È inammissibile l’impugnazione del difensore priva di sottoscrizione apposta sull’atto nativo digitale

18 Marzo 2024

L'atto di appello depositato in formato digitale, ma privo di sottoscrizione deve essere dichiarato inammissibile, non essendo sufficienti l'utilizzo di uno dei formati autorizzati e l'invio da un indirizzo di posta elettronica riconducibile al difensore a garantire la paternità dell'atto.

Massima

Con la sentenza n. 48545 del 2023 la Suprema Corte ha affermato, con riferimento al deposito dell'atto di appello da parte del difensore in formato digitale ("smime,p7c"), inviato da un indirizzo di posta elettronica ad egli riconducibile, che è inammissibile l'impugnazione proposta con atto in formato digitale privo di sottoscrizione digitale, non essendo sufficiente l'utilizzo di uno dei formati consentiti a provare l'attribuibilità dell'impugnazione al professionista legittimato.

Il caso

Il Tribunale di Roma, con ordinanza, aveva dichiarato inammissibile, ai sensi dell'art. 591, comma 4, c.p.p. l'appello proposto dal difensore dell'imputato avverso la sentenza di condanna pronunciata dallo stesso Tribunale di Roma che lo aveva ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309. L'atto di appello era stato depositato a mezzo PEC presso la cancelleria del Tribunale di Roma, che ne aveva dichiarato l'inammissibilità, non essendo state osservate le disposizioni previste dall'art. 87-bis, comma 7, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in quanto «privo della necessaria sottoscrizione digitale».

Con successiva ordinanza, resa sulla istanza di revoca proposta dal difensore, la statuizione è stata confermata. Nel secondo provvedimento il giudice ha rilevato che “il messaggio di posta elettronica inviato dall'avvocato (...) all'indirizzo PEC del Tribunale di Roma, contiene un file denominato «smime.p7s», vale a dire «un messaggio e-mail che include una firma digitale»; in questo formato, «la firma risulta separata dal file contenente il documento originale»; l'atto di appello contiene «solo il certificato e l'impronta, non anche il documento originale, che, dunque, non risulta sottoscritto digitalmente, ma solo manualmente»; l'atto di impugnazione avrebbe dovuto essere trasmesso nell'estensione «smime.p7m», che «a differenza del formato "p7s" contiene anche il file originale, firmato digitalmente»; ai sensi dell'art. 87-bis, comma 7, lett. a) d.lgs. n. 150/2022, la sottoscrizione digitale del difensore è requisito di ammissibilità dell'atto di impugnazione”.

La difesa dell'imputato ricorreva avverso tale secondo provvedimento, denunciando il vizio di violazione di legge in riferimento all'art. 87 d.lgs. n.150/2022, in uno con la contraddittorietà della motivazione, sostenendo che siffatta interpretazione che riconduce la sanzione della inammissibilità alla mancanza di sottoscrizione digitale del difensore perché non compresa nel formato digitale adottato per l'atto di impugnazione, finirebbe per introdurre una ipotesi di inammissibilità del gravame non prevista dalla legge.

La questione

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte delinea in via preliminare Il quadro normativo di riferimento della questione, rappresentato dall'art. 87-bis d.lgs. n. 150/2022 che, a tutt'oggi, consente il deposito con valore legale di atti documenti e istanze «mediante invio dall'indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel registro generale degli indirizzi elettronici di cui all'art. 7 del regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011 n. 44», purché effettuato presso gli uffici di posta elettronica certificata degli uffici giudiziari destinatari indicati in apposito provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati pubblicato nel portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia.

L'art. 87-bis d.lgs. 150/2022, in particolare, prevede, al comma 3, che, quando il deposito ha ad oggetto un'impugnazione (come avvenuto nel caso di specie), l'atto «in forma di documento informatico» debba essere «sottoscritto digitalmente secondo le modalità indicate con il provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati» e debba contenere «la specifica indicazione degli allegati, che sono trasmessi in copia informatica per immagine, sottoscritta digitalmente dal difensore per conformità all'originale»; al successivo comma 4, inoltre, stabilisce che l'atto di impugnazione debba essere trasmesso dall'indirizzo di posta elettronica certificata del difensore a quello dell'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato, individuato ai sensi del comma 1, «con le modalità e nel rispetto delle specifiche tecniche ivi indicate»; al comma 7, ancora, che, fermo restando quanto previsto dall'art. 591 c.p.p., nel caso di proposizione dell'atto a mezzo PEC l'impugnazione sia inammissibile, tra l'altro (e per quanto qui rileva), «quando l'atto di impugnazione non è sottoscritto digitalmente dal difensore».

Nella sentenza si evidenzia, inoltre, che, in attuazione dell'art. 34 del decreto del Ministro della giustizia n. 44 del 21 febbraio 2011 avente ad oggetto «Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione», il Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia ha emesso due successivi provvedimenti, in data 16 aprile 2014 e 28 dicembre 2015, ove, nel testo coordinato, si stabilisce, all'art. 19-bis, che, quando un documento informatico proveniente da un difensore è sottoscritto con firma digitale, «si applica quanto previsto all'art. 12, comma 2». Quanto alle modalità per la sottoscrizione digitale il citato art. 12 contiene una dettagliata disciplina che prevede che «La struttura del documento firmato è PAdES-BES (o PAdES Part 3) o CAdESBES; il certificato di firma è inserito nella busta crittografica; è fatto divieto di inserire nella busta crittografica le informazioni di revoca riguardanti il certificato del firmatario. La modalità di apposizione della firma digitale o della firma elettronica qualificata è del tipo "firme multiple indipendenti" o parallele, e prevede che uno o più soggetti firmino, ognuno con la propria chiave privata, lo stesso documento (o contenuto della busta). L'ordine di apposizione delle firme dei firmatari non è significativo e un'alterazione dell'ordinamento delle firme non pregiudica la validità della busta crittografica; nel caso del formato CAdES il file generato si presenta con un'unica estensione p7m. Il meccanismo qui descritto è valido sia per l'apposizione di una firma singola che per l'apposizione di firme multiple».

Infine, con ulteriore provvedimento del Direttore Generale dei sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della Giustizia, pubblicato in data 9 novembre 2020, sono state indicate le specifiche tecniche relative ai formati consenti degli atti da depositare telematicamente e le ulteriori modalità di invio. In particolare, all'art. 3, comma 1 si è disposto che l'atto del procedimento nativo digitale (in forma di documento informatico), da depositare attraverso il servizio di posta elettronica certificata presso gli uffici giudiziari deve avere i seguenti requisiti: «essere in formato PDF, ovvero ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti» e «deve essere sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata». Si sancisce, dunque, che «non è ammessa la scansione di immagini».

Le soluzioni giuridiche

L'interpretazione del quadro normativo sopra riassunto fornita dalla Corte è nel senso della necessità, stante l'espressa previsione di legge, della sottoscrizione digitale dell'atto di impugnazione da parte del difensore impugnante, la cui mancanza costituisce causa di inammissibilità della stessa.

La sottoscrizione del difensore deve essere apposta sul file generato in forma digitale, in uno dei formati che la supportano - ivi compresa l'estensione «p7m» - e non può essere oggetto di mera allegazione all'atto, non essendo idonea da sola l'estensione digitale (nel caso di specie, in formato «smirrie.p7s») a far ritenere la firma del difensore apposta nel citato formato PAdES.

In assenza di una compiuta apposizione sull'atto depositato in via telematica della firma digitale del difensore, il sistema di verifica fatalmente segnala l'inattendibilità dell'atto quanto alla provenienza ed alla sua attribuibilità al difensore legittimato.

L'esistenza di detta estensione digitale costituisce solo un elemento dimostrativo che nel messaggio trasmesso a mezzo e-mail era inclusa una firma digitale e che l'atto di appello conteneva allegati che dovevano a loro volta essere trasmessi in copia informatica per immagine sottoscritta digitalmente dal difensore. Ciò che in concreto non è avvenuto.

Giova sul tema richiamare i principi affermati dalla sentenza Cass. pen., sez. II, n. 32627 del 15 giugno 2022, Moliterni, in CED Cass. n. 283844 -01, in relazione alle impugnazioni proposte nel vigore della disciplina emergenziale per il contenimento della pandemia da COVID-19 (art. 24, comma 6, d.l. 24 ottobre 2020 n. 137, conv. con legge 18 dicembre 2020, n. 176 ), secondo cui «non costituisce causa d'inammissibilità dell'impugnazione la qualificazione, da parte del sistema informatico in dotazione all'ufficio giudiziario, della firma digitale apposta dal difensore come non valida, in ragione del mancato utilizzo di uno specifico software (nella specie "Aruba sign", essendo stato l'atto sottoscritto col sistema "Pades-bes"), posto che la verifica della validità della sottoscrizione deve prescindere dalle caratteristiche del software impiegato per generarla e, parallelamente, per condurre la stessa operazione di verifica». Il principio è stato infatti affermato, sia pur con riferimento alla disciplina pandemica, sostanzialmente riprodotta nella riscrittura degli artt. 110 e 111 c.p.p., sulla formazione, sottoscrizione e conservazione degli  atti  e documenti processuali in formato “nativo digitale”, ad opera della riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022), con riferimento ad un caso di mancato riconoscimento del formato della sottoscrizione digitale del difensore, da questo apposta, da parte del sistema d verifica telematica in uso alla cancelleria, che aveva segnalato, in quel caso la sola inattendibilità dell'autorità che aveva rilasciato il certificato di autenticazione (Aruba sign), mentre nel caso in esame l'esito della verifica ha rilevato la mancanza della sottoscrizione digitale, non emergendo dalla documentazione elementi che possano far ritenere un errore nel  sistema.

L'inammissibilità è, dunque, da ricollegarsi alla «tassativa e precisa individuazione dei soggetti legittimati ad esercitare il diritto di impugnazione»: in mancanza della sottoscrizione digitale non è possibile verificare non solo la provenienza, ma anche la paternità dell'atto.

Osservazioni

Con la sentenza in commento la Corte – in uno dei primi arresti in tema di inammissibilità delle impugnazioni per carenza dei requisiti richiesti per la formazione o creazione dell'atto “nativo digitale” – richiama la necessità che l'atto di gravame, redatto e depositato in formato digitale ex art. 110 c.p.p., rispetti  le condizioni di legge, ossia di autenticità (assicurata da sistemi di firma digitale o elettronica certificata), di integrità e leggibilità (l'atto deve, dunque, essere consultabile anche mediante software gratuiti e open source: caratteristiche previste, in via generale, dall'art. 68 del Codice dell'amministrazione digitale), di reperibilità (intesa come libera accessibilità dell'atto) e segretezza (assicurata dall'adozione di tecnologie crittografiche).

In ragione di tali esigenze di garanzia della genuinità del contenuto e della provenienza dell'atto, la mancata allegazione/apposizione della firma digitale del difensore sull'atto di impugnazione depositato, comporta l'inammissibilità del gravame.

Per completezza giova segnalare che alla rigidità del sistema di autentica introdotto dal d. lgs. n. 150/2022 in tema di digitalizzazione degli atti del processo penale fa da contrappunto il principio delle Sezioni Unite civili successivamente affermato, in tema di formalità della autentica del difensore per il conferimento della procura ad litem, ai fini del ricorso per cassazione, secondo cui «il requisito della specialità della procura, di cui agli artt. 83, comma 3 e 365 c.p.c., non richiede la contestualità del relativo conferimento rispetto alla redazione dell'atto cui accede, essendo a tal fine necessario soltanto che essa sia congiunta, materialmente o mediante strumenti informatici, al ricorso e che il conferimento non sia antecedente alla pubblicazione del provvedimento da impugnare e non sia successivo alla notificazione del ricorso stesso». Nel caso di specie, le Sezioni Unite hanno rilevato che la certificazione da parte dell'avvocato della sottoscrizione del conferente la procura alle liti è intesa come “autenticazione minore” (o “vera di firma”) avendo soltanto una funzione di attestare l'appartenenza della sottoscrizione a una determinata persona, senza che il difensore assuma su di sé, all'atto della autenticazione della firma, l'obbligo di identificazione del soggetto che rilascia il negozio unilaterale di procura. In questo modo si deve ritenere ammissibile  il ricorso per cassazione quando la procura alle liti sia conferita nella finestra tra la pubblicazione del provvedimento da impugnare e la notificazione, considerandosi l'autentica apposta in calce al ricorso (come vuole l'art. 83, comma 3, c.p.c.) - in forza di una presunzione legale assoluta - anche se rilasciata su foglio separato ed afferente ad atto redatto in modalità analogica, qualora vi sia la «congiunzione materiale» tra la prima e il secondo, «in ragione di una operazione materiale di incorporazione (la “collocazione topografica”) tra due atti che nascono tra loro separati sia temporalmente, che spazialmente e la cui relazione fisica, instaurata dall'avvocato, è requisito necessario, ma anche sufficiente per soddisfare la prescrizione che il difensore stesso sia munito di procura speciale». (sez. un., sentenza n. 2075 del 19 gennaio 2024).

Pur tenendo conto delle inevitabili differenze procedurali e normative – nel caso in esame il difensore era soggetto legittimato a proporre l'atto di impugnazione rivelatosi privo di sottoscrizione digitale verificabile, mentre il principio espresso dalle Sezioni Unite civili fa riferimento alla allegazione non contestuale di un atto di autentica di procura ad litem – i caratteri informali della allegazione della sottoscrizione o dell'autentica digitale del difensore in ordine al mandato conferitogli (indicati dalla giurisprudenza civile di legittimità ai fini della ammissibilità del gravame) potrebbero fornire spunto per una evoluzione in senso meno formalistico della giurisprudenza delle Sezioni penali nella interpretazione delle norme sulla digitalizzazione degli atti processuali dettate dal d. lgs. n. 150 del 2022.

Riferimenti

C. Minnella, Atto nativo digitale, primo step del fascicolo penale informatico, in Guida dir., 2022, n. 45, 36.

 L. Giordano, Riforma Cartabia: la delega in tema di processo penale telematico, in IUS Penale, 13 settembre 2021.

 M. Gialuz , Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia (profili processuali), in Sistema Penale, 2 novembre 2022, § 3,6.