Procedimento disciplinare dei magistrati contabili: il P.G. della Corte dei conti può impugnare le decisioni del Consiglio di Presidenza davanti al G.A.

18 Marzo 2024

Con la sent. n. 1192 del 2024, che rovescia l'orientamento affermato dalla sent. n. 1946 del 1999, il Consiglio di Stato ritiene che, in materia disciplinare, sia possibile riconoscere al Procuratore generale della Corte dei conti una posizione qualificata e differenziata rispetto al Consiglio di presidenza. Il Procuratore generale è quindi legittimato a impugnare davanti al giudice amministrativo le decisioni disciplinari riguardanti i magistrati contabili.

Massima

Il Procuratore generale della Corte dei conti è legittimato ad agire in giudizio avverso le decisioni disciplinari del Consiglio di presidenza in quanto, pur essendo componente di diritto del Consiglio stesso, non partecipa alle relative deliberazioni e, in ragione delle sue attribuzioni relative all'esercizio, in via esclusiva, dell'azione disciplinare, risulta essere titolare di una posizione qualificata e differenziata in ordine al corretto esercizio del potere disciplinare. Nell'esercizio di tali attribuzioni, il Procuratore generale è portatore di un interesse pubblico avente rilevanza autonoma e fondamento costituzionale a tutela dei valori di indipendenza e imparzialità della magistratura contabile.

Il caso

Il Consiglio di Stato, in riforma della sentenza di primo grado, che aveva dichiarato inammissibile il ricorso, ha affermato che il Procuratore generale della Corte dei conti (di seguito ‘PG') è legittimato a impugnare il provvedimento con cui il Consiglio di presidenza (di seguito ‘CDP') ha prosciolto un magistrato contabile dagli addebiti disciplinari a lui ascritti.

La sentenza di appello ha ritenuto che, diversamente da quanto affermato dal precedente orientamento, cui si era conformato il giudice di primo grado, è possibile riconoscere, in capo al PG, a seguito delle modifiche introdotte dall'art. 11 della l. n. 15/2009, una posizione giuridica autonoma e differenziata rispetto alle deliberazioni assunte dal CDP in materia disciplinare (cfr. punto 9.2. della motivazione).

Tale posizione, che si rifà direttamente all'attuazione del valore costituzionale dell'indipendenza (anche) della magistratura contabile (art. 108, secondo comma, Cost.), persegue l'interesse pubblico a che le condotte disciplinarmente rilevanti dei magistrati contabili ricevano la giusta e appropriata sanzione (cfr. punto 12.2 della motivazione).

La questione

La questione giuridica principale, che connota la novità della sentenza in commento, riguarda la posizione del PG nell'ambito del procedimento disciplinare relativo ai magistrati contabili e la sua legittimazione a ricorrere al giudice amministrativo (ovvero, come è accaduto nel caso di specie, a proporre ricorso straordinario al Presidente della Repubblica) avverso le deliberazioni del CDP che non soddisfino il suo interesse al corretto esercizio del potere disciplinare.

Per comprendere appieno i termini della questione, è necessario svolgere alcune premesse.

La prima è che, a differenza del giudizio disciplinare relativo ai magistrati ordinari, il procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati contabili (come quello dei magistrati amministrativi; le fonti, che disciplinano l'uno e l'altro procedimento, sono, per una catena normativa di richiami, pressoché identiche: cfr., infatti, per i magistrati della Corte dei conti, l'art. 10, c. 9, della l. n. 117/1998, che richiama espressamente gli artt. 32, 33, commi secondo e terzo, e 34 della l. n. 186/1982, cioè le disposizioni che disciplinano il procedimento disciplinare dei magistrati amministrativi; tra queste, si segnala, in particolare, l'art. 32, che opera, «per quanto non diversamente disposto», un generale rinvio alle norme previste per i magistrati ordinari «in materia di sanzioni disciplinari e del relativo procedimento». Sul carattere recettizio di tale rinvio cfr. Cass., sez. III, 22 novembre 2016, n. 23720; trattasi, pur in mancanza di formule testuali adeguate all'affermazione del carattere fisso del rinvio, di un'interpretazione necessitata dal momento che l'art. 30 del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, che ha riordinato la materia disciplinare per la magistratura ordinaria, ne ha espressamente escluso l'applicazione ai magistrati amministrativi e contabili, ai quali continuano ad applicarsi, soprattutto per quanto riguarda i profili sostanziali delle fattispecie di illecito e delle relative sanzioni, le disposizioni del R.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 511, recante “Guarentigie della magistratura”) ha, per consolidata giurisprudenza, natura di procedimento amministrativo (per l'affermazione del principio cfr. Cass., sez. un., ord., 11 dicembre 1992, n. 871, che, nell'escludere la ricorribilità per cassazione dei relativi provvedimenti, ha anche sottolineato come il richiamo delle norme del procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati ordinari, operato dal cit. art. 32 della legge n. 186, non vale ad attribuire natura di organo giurisdizionale al CDP, natura spettante, per converso, già allora, alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura. Nello stesso senso, tra le più recenti, cfr. Cass., sez. un., ord., 9 marzo 2020, n. 6690; id., ord., 20 aprile 2004, n. 7585).

Per evitare un vuoto di tutela che contrasterebbe in maniera lampante con il diritto di cui all'art. 24 Cost., la prima, ovvia, conseguenza della riferita caratterizzazione è sul piano del regime delle impugnazioni: le decisioni disciplinari, adottate dai rispettivi organi di autogoverno nei confronti dei magistrati contabili e amministrativi, sono provvedimenti amministrativi impugnabili davanti al giudice amministrativo (Cfr. Corte cost., 27 marzo 2009, n. 87).

Un'altra implicazione interessa più da vicino la posizione del PG nell'ambito del procedimento disciplinare riguardante i magistrati contabili. Il suo ruolo, proprio perché svolto all'interno di un procedimento amministrativo, non può essere assimilato al ruolo che, nel giudizio disciplinare nei confronti dei magistrati ordinari, svolge il Procuratore generale presso la Corte di cassazione (che, pure, ha il compito di promuovere l'azione disciplinare: cfr., infatti, l'art. 14 del d.lgs. n. 109/2006), che sostiene le ragioni dell'incolpazione davanti a un giudice speciale (la citata sezione disciplinare del CSM, di cui non fa parte) e, come parte di un processo, è legittimato a impugnare le relative sentenze con ricorso per cassazione «nei termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale» (cfr., infatti, art. 24 del d.lgs. n. 109/2006).

Di là dalle rilevate differenze strutturali (sull'impossibilità di desumere, neppure sulla base del rinvio di cui al richiamato art. 32 della l. n. 186/1982, una volontà legislativa intesa a parificare, in materia disciplinare, la posizione del PG a quella del Procuratore generale presso la Corte di Cassazione cfr. TAR Lazio, 21 luglio 1998, n. 2277, che ha disapplicato la disposizione dell'allora vigente regolamento di disciplina della Corte dei conti, che abilitava il PG ad impugnare le decisioni disciplinari del CDP, perché adottata in carenza di potere. La sentenza è stata confermata in appello dalla citata sent. n. 1946/1999 e la suddetta disposizione è stata eliminata dalle successive versioni del regolamento di disciplina della Corte dei conti), si constata comunque l'assenza di una norma di rango legislativo che espressamente riconosca al PG la legittimazione ad agire in giudizio avverso le deliberazioni disciplinari del CDP (tale legittimazione invece, come detto, è espressamente riconosciuta al Procuratore generale presso la Corte di cassazione dal citato art. 24 e, ancor prima, dell'art. 60 del d.P.R. n. 916 del 1958). Tale norma non può essere rintracciata nell'art. 12 dell'allegato 1 al d.lgs. n. 174 del 2016 (pure richiamato dalla sentenza commentata), che, in un corpus normativo inteso a disciplinare i giudizi davanti alla Corte dei conti, stabilisce che il PG esercita le «funzioni di pubblico ministero innanzi alle sezioni riunite e alle sezioni giurisdizionali», oltre che compiti di coordinamento all'interno del suo ufficio e nei rapporti con le procure regionali (inconferente sarebbe pure il richiamo all'art. 135, c. 1, lett. a), dell'allegato 1 al d.lgs. n. 104/2010, che, con riguardo alla competenza funzionale del TAR Lazio, sede di Roma, fa testuale riferimento alle sole «controversie […] relative ai provvedimenti riguardanti i magistrati amministrativi»).

La sottolineatura di tale vuoto normativo è dirimente per comprendere appieno i termini della questione.

Il PG, pur essendo componente di diritto del CDP (cfr. art. 10 della l. n. 117/1998, seguito dall'art. 11 della l. n. 15/2009, che, tuttavia, pur riducendo la rappresentanza elettiva della componente togata, non ha inciso sui tre membri di diritto del Consiglio, individuati nel Presidente della Corte dei conti, nel Presidente aggiunto e appunto nel PG), assume un ruolo peculiare nell'esercizio del potere disciplinare (che il c. 4, primo periodo, dell'art. 10 cit., espressamente attribuisce al CDP, conformemente al principio generale espresso dall'art. 105 Cost. per tutte le magistrature).

Al PG spetta, infatti, di promuovere il procedimento disciplinare (art. 10, c. 9, primo periodo, della l. n. 117/1988) e, alle adunanze del CDP concernenti questioni disciplinari, svolge «esclusivamente le funzioni inerenti alla promozione dell'azione disciplinare e le relative richieste» (così il secondo periodo del c. 4 cit.).

L'avverbio, utilizzato dall'enunciato normativo da ultimo richiamato, sembra sottendere una esclusività funzionale del PG cui è implicata l'esclusione da ogni altra “partecipazione” all'esercizio del potere punitivo.

Come osservato in dottrina (cfr. V. Tenore (2015); l'osservazione è ripresa, con identici termini, dalla sent. n. 1192/2024 qui commentata), la «laconicità» della disciplina di rango primario è colmata dalle disposizioni del regolamento di disciplina (nella sent. n. 1192/2024, qui commentata, è richiamato il regolamento approvato con deliberazione del CDP n. 14/CP/2013, il cui testo è stato però integralmente sostituito dalla deliberazione n. 3/CP/2021 del 7 gennaio 2021; è alle disposizioni di quest'ultima versione del regolamento di disciplina, che è poi quella vigente, che si farà riferimento nel prosieguo di questo commento).

In particolare, rileva, per quanto qui interessa, l'affermazione generale dell'art. 1, c. 3, quinto periodo, del regolamento, secondo cui «Il Procuratore generale non prende parte alle deliberazioni del Consiglio e non partecipa alle adunanze». Questo principio è poi ripetuto in relazione a ciascuna delle possibili occasioni di deliberazione conclusiva del procedimento da parte del CDP. Si v., a tale riguardo, sia la disposizione contenuta nell'art. 4, c. 2, del regolamento, che riguarda l'archiviazione del procedimento a seguito dell'istruttoria svolta dalla competente commissione consiliare, come è accaduto nel caso esaminato dalla sent. qui commentata, sia quella dell'art. 6, c. 2, del regolamento, che, con identica formulazione, stabilisce che il PG non partecipa alla deliberazione del CDP successiva alla fase di trattazione orale.

Inoltre, in linea con i compiti affidati dalla legge relativamente alla “promozione” dell'azione disciplinare, al PG spetta la contestazione degli addebiti e, dunque, la decisione di avvio del procedimento disciplinare (cfr. art. 2, c. 3, del regolamento, a seguito delle modifiche introdotte dalla cit. delib. n. 14/CP/2013; nella versione antecedente, la contestazione degli addebiti costituiva atto del CDP, su informativa del PG all'esito degli accertamenti preliminari).

Alla luce di tali premesse, la questione, che, con l'appello proposto dal PG, il collegio è stato chiamato ad affrontare, può essere sintetizzata nei seguenti interrogativi.

I pochi e frammentari dati normativi a livello primario, come integrati dalle richiamate disposizioni regolamentari, sono sufficienti ad affermare che, avverso le deliberazioni disciplinari, il PG può far valere le sue ragioni, intese all'applicazione della “giusta sanzione”, al di fuori della sede procedimentale, ricorrendo al giudice amministrativo?

L'interesse, agito dal PG con l'impugnazione in sede giurisdizionale, assume una consistenza più ampia di quello strettamente personale attinente ai profili suscettibili di incidere direttamente sulla sua posizione all'interno dell'organo di autogoverno?

La soluzione

La sentenza qui massimata ha risposto in senso affermativo a entrambi gli interrogativi (diversamente dalla richiamata sent. n. 1946/1999, che ha ritenuto circoscritta la legittimazione ad agire del PG proprio ai suddetti profili “personali”, non mancando di evidenziare come la posizione del PG anche nell'ambito del procedimento disciplinare non abbia nulla di distintivo rispetto quella di ogni altro componente dell'organo collegiale, salvo il descritto potere di iniziativa).

In particolare, il collegio ha sostenuto di poter trarre decisivo argomento dalla sopravvenienza dell'art. 11 della l. 4 marzo 2009, n. 15, individuato come punto di svolta del quadro ordinamentale preso invece in considerazione dal difforme ridetto precedente.

Le modifiche introdotte dall'art. 11 citato e quelle conseguenti che hanno interessato la sede regolamentare (su queste ultime v. i richiami di cui al paragrafo precedente) offrono argomento al percorso motivazionale seguito dal collegio per giungere all'innovativa affermazione di una posizione qualificata e differenziata del PG rispetto all'esito del procedimento disciplinare.

Nelle questioni disciplinari, il PG non agisce come un componente del CDP, non prendendo neppure parte alle relative deliberazioni. In quanto promotore dell'azione disciplinare, si trova piuttosto in una posizione di alterità rispetto all'organo di autogoverno come garante «di un interesse pubblico di ordine generale avente rilevanza autonoma e fondamento costituzionale».

La sua situazione soggettiva è non soltanto qualificata dalle attribuzioni anzidette in tema di incolpazione, ma anche differenziata rispetto a un generico e indistinto interesse alla legalità esercitabile da un “quivis de populo”.

Il PG formula la contestazione degli addebiti nel perseguimento di un concreto «bene della vita», consistente nella «tutela dell'integrità morale della magistratura contabile» (sulla rilevanza disciplinare di norme di condotta ricavate da “modelli deontologici” ovvero anche dai precetti del codice etico della magistratura cfr. Cass., sez. un., 29 gennaio 2007, n. 1821; id., 15 ottobre 2003, n. 15399, che, seppure concernenti casi coinvolgenti magistrati ordinari, hanno affermato tale rilevanza in riferimento all'illecito di cui all'art. 18 del R.d.lgs. n. 511/1946), e quindi nella garanzia, per tale magistratura speciale, dei valori costituzionali di imparzialità e indipendenza (il riferimento immediato è all'articolo 108, secondo comma, Cost., ma può essere presa in considerazione, sebbene non richiamata in sentenza, anche la norma di cui all'art. 100, terzo comma, Cost., per quanto riguarda l'esercizio delle attribuzioni di controllo).

L'interesse del PG ha la medesima consistenza dell'interesse al ricorso dell'incolpato, sebbene di segno contrario rispetto a questo, essendo l'uno e l'altro diretti a sostenere rispettivamente «la meritevolezza» ovvero «la immeritevolezza» della sanzione (punti 12.1. e 12.2. della motivazione).

La conclusione è quindi nei termini del riconoscimento a favore del PG di «una piena legittimazione ad impugnare le decisioni dell'organo di autogoverno in materia disciplinare» (così il punto 10.5. della motivazione).

Osservazioni

Le basi giuridiche individuate dalla sent. qui massimata per giustificare il cambiamento di orientamento, rispetto alle opposte conclusioni cui era giunto il medesimo Consiglio di Stato con la più volte citata sent. n. 1946/1999, appaiono deboli.

L'art. 11 della l. n. 15/2009, su cui insiste la sent. n. 1192 del 2024, qui commentata, non innova la posizione del PG nell'ambito del procedimento disciplinare relativo ai magistrati contabili, ma, come sopra evidenziato, si limita a mantenere fermo quanto già presente nell'ordinamento con l'art. 10 della l. n. 117 del 1988.

La posizione di “alterità”, che il collegio desume dal quadro normativo, sembra fondarsi soprattutto sulla mancata partecipazione del PG alla fase deliberativa del CDP quando l'organo collegiale decide questioni disciplinari.

Ma questa mancata partecipazione del PG, come si è rilevato sopra, è frutto di una scelta regolamentare (cfr. i richiamati art. 1, c. 3 e , per quanto qui interessa, art. 4, c. 2, del vigente regolamento di disciplina; trattasi comunque di scelta risalente: già disponeva in questo senso l'art. 2 del regolamento di disciplina approvato con deliberazione n. 510/CP/2000 del 17 luglio 2000).

Il mutamento di giurisprudenza sembra essere motivato quindi non da una – in realtà inesistente – novella legislativa, quanto piuttosto da una più generica mutata «sensibilità ordinamentale» che il collegio stesso rileva laddove sottolinea «l'importanza sempre più avvertita dell'eticità magistratuale» (v. punto 9.7. della motivazione; il termine “eticità”, peraltro, ha un significato essenzialmente filosofico in quanto traduce il vocabolo tedesco “Sittlichkeit”, proprio del sistema hegeliano quale terzo momento di manifestazione dello spirito oggettivo).

Si può dubitare, difettando più pregnanti qualificazioni legislative, che ciò possa offrire un sicuro ancoraggio all'affermazione di una situazione qualificata e differenziata del PG rispetto alle decisioni disciplinari dell'organo di autogoverno (salvo a volere ritenere che l'attuazione dell'indipendenza delle magistrature speciali, di cui all'art. 108, secondo comma, Cost., possa avvenire anche attraverso i regolamenti “autonomi” dei rispettivi organi di autogoverno, interpretando in senso lato il riferimento alla “legge” contenuta nel citato secondo comma (e comunque in contrasto con la riserva di legge che il primo comma del medesimo art. 108 istituisce in riferimento all'ordinamento giudiziario di ogni magistratura). Sull'impossibilità di una siffatta soluzione interpretativa appare utile richiamare il parere deliberato da Corte conti, sez. riunite, 29 novembre 2021, n. 5/2021/CONS, ove anche ricostruzione della complessa sistemazione normativa del potere regolamentare nell'ordinamento della magistratura contabile).

Infine, appare opportuno evidenziare un ulteriore elemento dubitativo nella soluzione adottata dalla sentenza qui massimata.

Il collegio manifesta la sua preoccupazione che il mancato riconoscimento della legittimazione ad agire in giudizio del PG potrebbe determinare un vuoto di tutela nel caso di un esercizio eccessivamente “domestico” del potere disciplinare, sottraendo al controllo giurisdizionale i provvedimenti di archiviazione o di applicazione irragionevolmente mite della sanzione.

Occorre ricordare però che la figura del PG è presente soltanto nell'ordinamento della Corte dei conti. Non è prevista, ad esempio, nell'analogo procedimento disciplinare relativo ai magistrati amministrativi per il quale, in disparte la comune natura amministrativa, è comunque difficile individuare una “parte pubblica” contrapposta all'incolpato nei termini fatti propri dalla sentenza qui massimata.

I profili di dubbio si condensano quindi attorno all'esito paradossale determinato da questa asimmetria.

In termini più espliciti, nella materia disciplinare, dove sono in gioco i rilevati valori di «integrità morale», sottolineati dal collegio in quanto posti da una più avvertita sensibilità sociale al centro dell'attenzione dell'ordinamento di ogni magistratura (ma si v. anche V. Tenore (2022), che sottolinea la necessità di un «rafforzamento etico», attribuendo al sistema disciplinare il compito di «contribuire alla riconquista della fiducia dei cittadini nella giustizia»), si dovrebbe registrare, per una delle «giurisdizioni speciali» di cui all'art. 108, secondo comma, Cost., la presenza di un organo di autogoverno “legibus solutus” (la preoccupazione di un organo di autogoverno “legibus solutus” risale a V. Caianiello, voce Consiglio di Stato, in Noviss. Dig. It., App., v. II, Torino, 1981, 453, all'indomani dell'attuazione dell'art. 125 Cost., sia pure sotto il diverso profilo dell'assoggettamento dei suoi atti a un sindacato giurisdizionale sostanzialmente «interno». Sulle difficoltà connesse a un sindacato giurisdizionale dei provvedimenti dell'organo di autogoverno affidato agli «appartenenti allo stesso ordine» cfr. Corte cost., 14 maggio 1968, n. 44, ancorché in riferimento ai provvedimenti del CSM), almeno quando agisce “in bonam partem”, senza la possibilità, cioè di individuare, a livello interpretativo, un rimedio effettivo alle possibili lesioni del valore dell'indipendenza che potrebbero determinarsi dalle decisioni favorevoli all'incolpato.

In assenza di un organo del “pubblico ministero”, legittimato a contestare davanti a un giudice i provvedimenti con i quali sono respinte le sue contestazioni, i rischi di corporativismo, paventati dalla sentenza qui massimata nei confronti del possibile descritto sviamento nell'esercizio del potere disciplinare, rimarrebbero sottratti a ogni controllo giurisdizionale (già una “Relazione tecnica” del Ministero della giustizia del 14 agosto 2014, raggiungibile all'indirizzo giustizia.it evidenziava come profilo altamente problematico della vigente disciplina del procedimento disciplinare relativo ai magistrati amministrativi la coincidenza nel medesimo organo «delle due funzioni che, per elementari principi di civiltà giuridica, debbono rimanere separate e distinte: la formulazione dell'incolpazione e il giudizio sulla stessa»).

In conclusione, dalle osservate tensioni interpretative nelle argomentazioni della sent. qui commentata ciò che è emerge è, ancora una volta, la necessità di un intervento legislativo che possa ricondurre a razionalità e a una migliore compatibilità costituzionale il sistema disciplinare delle magistrature non ordinarie, eventualmente anche estendendo a esse, e pur tenendo conto delle rispettive specificità funzionali, le norme in materia di illeciti e di sanzioni disciplinari previste per i magistrati ordinari dal d.lgs. n. 109 del 2006 (in questo senso si v. la “proposta” con cui si conclude la citata “Relazione tecnica” del Ministero della giustizia. Sottolinea tale necessità anche V. Tenore (2015), che, in uno scritto successivo (2022), giudica irragionevole la limitazione ai soli magistrati ordinari operata dal cit. art. 30 del d.lgs. n. 109 del 2006).

Guida all'approfondimento

In dottrina si segnalano:

  • V. Tenore, Il sistema disciplinare nelle magistrature speciali, Roma, 2022.
  • V. Tenore, Profili della responsabilità disciplinare dei magistrati contabili, in Lav. pubbl. amm., 2015, 562.
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