Violazione dei criteri di scelta dei lavoratori in esubero nei licenziamenti collettivi: per la Consulta è legittima la mera tutela indennitaria prevista dal Jobs act

25 Marzo 2024

Con sentenza del 22 gennaio 2024, n. 7 la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, e 10 d.lgs. n. 23/2015 - il quale, in attuazione del Jobs Act, ha introdotto il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio - nella parte in cui hanno modificato la disciplina sanzionatoria per la violazione dei criteri di scelta dei lavoratori in esubero nell'ambito di un licenziamento collettivo, prevedendo, per i lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015, la tutela economica mediante un indennizzo fissato entro un limite massimo stabilito per legge ed escludendo quella reintegratoria. L'autore, prendendo spunto dalla tragedia di Sofocle, condivide la posizione della Consulta di rispettare la scelta discrezionale del Legislatore in quanto non irragionevole.

* Il testo riprende  la relazione, tenuta a Torino il 5 marzo 2024, nell'ambito del seminario, organizzato dal Centro Studi Domenico Napoletano, sezione di Torino, dal titolo “Il giudice del lavoro tra Antigone e Creonte. I licenziamenti collettivi tra Corte costituzionale e Corte di giustizia europea”.

Il diritto tra Antigone o Creonte. Un dilemma che non conosce l'usura del tempo

La sentenza della Corte costituzionale del 22 gennaio 2024, n. 7 è molto importante.

La sentenza impone una riflessione su classici temi del diritto costituzionale: quali l'equilibrio fra i poteri, il dialogo fra giudici, Corte costituzionale e Legislatore. Dialogo che, nell'ultimo periodo, coinvolge, sempre di più, la Corte di giustizia (1).  

Ma la questione di fondo ha origini lontane.

Scrive Gustavo Zagrebelsky (2):

«Ancora e sempre, Antigone ci invita ad addentrarci nella selva delle contraddizioni e dei dilemmi ultimi della vita, vissuta radicalmente: legge del più forte e nomos perenne; arroganza e inconsistenza della politica; alienazione e coscienza di sé; violenza e non violenza; ragioni dello Stato e ragioni di famiglia; ordine pubblico e coscienza privata; philia ed eros; regno dei viventi e regno dei morti; mondo maschile e mondo femminile; età matura e giovinezza (…). Su tutto, la pretesa dell'obbedienza e la rivolta personale. Creonte e Antigone. Dilemma tragico, da cui distruzione e morte».

Il dilemma della tragedia è noto.

Bisogna obbedire alla legge dello Stato, ossia alla volontà di Creonte, che comanda di lasciare senza sepoltura il corpo di Polinice, reo di tradimento dello stesso Stato, oppure è necessario condividere la disobbedienza di Antigone, che seppellisce il corpo in obbedienza alla legge divina, superiore a quelle umane?  

La simpatia di Sofocle va a Antigone.

Ma la tragedia, al di là delle diverse opinioni sul  testo (3), non si presta a letture univoche.

Alla base del dilemma, vi è un contrasto tra chi (Antigone) è testimone di un diritto antico e immutabile e chi (Creonte) è portatore di un diritto nuovo, che fa funzionare la Polis (4).

Contrapposizione che torna a riproporsi in tutti i tempi, specie nella materia della giustizia costituzionale.

Torneremo sul tema alla fine di questa riflessione.

Ma conviene procedere con ordine, esaminando, in primo luogo, la sentenza n. 7 del 2024 della Corte costituzionale.

Violazione dei criteri di scelta e tutele nel Jobs Act: la sentenza della Corte costituzionale, 22 gennaio 2024, n. 7

Il tema della sanzione dissuasiva per la violazione dei criteri di scelta in tema di licenziamenti collettivi non è nuovo.

Era già stato sollevato, nel corso del 2019, dal  Tribunale di Milano (5) e dalla Corte di appello di Napoli (6) con tre distinte ordinanze alla Corte di giustizia e alla Corte costituzionale.

La Corte di appello di Napoli, sez. lavoro, aveva scelto, com'è noto, la via del cumulo dei rimedi (7) («stante i duplici profili di contrarietà sia con il diritto dell'Unione che con la Carta costituzionale») rimettendo, con separate ordinanze del 28 novembre 2019, la questione sia alla Corte di giustizia (per profili in parte simili a quelli prospettati dal giudice milanese) che alla Corte costituzionale («considerata l'esigenza di assicurare una tutela sostanzialmente uniforme ed erga omnes in tema di diritti fondamentali»).

Sui rinvii pregiudiziali del Collegio napoletano la Corte di giustizia si è dichiarata «manifestamente incompetente» (8); mentre la Corte costituzione (9) ha dichiarato inammissibile la questione. 

Il Tribunale di Milano, viceversa, aveva scelto di effettuare il rinvio solo alla Corte di giustizia mosso «da un evidente spirito critico nei confronti della pronuncia della Consulta n. 194/2018 (10)» più che da una scelta di campo rispetto al problema della doppia pregiudizialità.

La sentenza della CGUE del 17 marzo 2021, C-652/19 (11) conferma l'orientamento espresso nell'ordinanza Balga della CGUE affermando (12), in primo luogo, che la questione dell'applicazione concorrente, nell'ambito di una stessa e unica procedura di licenziamento collettivo, di due diversi regimi di tutela dei lavoratori a tempo indeterminato in caso di licenziamento collettivo effettuato in violazione dei criteri destinati a determinare i lavoratori che saranno sottoposti a tale procedura «non rientra nell'ambito di applicazione della direttiva 98/59/CE e non può, pertanto, essere esaminata alla luce dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta e, in particolare, dei suoi artt. 20 e 30» (punto 46).

In sostanza, come chiarito nella sentenza Balga, la Corte di giustizia si è dichiarata “incompetente” perché la situazione giuridica della ricorrente «nel procedimento principale non rientra nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione» (punto 23 dell'ordinanza Balga del 4 giugno 2020).

La nozione di “attuazione del diritto dell'Unione” richiede, secondo la Corte di giustizia, l'esistenza di un collegamento tra un atto di diritto dell'Unione e la misura nazionale in questione che vada al di là dell'affinità tra le materie prese in considerazione o dell'influenza indirettamente esercitata da una materia sull'altra.

Occorre qualcosa di più.

È necessario, secondo la Corte, che la direttiva 98/59/CE «imponga un obbligo specifico in relazione alla situazione oggetto del procedimento principale» (punto 37 della sentenza C-652/19).

Obbligo (specifico) che la Corte non ravvisa nell'art. 2 della direttiva 98/59/CE né, più in generale, in altre disposizioni contenute nella direttiva.

In particolare, la Corte ritiene che la violazione dei “criteri di scelta” è «manifestamente priva di relazione con gli obblighi di notifica e di consultazione derivanti dalla direttiva 98/59/CE», restando di competenza degli Stati membri (punto 42).

Lo stesso art. 6 della direttiva, infatti, si applica solo «alle procedure volte a far rispettare gli obblighi previsti dalla direttiva stessa».

Le affermazioni della Corte di giustizia sono condivisibili, anche se parte della dottrina ha parlato di conclusione un po' deludente (13).

Resta il fatto che la Corte di appello di Napoli ha ritenuto di riproporre alla Corte costituzionale la questione della portata dissuasiva della sanzione in caso di violazione dei criteri di scelta.

La Corte d'appello di Napoli censura, in particolare, l'eliminazione della reintegrazione:

a) perché prevista dal legislatore delegato senza che essa sia riconducibile alla legge di delega e quindi con eccesso di delega sotto un profilo interno ed uno sovranazionale;

b) perché determina una disciplina ingiustificatamente e irragionevolmente differenziata, in riferimento allo stesso licenziamento collettivo, tra lavoratorigiovani” (con anzianità a partire dal 7 marzo 2015) e quelli “anziani” (assunti prima della data suddetta), i quali ultimi conservano, invece, la reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento collettivo illegittimo per violazione dei criteri di scelta;

c) perché, comunque, il solo indennizzo (con importo non superiore a un tetto massimo), senza la reintegrazione, non costituisce in sé una sanzione adeguata e sufficientemente dissuasiva dei licenziamenti illegittimi.

La Consulta, prima di esaminare le singole questioni, ricorda il quadro normativo di riferimento, anche a seguito delle sentenze della Corte costituzionale.

In particolare, evidenzia come l'ampiezza applicativa della reintegrazione si sia, progressivamente, ridotta nel tempo, a partire dalla legge n. 92/2012.

L'art. 18 Statuto lavoratori «viene ulteriormente novellato e, soprattutto, “frantumato” in plurimi regimi di tutela nei confronti del licenziamento individuale illegittimo, superando quella che fino ad allora era stata l'unicità della tutela reintegratoria per i licenziamenti individuali e collettivi».

Pochi anni dopo, prosegue la Corte  «in un contesto riformatore finanche più ampio che ha toccato plurimi aspetti della materia del lavoro (il cosiddetto Jobs Act, legge n. 183/2014), a questa disciplina, novellata nel 2012, si è affiancata – senza sostituirla – la regolamentazione di quello che, nelle intenzioni del legislatore, era un nuovo tipo di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato – cosiddetto a tutele crescenti – che si sovrappone a quello ordinario precedente».

La Corte non entra nel dettaglio della disciplina, limitandosi ad osservare che la tutela reintegratoria viene ulteriormente ridimensionata nel caso di licenziamento per mancanza di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo ed è del tutto eliminata in ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Inoltre, il d.lgs. n. 23/2015 interviene anche sulla disciplina del licenziamento collettivo, sempre limitatamente ai lavoratori assunti con contratto a tutele crescenti, e sopprime la tutela reintegratoria prevedendo solo quella indennitaria anche nel caso di violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, legali o previsti da accordo sindacale, salvo comunque conservarla in caso di licenziamento intimato senza l'osservanza della forma scritta.

Sulla base di queste coordinate normative, la Corte ritiene inammissibili o non fondate le questioni sollevate dalla Corte di appello di Napoli. In particolare:

a) quella sollevata in ordine all'art. 76 Cost., perché, pur in presenza di formula duttile (“licenziamenti economici”), l'interpretazione logico-sistematica (confortata dalla finalità della legge delega)   consentono di affermare «che l'estensione della soppressione della tutela reintegratoria anche ai licenziamenti collettivi – “economici” perché per “ragioni d'impresa” – oltre che a quelli individuali – «economici» perché per giustificato motivo oggettivo – può farsi rientrare nel più volte richiamato criterio di delega, che faceva riferimento ai “licenziamenti economici”». Né, a sostegno di tale censura, può essere fatto valere la «violazione dell'art. 24 CSE (come interpretato dal Comitato europeo dei diritti sociali) perché, malgrado “l'autorevolezza” delle decisioni del Comitato, le stesse non sono vincolanti (vengono richiamate le sentenze n. 120 e n. 194 del 2018).

b) quella sollevata in riferimento agli artt. 34 e 35 Cost., perché:

b1) in riferimento alla ragionevolezza del criterio di applicazione temporale del regime introdotto dal d.lgs. n. 23/2015 ai soli lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, la Corte  si è già pronunciata con riferimento ai licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ritenendo non fondata l'analoga censura di violazione dell'art. 3 Cost. (sentenza n. 194/2018). In tale decisione, la Corte ricorda che «a proposito della delimitazione della sfera di applicazione ratione temporis di normative che si succedono nel tempo […] è costante l'affermazione […] che «non contrasta, di per sé, con il principio di eguaglianza un trattamento differenziato applicato alle stesse fattispecie, ma in momenti diversi nel tempo, poiché il fluire del tempo può costituire un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche (ordinanze n. 25/2012, n. 224/2011, n. 61/2010, n. 170/2009, n. 212 e n. 77/2008)» (sentenza n. 254/2014, punto 3 del Considerato in diritto)» e che «[s]petta difatti alla discrezionalità del legislatore, nel rispetto del canone di ragionevolezza, delimitare la sfera temporale di applicazione delle norme» (sentenza n. 104 del 2018; in senso conforme, sentenze n. 273 del 2011 e n. 94 del 2009)». Tale conclusione, afferma la Corte,  «va predicata anche con riferimento ai licenziamenti collettivi, sussistendo la stessa logica di gradualità dell'applicazione della nuova normativa».

b2) in riferimento agli artt. 4 e 35 Cost., perché spetta «al legislatore modulare il sistema delle tutele nell'esercizio della sua discrezionalità e della politica economico-sociale che attua», in considerazione del contesto economico e sociale di riferimento.

La valorizzazione della “discrezionalità del legislatore” è, più volte, menzionata nel testo della motivazione e si pone in linea con quell'orientamento che ritiene il decisore politico come l'unico legittimato dal circuito della rappresentanza politica  ad effettuare un bilanciamento tra principi confliggenti.

Ma la discrezionalità del Legislatore deve fare i conti con il principio di “ragionevolezza”.

Secondo la costante giurisprudenza costituzionale (14) il principio di ragionevolezza è «leso quando si accerti l'esistenza di una irrazionalità intra legem, intesa come contradditorietà intrinseca tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e la disposizione espressa dalla norma censurata» (15).

In tal caso «il giudizio di ragionevolezza consiste in un apprezzamento di conformità tra la regola introdotta e la causa normativa che la deve assistere» (16).

Bisogna, però, distinguere tra razionalità formale (intesa come principio logico di non contraddizione) e ragionevolezza (intesa come razionalità pratica) (17).

Entrambi devono trovare spazio nel giudizio di costituzionalità.

Ma lo stesso non si risolve in un sillogismo giuridico.

È sufficiente ribadire, ai nostri fini, che «il giudizio sulle leggi non può risolversi in un confronto meccanico tra due regole, ma richiede di valutare la rispondenza di una legge ad un principio o a un valore. Per questo nei giudizi di costituzionalità e nei giudizi sui diritti, la pura razionalità astratta spesso si rivela insufficiente e improduttiva. Per comprendere la rispondenza di una legge a un principio o a più principi costituzionali occorre introdurre un ulteriore fattore: occorre l'apertura della ragione sui dati della realtà. Non a caso, in molti e in molteplici occasioni la Corte costituzionale ha definito la ragionevolezza come una “forma di razionalità pratica” (18).

Il giudizio di ragionevolezza «lungi dal comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto a esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente esistenti» (19).

La sentenza n. 7 del 2024 si pone in linea di continuità con tali affermazioni.

Ma vi è di più.

Ancora più a monte sembra che, tra le righe, la Consulta censuri la rimessione del Collegio napoletano per la scelta della questione.

La Corte, sulla scia dei suoi precedenti e delle indicazioni della Corte di giustizia, ricorda che «la disciplina dei licenziamenti collettivi» è «centrata sulla procedura di confronto sindacale».

È questo l'elemento identificativo della fattispecie la cui violazione, nei casi più gravi, può porre un problema di sanzione dissuasiva ove la stessa, come nel nostro ordinamento, sia affidata solo ad una misura indennitaria (20).

Un messaggio “nella bottiglia” affidato a poche righe che si trova (quasi celato) nel punto n. 10 della motivazione.

La giustizia costituzionale. Una riflessione conclusiva

Molti studi (21) hanno dedicato attenzione al processo di ridefinizione dei tratti della giustizia costituzionale italiana ad opera della Corte costituzionale che ha ridefinito lo spazio della sua giurisdizione attenuando il confine con il potere legislativo.

Gaetano Silvestri (22) intende il rendere giustizia costituzionale come il «contribuire, anche in misura minima e marginale, a inverare la Costituzione nell'ordinamento, traendola dal rarefatto campo delle normesuper-primarie”, per farla diventare materia viva della convivenza sociale, presente negli accordi e nei conflitti, garanzia molecolare di libertà e di eguaglianza nella società civile e nei rapporti tra questa e l'autorità dello Stato. Un principio costituzionale non può diventare “vivente” o restare lettera morta a colpi di maggioranza, né del Parlamento né della stessa Corte costituzionale. Tra questi due organi costituzionali si instaura, con fasi di alti e bassi, una dialettica continua, molto complessa e i cui sviluppi sono difficilmente prevedibili. Il costituzionalista non può che auspicare che la Costituzione sia davvero considerata, dall'una e dall'altra parte, higher law e non sterile insieme di idealità sovrapposto all'ordinamento giuridico ordinario”, che regola i rapporti quotidiani della nostra vita. […] Tra una Corte amante del quieto vivere, che spende il suo ingegno a trovare buone motivazioni per non decidere su questioni di grande rilevanza etico-sociale, civile e politica, e una Corte che si sforza – anche eccedendo, talvolta! – di non frustrare l'aspettativa di giustizia di cittadini che ad essa si rivolgono fiduciosi, preferisco nettamente la seconda».

Nella prospettiva di Silvestri l'obiettivo da perseguire è inverare la Costituzione flessibilizzando in particolare il limite della discrezionalità del legislatore: «bisogna colpire le omissioni e gli eccessi di potere legislativo con nuove tecniche decisorie (il modello Cappato) e con le sentenze sostitutive» (23).

Ma questo obiettivo deve essere raggiunto in modo coerente con il disegno costituzionale (24), attraverso un uso sapiente della c.d. “saggezza pratica”.

Il richiamo alla “saggezza pratica” si trova nella parte finale della tragedia di Sofocle.

Il Coro conclude le sue riflessioni ricordando che «È di felicità primo elemento l'essere savi».

Così termina Antigone, con l'esaltazione di quella saggezza pratica di cui nell'azione di Creonte e di Antigone non c'è traccia.

Sul tema si rimanda al Focus di F. ROSELLI "Licenziamenti collettivi: è legittima per la Consulta la relativa disciplina del Jobs act sulla tutela indennitaria e i criteri di reintegrazione nel posto di lavoro"

Note

(1) G. MARTINICO, Conflitti interpretativi e concorrenza fra corti nel diritto costituzionale europeo, in Dir. soc., n. 4/2019, 691 ss.

(2) G. Zagrebelsky il diritto di Antigone e la legge di Creonte Università degli studi di Napoli Federico II. in docenti.unina.it.

(3) L. VIOLANTE, Antigone, in M. CARTABIA e L. VIOLANTE, Giustizia e mito, Bologna, 2018, 120, F. ROSELLI, Il giudice del lavoro tra Antigone e Creonte (nonché Porzia). Incostituzionalità e interpretazione adeguatrice, in IUS UE e internazionale (ius.giuffrefl.it).

(4) Sul tema si veda G. Zagrebelsky, il diritto di Antigone e la legge di Creonte, cit.

(5) Per un commento alla sentenza si veda V. FERRANTE, Licenziamento collettivo e lavoro a termine “stabilizzato”: il Jobs Act viene rinviato alla Corte di giustizia, in Dir. rel. ind., n. 4/2019, p. 3, V. DE MICHELE, L'ordinanza del Tribunale di Milano sull'incompatibilità del Jobs Act con la normativa UE dei licenziamenti collettivi, in Lav. giur., n. 11/2019, p.1024-1025 e  M. TUFO, La tutela contro i licenziamenti collettivi illegittimi di fronte alla Corte di giustizia Europea: l'assalto al Jobs Act, in Lav. Dir. Europa, n. 3/2019.

(6) Per un commento alle ordinanze della Corte di appello di Napoli si veda, M. MAZZETTI, La legittimità della disciplina italiana contro il licenziamento collettivo, in Quest. giust., 12 febbraio 2020; M. DE LUCA, Un'analisi comparativa sul tema dei licenziamenti collettivi nel diritto dell'unione europea e nel diritto italiano, in europeanrights.eu, 1° marzo 2020; F. ROSELLI, Nota all'ordinanza appello Napoli del 18 settembre 2019, in Lav. Dir. Europa, n. 1/2020.

Per un esame delle sentenze delle Alte Corti si veda  S. L. VISONA', Violazione dei criteri di scelta e tutele nel Jobs ACT: Una questione ancora aperta in Il diritto del lavoro nell'ordinamento complesso (a cura di R. COSIO), Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2023, p. 151-160.

(7) Sulla teoria del “cumulo dei rimedi” si veda R. CONTI, An, quammodo e quando del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia quando è in gioco la Carta dei diritti fondamentali UE. Riflessioni preoccupate dopo la Corte Cost. n. 269/2017 e a margine di Cass. 3831/2018, in giudicedonna.it, n. 4/2017; M. MASSA, Dopo la “precisazione”. Sviluppi di Corte cost. n. 269/2017, in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2019, p. 20 ss.; A. CARDONE, Dalla doppia pregiudizialità al parametro di costituzionalità: il nuovo ruolo della giustizia costituzionale accentrata nel contesto dell'integrazione europea, in Consulta online, 2020, Liber amicorum per Pasquale Costanzo, 1-48 e A. COSENTINO, Doppia pregiudizialità, ordine delle questioni, disordine delle idee, in Quest. giust., 6 febbraio 2020.

(8) CGUE, ord. 4 giugno 2020, Balga, C-32/20. Per la dottrina si veda V. FRANZA, La tutela indennitaria dei licenziamenti illegittimi tra giurisprudenza costituzionale e Carta sociale europea, in Variaz. temi dir. lav., 2020, p. 787 ss.; E. GRAGNOLI, I licenziamenti collettivi, il diritto europeo e i significativi dubbi della giurisprudenza italiana,  in Lav. Dir. Europa , n. 1/2021; R. DIAMANTI, Il risarcimento  danni conseguente al licenziamento illegittimo. Il percorso della Corte di giustizia, della Corte costituzionale e del Comitato Europeo dei diritti sociali, in Lav. Dir. Europa, n. 1/2021.

(9) Corte cost. 26 novembre 2020, n. 254. Sul tema, anche per rilievi critici, si veda V. SPEZIALE, La sentenza della Corte costituzionale n. 254 del 2020 sui licenziamenti collettivi: una forma di leale e costruttiva collaborazione con la Corte di giustizia europea ?, in Lav. Dir. Europa, n. 1/2021; C. MUSELLA, Licenziamenti collettivi e Corte costituzionale. La partita non si chiude con la sentenza 254/2020, in Lav. Dir. Europa, n. 1/202; F. ROSELLI, Qualche osservazione su Corte cost. n. 254 del 2020, in Lav. Dir. Europa, n. 1/2021.

(10) Per tale considerazione si vedano V. FERRANTE, Licenziamento collettivo e lavoro a termine “stabilizzato”: il Jobs Act viene rinviato alla Corte di giustizia, cit., 3 e V. DE MICHELE, L'ordinanza del Tribunale di Milano sull'incompatibilità del Jobs Act con la normativa UE dei licenziamenti collettivi, cit., p. 1024-1025. Tra i numerosi commenti alla sentenza n. 194/2018 si v. A. BOLLANI, Le tutele avverso il licenziamento ingiustificato e la sentenza n. 194/2018 della Corte Costituzionale: dopo le scosse, l'assestamento?, in Dir. rel. ind., 2019, p. 214 ss.; M.T. CARINCI, La Corte Costituzionale n. 194/2018 ridisegna le tutele economiche per il licenziamento individuale ingiustificato nel Jobs Act, e oltre, in WP CSDLE “Massimo D'Antona”, 378/2018; R. DE LUCA TAMAJO, La sentenza costituzionale 194 del 2018 sulla quantificazione dell'indennizzo per licenziamento illegittimo, in Dir. lav. mercati, 2019, p. 634; S. Giubboni, Il licenziamento del lavoratore con contratto a tutele crescenti dopo l'intervento della Corte Costituzionale, in WP CSDLE “Massimo D'Antona”, n. 379/2018; A. MARESCA, Licenziamento ingiustificato e indennizzo del lavoratore dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 194/2018 (alla ricerca della norma che non c'è), in Dir. rel. ind., 2019, p. 228; A. Perulli, Correzioni di rotta. La disciplina del licenziamento illegittimo di cui all'art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015 alla luce del “Decreto Dignità” e della sentenza della Corte costituzionale n. 194/2018, in Lav. Dir. Europa, n. 1/2019; V. Speziale, La sentenza della Corte costituzionale sul contratto a tutele crescenti (Corte costituzionale, 8.11.2018, n. 194), in Riv. giur. lav., 2019, II, p. 3; P. TOSI, La sentenza n. 194/2018 della Corte costituzionale, Dir. rel. ind., 2019, p. 244; A. Tursi, Il diritto stocastico. La disciplina italiana dei licenziamenti dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 194/2018 (e “decreto dignità”), in Dir. rel. ind., 2019, p. 256; L. ZOPPOLI, Il licenziamento “de-costituzionalizzato”: con la sentenza n. 194/2018 la Consulta argina, ma non architetta, in Dir. rel. ind., 2019, p. 277.

(11) Sul tema si veda R. COSIO, La sanzione dissuasiva nei licenziamenti collettivi. La risposta della Corte di giustizia, in Lav. giur., n. 8/9/2021, p. 815.

(12) Sul tema si veda E. BOGHETICH, Corte di giustizia UE: licenziamento collettivo e applicazione di un regime meno vantaggioso per i lavoratori assunti con il Jobs Act, in IUS lavoro - ilgiuslavorista.it (ius.giuffrefl.it), 19 aprile 2021 e G. PAONE, Il regime sanzionatorio per le violazioni dei criteri di scelta nell'ambito dei licenziamenti collettivi alla prova della doppia pregiudizialità: dalle relazioni “pericolose” alle “affinità elettive”, in Lav. Dir. Europa, n. 2, 2021.

(13)  Di posizione non persuasiva della CGUE, con riguardo all'ordinanza del 4 giugno 2020 in C-32/20, parla E. Gragnoli, I licenziamenti collettivi, il diritto europeo e i significativi dubbi della giurisprudenza italiana, in Lav. Dir. Europa, n. 1/2021, osservando che se la Direttiva vuole una procedura « effettivamente » impostata in modo ragionevole ed idonea ad un confronto costruttivo tra le parti non può̀ dirsi privo di relazione con gli obblighi di notifica e consultazione un sistema di selezione dei lavoratori irrazionale come quello conseguente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 23 che impedisce una valutazione lineare del datore di lavoro e si risolve, perciò, in un difetto genetico della procedura. Di « approccio asfittico » della CGUE parla, invece, G. PAONE, Il regime sanzionatorio per le violazioni dei criteri di scelta nell'ambito dei licenziamenti collettivi alla prova della doppia pregiudizialità: dalle relazioni “pericolose” alle “affinità elettive”, in Lav. Dir. Europa,  n. 2/2021, per avere la Corte misconosciuto che laddove sia previsto un obbligo c.d. informativo e procedurale ciò che sta a valle di questo adempimento sia estraneo alla fattispecie, pervenendo così a disarticolare un'esigenza di tutela ritenendo che la direttiva si interessi degli atti ma ritenga estranei gli effetti finali. A queste osservazioni si può replicare, in prima battuta, che la diversità di tutela prodotta dall'art. 23 del d.lgs. non è un « criterio di scelta » e che la corretta applicazione dei criteri di scelta previsti dalla legge o concordata dalle parti esclude che il datore di lavoro possa scegliere chi licenziare in base a regime di tutela di cui gode; con la conseguenza che non si può affermare che la nuova disciplina, con la tutela differenziata che ne consegue, incida di per sé sulla correttezza della procedura.

(14) Corte cost., nn. 6/2019, 86/2017, 89/1996.

(15) Corte cost., n. 125/2022.

(16) Corte cost., n. 6/2019.

(17) L. MENGONI, Il diritto costituzionale come diritto per principi, in Ars interpretandi, 1996, I, p. 95 ss.

(18) M. CARTABIA, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, Relazione alla conferenza trilaterale delle Corti costituzionali italiana, portoghese e spagnola, 24-26 ottobre 2013, in cortecostituzionale.it. Sull'elemento concreto della valutazione di ragionevolezza si veda Corte cost., n. 264/1996.

(19) Corte cost., n. 1130/1988.

(20) Sul tema si veda R. COSIO, I licenziamenti collettivi e i trasferimenti d'impresa nell'ordinamento complesso, in Libertà d'impresa e tutela del lavoro nella giurisprudenza delle alte Corti, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2023, p. 225 ss.

(21) D. TEGA, La Corte nel contesto, Bologna, 2020.

(22) G. SILVESTRI, Del rendere giustizia costituzionale, in Quest. giust., n. 3/2020.

(23) E. CAVASINO, La Corte mediatica e la Cote attivista: i nuovi volti della giustizia costituzionale italiana, in Consulta online, 9 febbraio 2024, p. 271.

(24) M. LUCIANI, Ogni cosa a suo posto. Restaurare l'ordine costituzionale dei poteri, parte II, 161 ss. e parte III, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2023.