Firma digitale nell’atto di impugnazione non riconosciuta dal software di cancelleria: gravame inammissibile?

14 Marzo 2024

Il ricorso per cassazione è ammissibile anche nel caso in cui il software della cancelleria non riconosca la firma digitale, dal momento che la causa di inammissibilità ex art. 24, comma 6-sexies, lett. a) d.l. 137/2020 si riferisce esclusivamente alla mancanza della sottoscrizione e non alla sua mera irregolarità. 

Massima

“Non è inammissibile il ricorso per cassazione laddove il software della cancelleria del giudice a quo ritiene l'impugnazione priva di una valida sottoscrizione digitale. Tale mancato riconoscimento della firma digitale è irrilevante in quanto la causa di inammissibilità dell'impugnazione prevista dall'art. 24, comma 6-sexies, lett. a) d.l. 137/2020 (convertito in l. n. 176/2020) si riferisce esclusivamente alla mancanza, e non alla irregolarità della sottoscrizione digitale”.

Il caso

Un uomo, imputato per violenza sessuale, tentati atti sessuali con minorenni e maltrattamenti, viene condannato in primo grado. La sentenza viene confermata dalla competente Corte di Appello. Interpone ricorso per cassazione il difensore dell'accusato il quale dichiarato inammissibile dal giudice di secondo grado perché ritenuto privo di sottoscrizione digitale del difensore, in ragione di quanto accertato a mezzo verifica mediante il software in dotazione alla cancelleria.

Avverso l'ordinanza che ne aveva dichiarato l'inammissibilità, ricorre in cassazione, per il tramite del suo legale, l'imputato denunciando la violazione dell'art. 24, comma 6-sexies, lett. a) d.l. 137/2020 (convertito in l. n. 176/2020) che con riguardo al difetto di sottoscrizione dell'atto sanziona con la massima sanzione processuale dell'inammissibilità solo la totale mancanza della firma digitale e non anche la presunta irregolarità. L'apposizione della firma identifica comunque l'autore dell'atto e garantisce l'integrità e immodificabilità del documento; inoltre, la PEC assicura la connessione univoca dell'atto allegato al mittente. Si richiama, all'uopo, la giurisprudenza di legittimità, per la quale l'omessa sottoscrizione dell'impugnazione da parte del difensore è vizio superabile quando è certa la provenienza dell'atto. Inoltre, l'inammissibilità per mere ragioni formalistiche si pone in contrasto con l'art. 13 CEDU (anche se il riferimento più corretto sembra essere all'art. 6 CEDU sul diritto di accesso al tribunale).

La questione

In caso di impugnazione depositata a mezzo PEC, qualora il software della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnata non riconosca la firma digitale apposta, scatta l’inammissibilità?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, con sentenza n. 10470/2024, in accoglimento del ricorso, risponde negativamente al quesito sottopostole ritenendo che il gravame è inammissibile solo nel caso di totale mancanza di sottoscrizione digitale e non di mera irregolarità. In quest'ultima ipotesi – come avvenuto nel caso portato dinanzi al giudice di legittimità – l'impugnazione è ammissibile.

Nella specie, infatti, la sottoscrizione del ricorso dichiarato inammissibile, così come documentale nel ricorso avverso l'ordinanza di inammissibilità, è di tipo “Pades-B”, ed è stata effettuata utilizzando il software “InfoCert Tinexta Group Dike Go Sign”, applicazione riconosciuta dall'AGID (Agenzia per l'Italia Digitale).

L'ordinanza impugnata non offre una motivazione utile ad escludere la sottoscrizione del ricorso perché valorizza esclusivamente il mancato riconoscimento da parte del sistema, a seguito della verifica effettuata dal software in dotazione alla cancelleria, della sottoscrizione apposta al ricorso dichiarato inammissibile. Decisivo il passaggio argomentativo dove si legge: «Ritenuto che l'atto non è sottoscritto digitalmente dal difensore, in quanto sebbene il file PDF depositato riporti in calce la dicitura “Firmato digitalmente da: […] 17:34:09”, a seguito di verifica, eseguita mediante il software “InfoCert Tinexta Group Dike Go Sign” in dotazione alla Cancelleria, la stessa non risulta validamente apposta poiché non riconosciuta dal sistema».

La sentenza n. 10470/2024 ritiene irrilevante il mancato riconoscimento della firma digitale del difensore da parte de sistema della cancelleria in quanto la causa di inammissibilità dell'impugnazione prevista dall'art. 24, comma 6-sexies, lett. a) d.l. 137/2020 (convertito in l. n. 176/2020) si riferisce esclusivamente alla mancanza, e non alla irregolarità della sottoscrizione digitale.

Tale disposizione introdotta nell'emergenza pandemica da Covid-19 prevede l'inammissibilità «quando l'atto di impugnazione non è sottoscritto digitalmente dal difensore», ma non tipizza le modalità di sottoscrizione consentite (si ricorda che anche l'art. 87-bis del d.lgs. n. 150/2022, nelle disposizioni transitorie della riforma Cartabia, prevede, tra i casi di inammissibilità legati al deposito telematico dei gravami, che «fermo quanto previsto dall'art. 591 c.p.p., nel caso di proposizione dell'atto ai sensi del comma 6-bis l'impugnazione è altresì inammissibile: a) quando l'atto di impugnazione non è sottoscritto digitalmente dal difensore)».

Di conseguenza – proseguono i giudici di legittimità – anche del principio del favor impugnationis, «la causa di inammissibilità dell'impugnazione di cui alla lett. a) dell'art. 24, comma 6-sexies, d.l. n. 137/2020, ricorre solo quando deve escludersi che l'atto di impugnazione sia stato sottoscritto digitalmente, mentre è indifferente il sistema prescelto per effettuare la sottoscrizione digitale, se la stessa sia stata apposta». Si richiamano, all'uopo, i precedenti arresti nei quali si è specificato per i quali la verifica della validità della sottoscrizione deve prescindere dalle caratteristiche del software impiegato per generarla e, parallelamente, per condurre la stessa operazione di verifica (Cass. pen., sez. II, n. 32627/2022; sez. V, n. 22992/2022).

In applicazione del suindicato principio di diritto e dei fatti processuali cui ha avuto accesso, la Terza sezione penale, nella sentenza in commento, ritiene che il ricorso dichiarato inammissibile nell'ordinanza impugnata perché privo di sottoscrizione sia, invece, in relazione a tale profilo, ammissibile. Il ricorso, infatti, risulta firmato digitalmente, e tale circostanza è sufficiente per escludere la sussistenza della causa di inammissibilità prevista dall'art. 24, comma 6-sexies, lett. a) d.l. 137/2020 (come convertito).

Osservazioni

Le conclusioni cui giunge la sentenza n. 10470/2024 meritano piena condivisione perché, in ossequio al principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, traccia un fondamentale discrimen tra mancanza di sottoscrizione digitale (cui scatta l'inammissibilità) e la mera irregolarità della firma digitale (cui consegue una mera irregolarità, rimanendo il gravame ammissibile).

La sentenza sembra, prima face, porsi in contrasto con un precedente arresto che, nel relativo caso pratico, è giunto a conclusioni differenti. Si fa riferimento a Cass. pen., sez. VI, n. 34099/2023, nella quale si è statuito che qualora il rapporto di verifica effettuato dalla cancelleria accerti che l'impugnazione della sentenza non era sottoscritta digitalmente, il gravame va dichiarato inammissibile, a nulla rilevando la mera prospettazione di un errore del sistema informatico della cancelleria, il quale, implicando un accertamento di fatto che presuppone una verifica (ora per allora) sulla validità legale della firma digitale, non può restare “in proprio” ma va sostenuta con adeguate allegazioni di consistenza tale da rendere evidente l'errore in cui sarebbe incorso il Tribunale.

In quel caso, tuttavia, vi sono due fondamentali differenze rispetto a quello esaminato dalla sentenza n. 10470/2024:

  1. Il sistema, che aveva invece contestualmente accertato la regolare firma digitale contenuta nel mandato rilasciato dall'imputato in favore del difensore, rilevava (testualmente): «nessuna firma presente» e «non è stata rilevata alcuna firma apposta sul documento passato in imput». Il fascicolo processuale trasmesso conteneva solo il "CD" con l'originale della PEC dell'atto di appello, copia dei file riprodotti in formato cartaceo del controllo da cui risulta l'omessa firma digitale; quindi, lì si era sancita la totale assenza di firma digitale (e non che quest'ultima non fosse stata validamente apposta, come avvenuto nella pronuncia n. 10470/2024);
  2. la difesa, nei motivi di ricorso, ha invocato l'esito positivo della verifica della firma digitale tramite l'applicazione riconosciuta dall'AGID (dalla quale, unica anomalia riscontrata dal sistema è costituita dall'emersione della doppia firma digitale del difensore contenuta nell'atto). Ma tale accertamento è rimasto nel suo fascicolo e non è stato offerto al bagaglio conoscitivo della Suprema Corte.

Invece nell'odierno caso, la difesa ha documentato nel ricorso avverso l'ordinanza di inammissibiltà che vi era la firma apposta sull'atto di impugnazione di tipo Pades-B.

In definitiva, si pone una linea di continuità nella giurisprudenza di Cassazione in ordine alla distinzione tra mancanza di sottoscrizione (inammissibilità dell'impugnazione) e irregolarità della firma (il gravame resta ammissibile).

Si reitera, invece, che in questi casi la parte impugnante debba fornire la prova “telematica” circa la presenza della firma digitale nell'atto qualora, come si eccepisce che, contrariamente agli accertamenti sulla sottoscrizione eseguiti dal software in dotazione alla cancelleria, la sottoscrizione sia presente, restando irrilevante che la firma digitale possa presentare dei profili di irregolarità.