Confisca allargata e proventi dell’evasione fiscale: definito l’ambito applicativo del divieto probatorio ex art. 240-bis c.p.

01 Marzo 2024

Il soggetto attinto da un provvedimento di confisca c.d. allargata, o da un provvedimento di sequestro finalizzato a tale tipo di confisca, può giustificare la legittima provenienza del bene documentando che il denaro utilizzato per acquistarlo sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, solo se l'acquisto è stato operato tra il 29 maggio 2014 ed il 19 novembre 2017.

Questione controversa

La questione controversa riguarda l'ambito applicativo del divieto, per il soggetto destinatario di un provvedimento di confisca allargata, o di sequestro finalizzato a tale confisca, di «giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale», così come previsto dall'art. 31 l. n. 161/2017, e, oggi, dall'art. 240-bis c.p.: in assenza di una espressa disciplina transitoria, il divieto può trovare applicazione anche agli acquisti operati in epoca antecedente alla sua introduzione?

Possibili soluzioni
Prima soluzione Seconda soluzione

Un primo orientamento ritiene che «la previsione di cui all'art. 31 della legge 17 ottobre 2017, n. 161, secondo la quale il condannato per un reato-spia «non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale», ha natura di norma processuale, giacché non eleva l'evasione fiscale a presupposto dell'ablazione, ma introduce, in capo al predetto, un divieto probatorio destinato ad operare nel contesto d'una ricostruzione delle sue capacità economiche da effettuarsi in termini scomposti, ossia in ragione d'anno con riferimento alle risorse necessarie per realizzare gli acquisti nel momento in cui gli stessi sono intervenuti, e non riassuntivi, secondo il metodo di un confronto globale; ne deriva che la suddetta previsione – in ossequio a criteri di ragionevolezza e tutela dell'affidamento – non può trovare applicazione, anche nei procedimenti in corso, in relazione a ricostruzioni patrimoniali relative ad anni anteriori a quello di sua introduzione» (Cass. pen., sez. VI, 11 ottobre 2019, dep. 2020, n. 1778).

A sostegno di tale orientamento si adduce, altresì, la necessità di non sovrapporre la confisca allargata a quella di prevenzione, con riferimento alle modalità di ricostruzione della sproporzione di valori tra redditi e investimenti: ed invero, solo in relazione alla confisca di prevenzione - rispetto alla quale il presupposto di pericolosità soggettiva può essere fondato anche su condotte di sistematica e ricorrente evasione fiscale, se penalmente rilevanti - le Sezioni unite hanno escluso che la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del proposto possa essere giustificata adducendo proventi da evasione fiscale (Cass. pen., sez. un., 29 maggio 2014, n. 33451): proprio i principi affermati con quella sentenza consentirebbero di ritenere, ex adverso, che, almeno fino all'entrata in vigore della l. n. 161/2017, per la confisca allargata fosse consentito giustificare la sproporzione di valori facendo riferimento ai redditi leciti non dichiarati al fisco (1).

L'opposto orientamento valorizza la natura di misura di sicurezza, ancorché atipica, della confisca allargata e richiama, di conseguenza, il combinato disposto degli artt. 199 e 200 c.p., ai quali fa riferimento, quanto alle misure di sicurezza patrimoniali, l'art. 236 comma 2, c.p.

Poiché le misure di sicurezza non sono soggette al principio di irretroattività di cui agli artt. 25 Cost. e 2 c.p., ma sono regolate dalla legge vigente al momento della loro applicazione, il divieto probatorio in questione potrebbe trovare applicazione anche con riguardo ai beni acquisiti prima dell'entrata in vigore della l. n. 161/2017 (2).

(1Cass. pen., sez. III, 16 dicembre 2021, dep. 2022, n. 11599; Cass. pen., sez. V, 4 ottobre 2021, n. 46782; Cass. pen., sez. I, 3 giugno 2021, n. 37287; Cass. pen., sez. VI, 9 marzo 2021, n. 23243; Cass. pen., sez. I, 11 ottobre 2019, dep. 2020, n. 1778.

    

(2Cass. pen., sez. II, 12 gennaio 2022, n. 6587; Cass. pen., sez. II, 4 novembre 2021, dep. 2022, n. 15551.

Rimessione alle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. VI, 30 marzo 2023, n. 24335
  • I giudici rimettenti erano chiamati a scrutinare il ricorso per cassazione dell'indagato del delitto di concussione avverso il provvedimento con il quale il tribunale del riesame aveva parzialmente confermato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca allargata di una rilevante somma di denaro.
  • Ad avviso del ricorrente, erroneamente il tribunale del riesame, qualificando la confisca allargata come una misura di sicurezza (con la conseguenza che essa sarebbe disciplinata dalla legge in vigore al tempo della sua applicazione), aveva ritenuto irrilevante l'allegazione difensiva relativa alla provenienza del denaro sequestrato da redditi leciti non dichiarati al fisco: l'istituto in oggetto avrebbe, invece, carattere punitivo - sanzionatorio, sicché, anche in considerazione dei criteri affermati dalla Corte europea dei diritti dell'Uomo, si sarebbe dovuto prestare ossequio ai principi previsti dall'art. 7 CEDU e, in particolare, a quello della irretroattività della legge sopravvenuta sfavorevole.
  • La Sesta Sezione ha dato conto del problematico inquadramento dogmatico della confisca allargata, trattandosi di misura che prescinde da un diretto nesso di derivazione tra i beni attinti e il reato giudizialmente accertato, avendo quale presupposti giustificativi l'accertamento giudiziale della colpevolezza, cristallizzato in una sentenza di condanna o di applicazione della pena per uno dei reati di particolare gravità e allarme sociale (c.d. reati spia), e la sproporzione del valore di tali beni rispetto al reddito o all'attività svolta, intendendo per tale un incongruo e significativo squilibrio tra i guadagni ed il valore dei beni acquistati, da valutarsi secondo le comuni regole di esperienza al momento dei singoli acquisti.
  • Ha, altresì, evidenziato la posizione della giurisprudenza di legittimità che considera quella in esame come una “misura di sicurezza atipica” con funzione anche dissuasiva, parallela all'affine misura di prevenzione antimafia introdotta dalla l. n. 575/1965.
  • Ha, infine, accertato l'esistenza del contrasto ormai radicatosi nella recente giurisprudenza di legittimità, in ordine alla prova allegabile da colui nei cui confronti sia stato emesso un provvedimento di sequestro preventivo funzionale alla confisca allargata, al fine di superare la rilevata sproporzione tra consistenza del patrimonio e redditi.
  • Il ricorso è stato, pertanto, rimesso alle Sezioni Unite, alle quali è stato sottoposto il seguente quesito: «Se per il soggetto destinatario di un provvedimento di confisca c.d. allargata o di sequestro finalizzato per tale tipo di confisca il divieto – già stabilito dall'art. 12-sexies, comma 1, del decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, come sostituito dall'art. 31 della legge 17 ottobre 2017, n. 161 e oggi previsto dall'art. 240-bis, comma 1, c.p. - di giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, valga anche per i cespiti acquistati prima del 19/11/2017, ossia prima del giorno di entrata in vigore dell'art. 31 della legge n. 161/2017».

Informazione provvisoria

Le Sezioni Unite, all'esito della camera di consiglio del 26 ottobre 2023, hanno enunciato il seguente principio di diritto: «Il divieto previsto dall'art. 240-bis c.p., introdotto dall'art. 31 legge 17 ottobre 2017, n. 161, di giustificare la legittima provenienza dei beni oggetto della confisca c.d. allargata o del sequestro ad essa finalizzato, sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, si applica anche ai beni acquistati prima della sua entrata in vigore ad eccezione di quelli acquisiti nel periodo tra il 29 maggio 2014, data della pronuncia delle Sezioni Unite n. 33451/2014 ric. Repaci, e il 19 novembre 2017, data di entrata in vigore della legge n. 161 del 2017».

Le motivazioni delle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. un., 26 ottobre 2023, n. 8052
  • Dopo aver ripercorso il contrasto interpretativo insorto nella giurisprudenza di legittimità, le Sezioni Unite hanno condiviso l'orientamento giurisprudenziale che vede nella confisca allargata una misura di sicurezza atipica, «che si colloca su una linea di confine con la funzione repressiva propria della misura di sicurezza patrimoniale [..], come emerge anche dalla sua collocazione sistematica, coniugandosi la finalità dissuasiva con la funzione preventiva della misura, in quanto volta ad evitare il proliferare di ricchezza di provenienza non giustificata ed il suo impiego per ulteriori attività delittuose»: come già affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 24 del 2019), «la confisca di prevenzione e quella allargata (e i sequestri che, rispettivamente, ne anticipano gli effetti) costituiscono dunque altrettante species di un unico genus», identificato nella «confisca dei beni di sospetta origine illecita», la cui ablazione «costituisce non già una sanzione, ma piuttosto la naturale conseguenza della loro illecita acquisizione».
  • Hanno, poi, richiamato i principi scolpiti dalla sentenza Repaci (Cass. pen., sez. un., 29 maggio 2014, n. 33451): richiesto di chiarire se, ai fini della confisca di prevenzione, la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del soggetto, titolare diretto o indiretto dei beni, dovesse essere valutata tenendo conto degli eventuali proventi dell'evasione fiscale, il massimo consesso nomofilattico statuì che «la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del proposto non può essere giustificata adducendo proventi da evasione fiscale, atteso che le disposizioni sulla confisca mirano a sottrarre alla disponibilità dell'interessato tutti i beni che siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, senza distinguere se tali attività siano o meno di tipo mafioso»; la sentenza approfondì le differenze strutturali tra la confisca allargata e quella di prevenzione (la prima consegue alla mancata giustificazione della provenienza delle utilità ed alla sproporzione rispetto ai redditi dichiarati o alla propria attività economica; la seconda aggiunge la riconducibilità dei beni, sulla base di sufficienti indizi, al frutto di attività illecite ed al reimpiego delle stesse),  e spiegò che solo chi si difendeva dalla prima poteva allegare trattarsi di redditi leciti ma sottratti al fisco, perché la seconda travolgeva tutti i beni derivanti da una qualsiasi attività illecita.
  • Dunque, all'indomani della sentenza Repaci, il solo destinatario della confisca allargata o del sequestro ad essa finalizzato avrebbe potuto difendersi allegando che i beni aggrediti erano il provento di redditi di origine lecita non dichiarati al fisco: possibilità, poi, spazzata via con l'ineludibile divieto probatorio introdotto dalla l. n. 161/2017, divieto che, notano le Sezioni unite, «supera l'assetto legale stabilizzato e limita ulteriormente la posizione del soggetto destinatario del provvedimento ablatorio - o del prodromico provvedimento di sequestro - attribuendo alla presunzione di illecita accumulazione una portata ed un peso più pregnanti, trasformandola in una presunzione quasi assoluta [..] Una modifica normativa che pesa sulla posizione processuale del soggetto destinatario dell'ablazione, atteso che, dal 2014 al 2017, non solo non era vietato, ma era stato espressamente consentito giustificare la provenienza dei beni facendo riferimento ai redditi derivanti da attività lecite non dichiarate».
  • Venendo al quesito sottoposto all'odierno esame, le Sezioni unite rilevano che nessuno dei due orientamenti in conflitto appare appagante: «Non il primo, quello più restrittivo, fondato sulla incondizionata applicazione retroattiva del divieto probatorio sopravvenuto, perché si limita a fare riferimento alle norme generali dettate in tema di misura di sicurezza, di cui agli artt. 200 - 236 c.p., senza tuttavia cogliere le implicazioni della norma sopravvenuta per i diritti dell'individuo e per l'affidamento incolpevole dei consociati in relazione alla complessità dell'accertamento processuale sottostante la fattispecie prevista dall'art. 240-bis c.p. Neppure il secondo indirizzo giurisprudenziale è interamente condivisibile, perché, pur cogliendo le connessioni tra il novum e i diritti dell'individuo, finisce per escludere l'operatività del principio tempus regit actum anche in relazione ad un lasso di tempo - quello precedente alla pronuncia della sentenza Repaci - in cui la base legale della misura ablatoria non consentiva di attribuire rilievo, in termini di ragionevole certezza, alla possibilità di superare la presunzione di illecita accumulazione facendo riferimento ai redditi leciti non dichiarati al fisco».
  • Occorre, allora, affidarsi ad un principio «capace di saldare legalità sostanziale e processuale, di sterilizzare possibili effetti limitativi delle garanzie della persona»: quello del tempus regit actum espresso dall'art. 11 delle preleggi.
  • «L'art. 11 prevede che la legge non dispone che per l'avvenire, cioè che essa non ha effetto retroattivo. La regola assume valore di principio generale dell'ordinamento, pur non avendo valenza di principio costituzionale, ed opera come fondamentale criterio di interpretazione delle norme, laddove manchi una disciplina transitoria. Ciascun "fatto" va tendenzialmente assoggettato al regime normativo vigente al tempo con cui si verifica», anche in considerazione della necessaria tutela dell'affidamento che ciascuno ripone nella stabilità dell'assetto normativo, soprattutto laddove le disposizioni sopravvenute incidano sull'effettivo esercizio del diritto di difesa.
  • Dunque, concludono le Sezioni unite, «al fine di individuare la norma processuale penale applicabile tra quelle interessate da un fenomeno successorio ovvero l'ambito applicativo di una norma processuale penale sopravvenuta, l'operatività del principio tempus regit actum può essere mitigata, temperata, in ragione della necessità di dare attuazione alle esigenze sottese ai plurimi principi di rilievo costituzionale (artt. 2,13,24 e 111 Cost. nonché 1, 6Cedu) di cui si è detto, e, in particolare, alla tutela dell'affidamento dei consociati sull'assetto di una determinata base legale, stabilizzata dal diritto vivente. Viene in rilievo una operazione valoriale dell'interprete di conformazione prudente, volta, da una parte, ad assicurare tutela ai diritti dell'individuo, effettività al diritto di difesa, prevedibilità di una ragionevole decisione, e, per converso, ad evitare che, attraverso l'introduzione di norme processuali incidenti in senso peggiorativo sull'accertamento della “responsabilità” in senso lato, si realizzino fenomeni di retroattività incontrollata e diminuzioni di garanzie per chi ha ragionevolmente confidato nell'assetto normativo precedente al novum processuale [..] Tali principi valgono anche in relazione ad una fattispecie complessa come quella della confisca allargata. Rispetto ad una norma sopravvenuta a carattere prettamente processuale e peggiorativa per il condannato del precedente - stabilizzato - assetto legale, la necessità di individuare un principio capace di contemperare il tempus regit actum con le esigenze sottese ai principi costituzionali di cui si è detto, discende dalla stessa struttura della fattispecie ablatoria, in cui la valutazione sulla illecita accumulazione in rem è sempre temporalmente di durata, può attenere ad un segmento temporale ampio ed ha carattere scomposto. La confisca allargata, pur non avendo natura strettamente “penale”, è caratterizzata per il riferirsi ad una concatenazione di atti e fatti collocati in tempi diversi, rispetto ai quali occorre avere riguardo all'affidamento della parte di potersi difendersi “provando” al fine di superare la presunzione di illecita accumulazione. Limitatamente ai beni acquisiti nel periodo intercorrente tra il 29 maggio 2014 - data della sentenza delle Sezioni Unite Repaci - e il 19 novembre 2017 - data di entrata in vigore della legge n. 161/2017 - la posizione processuale del condannato era misurata su un assetto normativo consolidato e chiarificatore della base legale della confisca, del suo significato, del suo ambito operativo, del contraddittorio e del diritto di difesa. Con riferimento al periodo temporale indicato, come già detto, provare la legittima provenienza dei singoli beni facendo riferimento ai redditi leciti non dichiarati, non solo non era vietato ma era espressamente consentito da anni. Il limite probatorio sopravvenuto [..] incide profondamente sul pregresso assetto normativo, mutandolo nella regolamentazione e nel rapporto tra diritto e processo».
  • Le Sezioni Unite hanno, dunque, risolto la questione controversa statuendo il principio di diritto secondo cui «Il divieto previsto dall'art. 240-bis c.p., introdotto dall'art. 31 legge 17 ottobre 2017, n. 161, di giustificare la legittima provenienza dei beni oggetto della confisca c.d. allargata o del sequestro ad essa finalizzato, sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, si applica anche ai beni acquistati prima della sua entrata in vigore ad eccezione di quelli acquisiti nel periodo tra il 29 maggio 2014, data della pronuncia delle Sezioni Unite n. 33451/2014 ric. Repaci, e il 19 novembre 2017, data di entrata in vigore della legge n. 161/2017».

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