Ottemperanza: la conversione della domanda di nullità per violazione del giudicato in accertamento dell’invalidità a fini risarcitori

Luca Biffaro
08 Marzo 2024

Il Consiglio di Stato, sulla base di una interpretazione estensiva dell'art. 34, comma 3, c.p.a., ha ritenuto ammissibile l'emendatio riduttiva di ogni domanda volta all'accertamento dell'invalidità di un provvedimento amministrativo. Di conseguenza, anche nell'ambito del giudizio di ottemperanza è possibile emendare la domanda di tutela, circoscrivendola all'accertamento dell'invalidità del provvedimento a fini esclusivamente risarcitori.

Massima

Anche se il dettato del comma 3 dell'art. 34 c.p.a. fa esplicito riferimento (soltanto) all'azione di annullamento, la medesima ratio legis impone di ritenere che il meccanismo di conversione possa essere invocato anche da chi rischia di perdere il bene della vita non a causa di un provvedimento illegittimo tout court, di cui “non risulta più utile l'annullamento”, ma a causa di un provvedimento nullo per violazione di un giudicato, nel caso in cui – sempre “nel corso del giudizio” – sia sopravvenuta la carenza d'interesse a una pronuncia sulla sussistenza di questo profilo di illegittimità.

Sussiste la inderogabile necessità, per la giurisdizione amministrativa, di assicurare anche nel giudizio di ottemperanza “una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”, secondo quanto stabilito dall'art. 1 c.p.a. Diversamente, la mera inerzia dell'amministrazione di fronte a una pronuncia del giudice rischierebbe di rendere inutile la pretesa del cittadino alla sua esecuzione, con perdita definitiva (anche “per equivalente”) del bene della vita cui è preordinata la domanda di nullità per violazione o elusione del giudicato e conseguente lesione anche del principio di effettività della tutela.

L'art. 34, comma 3, c.p.a., a conferma della lettura estensiva proposta, lungi dall'atteggiarsi a prescrizione eccezionale, costituisce estrinsecazione di un principio generale che, in ossequio a consolidati canoni processuali, consente l'emendatio riduttiva di ogni domanda volta all'accertamento dell'invalidità del provvedimento amministrativo, ivi compresa la patologia più radicale di cui all'art. 21-septies della legge n. 241/1990.

Il caso

Dinanzi al Consiglio di Stato veniva impugnata la sentenza con la quale il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio aveva accertato l'inottemperanza della Regione Lazio a una precedente sentenza del TAR Lazio, di accoglimento dei ricorsi proposti avverso il provvedimento di nomina del direttore di un Ente regionale Parco.

Il TAR Lazio, con la sentenza impugnata, aveva accertato la non corretta esecuzione del precedente dictum giudiziale da parte della Regione Lazio, in quanto la nomina del direttore dell'Ente regionale Parco era stata effettuata sulla base di una rosa di candidati non solo differente dalle due precedenti, ma che neppure includeva il nominativo della parte ricorrente.

Le questioni

Il Consiglio di Stato ha innanzitutto affrontato la questione processuale relativa alla tempestività della dichiarazione con la quale la parte ricorrente ha manifestato la persistenza dell'interesse all'accertamento, a fini meramente risarcitori, dell'invalidità dei provvedimenti gravati.

La questione giuridica affrontata dal Consiglio di Stato concerne l'applicabilità, nel giudizio di ottemperanza, del meccanismo di conversione della domanda previsto dall'art. 34, comma 3, c.p.a.

Più in particolare, il giudice amministrativo è stato chiamato a pronunciarsi sulla ammissibilità di tale meccanismo processuale nell'ipotesi in cui intervenga lite pendente una sopravvenienza che, pur facendo venir meno l'interesse del ricorrente ad una integrale delibazione della domanda di tutela per come originariamente proposta (nella specie, un'azione di nullità ex artt. 114, comma 4, lett. b), c.p.a. e 21-septies della legge 7 agosto 1990, n. 241), comunque non obliteri l'interesse a ricorrere in relazione all'accertamento dell'illegittimità dei provvedimenti impugnati, ancorché limitatamente ai profili risarcitori.

Nel caso di specie, l'interesse ad ottenere una pronuncia giudiziale di nullità dei provvedimenti impugnati per violazione del giudicato era venuto meno nel corso del giudizio in quanto la ricorrente era stata collocata a riposo e, dunque, dall'eventuale riedizione del potere amministrativo non avrebbe più potuto ritrarre l'utilitas giuridica anelata, vale a dire la nomina a direttore dell'Ente regionale Parco.

La soluzione giuridica

Il Consiglio di Stato ha, innanzitutto, risolto positivamente la questione della tempestività della dichiarazione di persistenza dell'interesse a ricorrere, valorizzando le peculiarità del caso di specie.

In particolare, posto che l'amministrazione regionale resistente aveva eccepito l'insussistenza di un interesse alla decisione della domanda di nullità, in ragione della sopravvenienza occorsa lite pendente (consistente nel collocamento a riposto della parte ricorrente), solo con la produzione documentale effettuata dopo la scadenza del termine per il deposito delle memorie di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a., il Consiglio di Stato ha ritenuto ammissibile la dichiarazione resa dalla parte ricorrente in ordine alla persistenza dell'interesse a ricorrere limitatamente all'accertamento dell'invalidità dei provvedimenti gravati a fini esclusivamente risarcitori.

La dichiarazione della parte ricorrente, infatti, era stata resa nella prima e unica difesa utile rimasta – coincidente, nella specie, con la discussione orale in camera di consiglio – e, pertanto, non sarebbe stato possibile esigere dalla ricorrente un differente comportamento processuale. Negare, nel caso di specie, l'ammissibilità di tale dichiarazione avrebbe comportato una ingiustificata lesione del diritto a un giusto processo, in contrasto con il principio di effettività e pienezza della tutela giurisdizionale.

Il Consiglio di Stato ha, poi, risolto positivamente la questione relativa alla emendabilità in senso riduttivo della originaria domanda di tutela, ritenendo applicabile il disposto dell'art. 34, comma 3, c.p.a. anche nell'ambito del giudizio di ottemperanza e con specifico riguardo all'azione di nullità ex art. 21-septies della legge n. 241/1990.

Il nuovo orientamento varato dal Consiglio di Stato poggia, da un lato, sulla valorizzazione della ratio dell'art. 34, comma 3, c.p.a. e, dall'altro, sul principio di effettività della tutela giurisdizionale, che il codice di rito espressamente sancisce all'articolo 1.

Il giudice amministrativo di secondo grado, in proposito, ha stabilito che il meccanismo di conversione della domanda previsto dall'art. 34, comma 3, c.p.a. mira ad assicurare una tutela effettiva al cittadino ogniqualvolta sia divenuto impossibile conseguire la tutela in forma specifica per il tramite dell'annullamento del provvedimento impugnato; in tali casi, infatti, il risarcimento del danno per equivalente costituisce l'unica forma di tutela che la parte ricorrente può ancora, in astratto, conseguire.

In definitiva, il Consiglio di Stato, in ossequio al principio di effettività della tutela giurisdizionale e valorizzando il carattere soggettivo della giurisdizione amministrativa anche relativamente al giudizio di ottemperanza, ha ritenuto ammissibile l'emendatioriduttiva della domanda di nullità per violazione del giudicato. Va, infine, evidenziato che l'opzione esegetica avallata poggia, per espressa ammissione del Collegio giudicante, su di una interpretazione estensiva dell'art. 34, comma 3, c.p.a., che si è resa necessaria in quanto tale disposizione normativa fa testualmente riferimento alla sola domanda di annullamento e non, invece, alla più generale categoria della invalidità del provvedimento amministrativo.

Osservazioni

Risulta innanzitutto pienamente condivisibile la soluzione offerta dal Consiglio di Stato in ordine al profilo strettamente processuale della vicenda, vale a dire quello inerente alla ammissibilità della dichiarazione di interesse all'accertamento della invalidità dei provvedimenti gravati a fini meramente risarcitori.

A riguardo, giova osservare che l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che per ottenere dal giudice amministrativo una pronuncia di mero accertamento della illegittimità dei provvedimenti impugnati – prospetticamente finalizzata alla verifica della sussistenza di uno dei requisiti normativi per l'utile esperimento di una azione risarcitoria – è sufficiente rendere una semplice dichiarazione nelle forme e nei termini previsti dall'art. 73 c.p.a. (cfr. Cons. Stato, Ad. plen.,13 luglio 2022, n. 8).

Che, in linea generale, detta dichiarazione debba essere resa nei termini di cui all'art. 73 c.p.a., si deve alla esigenza di garantire il contraddittorio con le altre parti processuali, atteso che dal positivo vaglio di ammissibilità della manifestazione di interesse all'accertamento dell'illegittimità a fini esclusivamente risarcitori, discende una emendatio riduttiva della originaria domanda di tutela, escludendone la improcedibilità.

Il Consiglio di Stato, nel caso di specie, ha correttamente ritenuto tempestiva la dichiarazione resa dalla parte ricorrente nel corso dell'udienza camerale di discussione. Il Collegio giudicante, in particolare, ha tenuto conto della circostanza per cui l'eccezione di insussistenza di un interesse alla decisione della domanda originariamente proposta era stata sollevata dalla Regione resistente facendo leva su una sopravvenienza occorsa lite pendente e rappresentata in giudizio solo con la documentazione prodotta dopo la scadenza del termine per il deposito delle memorie di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a.

La soluzione varata dal Consiglio di Stato, invero, costituisce una ulteriore declinazione del consolidato orientamento pretorio che reputa che la replica a documenti nuovi sia ammissibile anche senza il previo deposito della memoria conclusionale, sussistendo in ogni caso la necessità di garantire in maniera piena ed effettiva il diritto di difesa e di contraddittorio processuale delle costituite parti in causa (cfr. Cons. Stato, sez. II, 30 settembre 2019, n. 6534 e giurisprudenza ivi citata; TAR Lazio, sez. III, 26 febbraio 2024, n. 3710).

Quanto agli aspetti sostanziali della soluzione giuridica adottata, risulta di particolare interesse la lettura estensiva propugnata dal Consiglio di Stato in ordine all'art. 34, comma 3, c.p.a., sia perché resa nell'ambito di un giudizio di ottemperanza, sia perché incidente su una domanda di nullità.

Vale, a riguardo, ricordare che l'oggetto del giudizio di ottemperanza è rappresentato dalla puntuale verifica, ad opera del giudice, dell'esatto adempimento da parte dell'amministrazione dell'obbligo di conformarsi al giudicato per far conseguire concretamente all'interessato l'utilità o il bene della vita riconosciutogli in sede di cognizione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 gennaio 2018, n. 338). Anche il giudizio di ottemperanza, dunque, è sostanzialmente un giudizio che verte sul rapporto amministrativo, essendo teso a tutelare le situazioni giuridiche soggettive incise dall'esercizio del potere pubblico, ancorché sul versante del controllo circa la (corretta) esecuzione del dictum giudiziale. Ciò trova conferma nel fatto che il vincolo conformativo discendente dal giudicato non mira a garantire tout court la legalità oggettiva della successiva azione amministrativa, bensì a preservare la possibilità di soddisfazione della pretesa sostanziale della parte vittoriosa in sede di cognizione, vincolando l'amministrazione, all'atto del riesercizio del potere, ad agire conformemente ai canoni di legittimità individuati dalla pronuncia da eseguire (arg. ex Cons. Stato, sez. VI, 23 giugno 2023, n. 6197; Cons. Stato, sez. V, 12 luglio 2022, n. 5880; cfr. anche TAR Lazio, sez. III, 1° marzo 2024, n. 4125).

Sulla scorta della tratteggiata natura polisemica del giudizio di ottemperanza (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., sent. n. 2 del 15 gennaio 2013), per i profili rilevanti ai fini dell'analisi della pronuncia in commento, ben si comprende come, in ossequio al principio della effettività della tutela giurisdizionale, anche rispetto all'azione di nullità per violazione del giudicato possa essere legittimamente esteso il meccanismo di conversione dell'azione previsto dall'art. 34, comma 3, c.p.a.

In un sistema processuale, quale quello delineato dal d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 – nel quale la tutela giurisdizionale contro gli atti e i provvedimenti della pubblica amministrazione si estende anche ai profili risarcitori – il suddetto meccanismo di conversione deve necessariamente trovare applicazione in relazione a ogni tipologia di invalidità del provvedimento amministrativo, laddove la parte ricorrente manifesti l'esigenza di evitare una definizione in rito della controversia, intendendo conseguire, almeno in parte, l'utilità ritraibile dalla decisione di merito della domanda di tutela proposta. Ciò, invero, risulta coerente con quanto affermato dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, secondo la quale «la manifestazione dell'interesse risarcitorio ai fini dell'eventuale azione di risarcimento dei danni dell'atto originariamente impugnato, ma per il cui annullamento è venuto meno l'interesse nel corso del giudizio, consente al medesimo privato di ricavare dal giudizio di impugnazione un'utilità residua, impeditiva della pronuncia in rito ex art. 35, comma 1, lett. c), cod. proc. amm., nella futura prospettiva di una tutela per equivalente monetario che il codice consente di fare valere in separato giudizio» (cfr. la già citata Cons. Stato, Ad. plen., 13 luglio 2022, n. 8).

Peraltro, sulla scorta del regime processuale dell'azione di nullità dettato dal codice di rito, la sua rilevabilità d'ufficio – che, nel giudizio di ottemperanza risulta ancor più marcata in considerazione del fatto che la giurisprudenza ha riconosciuto l'automatica riconducibilità, entro il petitum dell'azione di ottemperanza, di tutte le domande logicamente implicate dalla richiesta della più completa e satisfattiva attuazione del dictum giudiziale (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 15 gennaio 2013, n. 2) – imporrebbe comunque al giudice amministrativo lo svolgimento di uno scrutinio di merito. Ciò vieppiù laddove si consideri che nei giudizi caratterizzati dalla proposizione di un'azione di nullità divenuta lite pendente improcedibile, la parte ricorrente ha (quasi sicuramente) introdotto nel giudizio elementi tali da consentire all'Autorità giudiziaria amministrativa di delibare in ordine alla sussistenza della più grave forma di invalidità provvedimentale. Peraltro, depongono nel senso della correttezza dell'orientamento pretorio inaugurato con la pronuncia in esame anche ragioni deflative e di economia processuale, considerando che, da un lato, l'azione di nullità di cui all'art. 114, comma 4, lett. b), c.p.a. non è soggetta al termine decadenziale di cui all'art. 31, comma 4, c.p.a., bensì al termine decennale di prescrizione proprio dell'actio iudicati, e, dall'altro, che la domanda risarcitoria risulta comunque proponibile in via autonoma in un susseguente e separato giudizio.

Giova infine evidenziare come la soluzione adottata dal Consiglio di Stato risulti coerente con il quadro normativo di riferimento, atteso che la fattispecie scrutinata concerneva anche la nullità dei provvedimenti gravati per violazione o elusione del giudicato. Vale, in proposito, ricordare che ai sensi dell'art. 112, comma 3, c.p.a. l'azione risarcitoria può essere proposta dinanzi al giudice dell'ottemperanza solo nel caso in cui si invochi la riparazione dei danni connessi «all'impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione» (cfr. Cons. Stato, sez. V, 25 marzo 2021, n. 2531). Pertanto, il Consiglio di Stato risultava legittimato ad accertare l'invalidità a fini risarcitori dei provvedimenti impugnati in quanto tale scrutinio, benché implicasse lo svolgimento di poteri di cognizione, era circoscritto a un ambito coincidente con quello nel quale il medesimo giudice amministrativo si sarebbe potuto (e dovuto) pronunciare ove, ab initio, la parte ricorrente avesse proposto anche una domanda risarcitoria per i possibili profili di danno correlati alla violazione del giudicato.

Guida all'approfondimento

R. Chieppa, R. Giovagnoli, Manuale di Diritto Amministrativo, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2023, pp. 706-717, 1415-1421 e 1424-1426.

M. A. P. Francola, “Commento all'art. 21-septies della legge 7 agosto 1990, n. 241”, in Codice Amministrativo Commentato, F. Caringella (dir.), Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2022, pp. 903-921.

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