L’irritualità della notifica a mezzo PEC non comporta nullità se il destinatario ha comunque avuto conoscenza dell’atto

25 Marzo 2024

La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi in merito all'efficacia di una notifica telematica irrituale qualora questa abbia comunque raggiunto il proprio scopo, nonchè sulla valenza e vincolatività dei formati ammessi per la firma digitale.

Massima

L'irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna dello stesso ha comunque prodotto il risultato della sua conoscenza e determinato così il raggiungimento dello scopo legale.

Il caso

AAA, quale erede di BBB, conveniva in giudizio CCC affinché fosse accertata la nullità, per difetto di causa, di atto pubblico di donazione inter partes e della sua conversione in contratto di vitalizio assistenziale.

Il Tribunale adito accoglieva la domanda, dichiarando risolto per inesatto adempimento, da parte del convenuto, delle obbligazioni assistenziali assunte, ordinandogli di rilasciare, in favore dell'attore, alcuni immobili, risultanti da inventario.

CCC proponeva appello chiedendo integrale riforma della sentenza impugnata.

L'appellato, preliminarmente, chiedeva che l'appello fosse dichiarato inammissibile, perché tardivo, essendo stato proposto dopo la scadenza del termine breve di trenta giorni dalla notifica della sentenza impugnata al difensore di controparte, mediante PEC, a norma dell'art. 3-bis della legge n. 53 del 1994; nel merito, chiedeva la reiezione del gravame.

La Corte di merito dichiarava inammissibile l'appello per tardività. Avverso tale pronuncia, CCC proponeva ricorso per cassazione.

La questione

La Suprema Corte è stata chiamata a stabilire se l'irritualità della notifica di un atto (nella specie, una sentenza di primo grado) a mezzo posta elettronica certificata ne comporti la nullità anche qualora la consegna dell'atto abbia prodotto il risultato della sua conoscenza e determinato così il raggiungimento dello scopo legale.

Le soluzioni giuridiche

In punto di fatto, stando a ciò che si evince dall'esposizione contenuta nell'ordinanza in commento, l'originario attore risulta avere eseguito nei confronti della controparte una duplice notificazione della sentenza di primo grado, dapprima a mezzo PEC (a norma dell'art. 3-bis l. n. 53 del 1994) presso il procuratore della medesima e successivamente a mezzo ufficiale giudiziario, in formato cartaceo, presso lo stesso soggetto.

Ritenuta la validità di entrambe le suddette notifiche, ed avuto riguardo, da un lato, alle date di perfezionamento delle stesse nei confronti del destinatario e, dall'altro, alla data di proposizione dell'appello, la Corte di merito individuava il dies a quo del termine breve per impugnare in quello del perfezionamento della prima notifica e dichiarava il gravame inammissibile giacché, rispetto a tale momento, tardivo.

Il ricorrente ha esposto una pluralità di doglianze, alcune dei quali, preliminari, assertive dell'irritualità, per molteplici profili, della notifica della sentenza di primo grado a mezzo PEC.

La Suprema Corte ha individuato le principali critiche rivolte alla sentenza di appello nelle seguenti:

a) non avere colto che l'atto notificato mediante PEC non costituiva un «duplicato informatico» della sentenza in formato cartaceo;

b) avere erroneamente riconosciuto l'operatività del principio del raggiungimento, da parte della suddetta notifica, dello scopo ex art. 156, comma 3, c.p.c.;

c) non avere rilevato il vizio della firma digitale - in formato “PAdES” Basic e non in formato “PAdES” Bes - del difensore della controparte nella relata della notifica sub a).

Con riguardo alla doglianza sub a), la S.C. ne ha riconosciuta la valenza, conseguentemente modificando la motivazione della sentenza impugnata, peraltro sottolineando la conformità a diritto della decisione gravata. La S.C. ha affermato che, trattandosi nella specie della notifica a mezzo PEC della «scansione della sentenza di primo grado in formato cartaceo» (circostanza che, allegata dal ricorrente, non era stata negata dalla controparte), doveva escludersi che la sentenza notificata a mezzo PEC costituisse il «duplicato informatico» di un documento nativo digitale.

Con riguardo alla doglianza sub b), la S.C. ha ricordato che è consolidato il principio secondo cui l'irritualità della notificazione di un atto a mezzo PEC non ne comporta la nullità qualora la consegna telematica abbia comunque prodotto il risultato della conoscenza dell'atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale della notifica ed ha, conseguentemente, affermato che, essendo incontestata la piena conoscenza della sentenza da parte dell'originario convenuto, che non aveva lamentato alcuna lesione del proprio diritto di difesa a causa della prospettata irregolarità del procedimento notificatorio, doveva escludersi la possibilità della declaratoria di nullità della notificazione a mezzo PEC della sentenza di primo grado, avvenuta (così come comprovato dalla ricevuta di accettazione della notificazione e dalla ricevuta di consegna della stessa) nella data del dies a quo ritenuto valevole dalla Corte di merito.

d) Con riguardo alla doglianza sub c), la S.C. ha dapprima ricordato che in sede di legittimità (Cass.  civ., sez. II, 29 novembre 2018, n. 30927) era stato chiarito che, conformemente alle disposizioni tecniche previste dal Regolamento UE n. 910 del 2014 ed alla relativa decisione di esecuzione n. 1506 del 2015, «le firme digitali di tipo “CAdES” e di tipo “PAdESsono entrambe ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni “.p7m” e “.pdf”, posto che il certificato di firma, inserito nella busta crittografica, è presente in entrambi gli standard, parimenti abilitati»; traendosi, da tali insegnamenti, «il principio di diritto secondo cui in tema di notificazione di una sentenza a mezzo PEC, è senz'altro valida la firma digitale in formato “PAdES”, che significa PDF Basic, rispetto alla quale il formato “PAdES-BES” (o “PAdES” Part 3) costituisce una mera variante avanzata».

Osservazioni

L'ordinanza in commento presenta interesse sia in ragione delle fattispecie concrete prese in esame e delle soluzioni date alle questioni proposte, sia per avere redatto una sorta di compendio non troppo succinto degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità in riferimento ad una pluralità di «oggetti» dibattuti in sede di processo civile telematico.

Per i profili di carattere più generale, va ricordato che, ai fini della determinazione del termine breve per impugnare occorre che la notifica della sentenza costituisca espressione della volontà di porre fine al processo, attraverso il compimento di un atto chiaramente preordinato a far decorrere il suddetto termine (v., in tal senso, Cass. civ., sez. I, 25 febbraio 2011, n. 4690 e Cass. civ., sez. un., ord. 27 gennaio 2020, n. 1717).

È consolidato il principio, ribadito anche dall'ordinanza in commento, che l'irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna dello stesso abbia comunque prodotto il risultato della sua conoscenza e determinato così il raggiungimento dello scopo legale (v., ex multis, Cass. civ., sez. un., 18 aprile 2016, n. 7665, ove l'irritualità venuta in considerazione era consistita nella consegna telematica dell'atto in «estensione.doc», anziché «formato.pdf»; Cass. civ., sez. I, 31 agosto 2017, n. 20625, ove venne ritenuta viziata da nullità (sanabile e sanata) e non da inesistenza la notifica a mezzo PEC attuata prima del 15 maggio 2014, giorno di entrata in vigore delle norme tecniche di cui all'art. 18 del d.m. n. 44 del 2011; Cass. civ., sez. un., 28 settembre 2018, n. 23620, ove l'irritualità venuta all'attenzione era consistita nella mancata indicazione, nell'oggetto del messaggio di PEC, della dizione «notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994» e nel mancato inserimento del codice fiscale del soggetto notificante; v., da ultimo, per altre fattispecie, Cass. civ., sez. II, 13 giugno 2023, n. 16778 e Cass. civ., sez. lav., 22 gennaio 2024, n. 2212).

Richiamando il pensiero espresso da Cass. civ., sez. VI, ord. 19 settembre 2022, n. 27379, la S.C. ha ribadito che, a differenza, della «copia informatica» di documento informatico, che è qualificata (art. 1, lett. i-quater), del CAD - d.lgs. n. 82 del 2005; si veda anche l'art. 16-bis, comma 9-bis d.l. n. 179/2012, conv. con modif. nella l. n. 221/2012) come «il documento informatico avente contenuto identico a quello del documento da cui è tratto su supporto informatico con diversa sequenza di valori binari» il «duplicato informatico» (art. 1 lett. i-quinquies, del CAD e art. 16-bis, comma 9-bis d.l. n. 179/2012 e legge di conversione sopra citati) consiste in un «documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario».

In sostanza, nel caso della copia, rileva identità di contenuto, ma non di forma, all'originale, testimoniata dalla diversa sequenza di bit, mentre, nel caso del duplicato, rileva file esattamente identico non solo nel contenuto e nella forma, ma anche sotto il profilo della sequenza binaria («bit a bit»), all'originale depositato – non producendosi alcun vizio «fatale» nelle ipotesi di utilizzo, in sede di notifica, della copia anziché del duplicato, beninteso a condizione che sia raggiunto lo scopo di dare conoscenza dell'atto al destinatario.  

È stato ripetutamente affermato (v., oltre all'ordinanza in commento, ex multis, Cass. civ., sez. un., 27 aprile 2018, n. 10266 e Cass. civ., sez. VI, ord. 15 luglio 2020, n. 15096) che le firme digitali di tipo «CAdES» e quelle di tipo «PAdES » sono entrambe ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni <*.p7m> e <*.pdf>, e devono, quindi, essere riconosciute valide ed efficaci, senza eccezione alcuna. E ciò sia in considerazione dei disposti del Regolamento (UE) n. 910/2014 del 23 luglio 2014 (eiDAS) e relativa Decisione di esecuzione n. 1506 dell'8 settembre 2015, cui si fa rinvio, sia delle norme, anche tecniche, di diritto interno.

Incidentalmente, va rammentato che, secondo un indirizzo, per effetto del rinvio a catena dal d.l. n. 193 del 2009, conv. con modif. nella l. n. 24 del 2010, al d.m. n. 44 del 2011 e succ. modif. e da quest'ultimo al Provvedimento DGSIA del 16 aprile 2014 e succ. modif., sia a tale d.m. e succ. modif. che a tale Provvedimento D.G.SIA e succ. modif. dovrebbe essere data non semplicemente valenza di meri regolamenti amministrativi, bensì forza di legge (derivata).

Secondo la normativa nazionale, la struttura del documento firmato può essere indifferentemente PAdES o CAdES.

L'art. 11 (rubricato «Formato dell'atto del procedimento in forma di documento informatico») del d.m. n. 44 del 2011 dispone, sia nella sua formulazione originaria, sia in quella introdotta dal d.m. n. 217 del 2023, che l'atto del procedimento in forma di documento informatico è redatto nei formati previsti dalle specifiche tecniche di cui all'art. 34. Tali specifiche tecniche risultano dettate dall'art. 12 del Provvedimento della DGSIA (Direzione Generale Sistemi Informativi Autorizzati del Ministero della Giustizia) del 16 aprile 2014 (numerazione identica a quella data nel testo coordinato di tale Provvedimento con quelli in data 28 dicembre 2015 e 26 luglio 2021) e ribadite dall'art. 14 del Provvedimento di prossima pubblicazione, attualmente (constatazione effettuata il 14 febbraio 2024) presente nella forma di “Bozza” nel Portale dei Servizi Telematici del predetto Ministero.

Nei rispettivi comma 2 di tali disposizioni si stabilisce che «La struttura del documento firmato è PAdES-BES (o PAdES Part 3) o CAdES-BES».  

Non è, in altri termini, dirimente il formato del documento informatico se <*.p7m> o <*.pdf>. C iò che rileva è che il documento informatico sia sottoscritto digitalmente, indifferentemente in uno dei due formati predetti, in forza delle garanzie (autenticità ed integrità) che la firma digitale conferisce al documento medesimo.

È opportuno, a tal punto, chiarire che la quaestio sottoposta alla Suprema Corte nella vicenda in esame non atteneva al distinguo ed alla eventuale differente valenza delle firme in formato PAdES e CAdES, bensì al distinguo ed alla differente valenza di quelle in formato PAdES BASIC e in formato PAdES-BES. A parere del ricorrente, l'apposizione della firma in formato PAdES BASIC avrebbe configurato violazione delle norme tecniche dettate dalla DGSIA. La Suprema Corte non si è attardata a disquisire sull'argomento, risolvendo la questione con l'assunto che il formato PAdES-BES costituisce semplicemente un tipo di «firma pdf avanzata», così, di fatto, sposando la tesi secondo cui la firma in formato PAdES-BES non si discosterebbe sostanzialmente da quella nel formato concretamente usato e comunque, pur sottintesamente, ribadendo, anche per tale profilo, che l'utilizzazione per la firma digitale di un formato diverso da quello prescritto dalle norme tecniche costituisce difformità che, in applicazione dell'art. 156, comma 3, c.p.c., non si traduce in nullità, allorché l'atto raggiunga il suo scopo (v., in proposito, Cons. Stato, sez. III, 5 febbraio 2018, n. 744).

Pur senza addentrarsi in disquisizioni – che richiederebbero cognizioni tecniche che non si posseggono – intese a stabilire se vi siano, e quali e di quale entità, diversità per gli aspetti tecnici tra i due suddetti formati PAdES, deve osservarsi che anche nel caso del formato PAdES BASIC si è in presenza di una firma digitale, che è rimasto incontestato che la sentenza notificata era perfettamente corrispondente a quella depositata nella Cancelleria del giudice di primo grado e che la notifica ha indubitabilmente raggiunto lo scopo di renderla nota al suo destinatario. Di guisa che – ammessane la sussistenza - al vizio denunciato dal ricorrente non appare consentito assegnare alcuna possanza.