando richiesti e/o rilasciati al fine di sanare eventuali abusi immobiliari, potendosi solo in tal caso dirsi rispettato, pienamente, quanto disposto dalla normativa urbanistica vigente. Da ciò potendosi derivare che, mentre sarebbe valido un atto avente ad oggetto un immobile nel quale siano menzionati gli estremi del relativo titolo edilizio originario, anche laddove questo, per abusi successivi, non sia effettivamente riferibile al titolo stesso (ferme restando, naturalmente, le sanzioni penali e amministrative per l'abuso commesso), ad analoga conclusione non potrebbe, invece, pervenirsi, laddove, pur essendo stato regolarizzato l'immobile con un successivo provvedimento in sanatoria, quest'ultimo non venisse citato nell'atto di trasferimento, risultando il titolo inevitabilmente nullo, il tutto come espressamente previsto dalla normativa urbanistica vigente, sena contraddizione alcuna.

Conclusioni

In conclusione, la necessità di indicare tutti i titoli edilizi negli atti immobiliari di vendita emerge come un imperativo fondamentale per garantire la validità e la trasparenza delle transazioni nel settore immobiliare.

L'obbligo di fornire in modo completo gli estremi dei titoli abilitativi, sia iniziali che successivi (anche e soprattutto se richiesti e/o rilasciati per sanare abusi edilizi), si rivela cruciale per tutelare la sicurezza giuridica e l'affidamento degli acquirenti.

Questo approccio non solo rispecchia il chiaro dettato normativo, ma si configura come una misura efficace per prevenire controversie future - anche nell’ottica della funzione anti processualistica del notaio -, e garantire che la circolazione degli immobili avvenga nel rispetto delle leggi urbanistiche.

L'equilibrio tra la necessaria formalità degli atti e la tutela degli interessi delle parti coinvolte costituisce, dunque, un punto chiave nella costruzione di un sistema immobiliare solido e affidabile, capace di soddisfare le esigenze di tutte le parti in causa.

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