Licenziamenti collettivi e obbligo di informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori: i chiarimenti della CGUE e il “licenziamento indiretto”

25 Marzo 2024

La CGUE, con sentenza del 22 febbraio 2024 (C-589/22), si è pronunciata in merito all'interpretazione degli artt. 1 e 2 della direttiva 98/59/CE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi. Tali disposizioni prevedono, rispettivamente, soglie numeriche per il licenziamento collettivo e l'obbligo per il datore di lavoro di effettuare, in tempo utile, consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori. Secondo la CGUE l'obbligo di consultazione sorge dal momento in cui il datore, nell'ambito di un piano di ristrutturazione, prevede una riduzione dei posti di lavoro il cui numero può superare le soglie di soppressione di posti di cui al citato art. 1 e non nel momento in cui, dopo aver adottato misure di riduzione di tale numero, acquisisce la certezza di dover procedere al licenziamento di un numero di lavoratori superiore a tali soglie. Le ricadute della nascita dell'obbligo di informazione e consultazione si ripercuotono, inoltre, sul problema del “licenziamento indiretto”, per il quale occorre operare un corretto bilanciamento dei principi pacta sunt servanda e rebus sic stantibus, ricorrendo ai principi generali di buona fede e correttezza.

Il caso: la sentenza CGUE 22 febbraio 2024, C-589/22

La Corte superiore di giustizia delle Isole Baleari (Spagna) ha sollevato una questione pregiudiziale sull'interpretazione dell'art. 1, § 1, e sull'art. 2, § 2, della direttiva 98/59/CE.

In sintesi, il caso.

La convenuta nel procedimento principale svolge attività di gestione ed esercizio di alberghi.

Il 25 settembre 2019, la convenuta ha notificato al Juzgado de lo Mercantil de Palma (Tribunale commerciale di Palma di Maiorca, Spagna) l'avvio di trattative ai fini di un rifinanziamento o di un concordato preventivo con i creditori. A tale data, la convenuta nel procedimento principale disponeva di un organico di 43 dipendenti che lavoravano nella sua sede.

Tra l'agosto 2019 e il dicembre 2019, il numero di alberghi gestiti e operati dalla convenuta è passato da 20 a 7. Dei 13 alberghi la cui gestione è stata abbandonata, 7 appartenevano a diverse società del gruppo G.G.

Il 30 dicembre 2019 la convenuta ha firmato un accordo con le società proprietarie di questi sette stabilimenti alberghieri e con A.E. SA (in prosieguo: «A.E.»), anch'essa appartenente al G.G. Tale accordo prevedeva che, a partire dal 1º gennaio 2020, i contratti di locazione di detti stabilimenti, fino a quel momento gestiti dalla convenuta nel procedimento principale, sarebbero stati risolti, che la gestione degli stabilimenti sarebbe stata trasferita all'A.E. e che tutti i contratti di lavoro del personale degli stabilimenti in vigore al 31 dicembre 2019 sarebbero stati trasferiti al G.G., il quale, in quanto datore di lavoro, era quindi surrogato in tali contratti.

La convenuta, in un documento elaborato ad hoc, ha chiesto a tutti i membri del suo personale che lavoravano presso la sede se fossero stati disposti a effettuare colloqui con i responsabili del G.G. in vista della copertura di dieci posti di lavoro di cui il nuovo gestore avrebbe potuto aver bisogno per far fronte all'aumento del carico di lavoro nei suoi servizi comuni, in seguito al recupero delle sette strutture alberghiere.

Il 30 dicembre 2019, a seguito di tali colloqui, nove lavoratori hanno firmato un documento dal contenuto identico, che indicava la loro intenzione di lasciare la convenuta nel procedimento principale con effetto dal 14 gennaio 2020. Questi nove lavoratori hanno firmato un contratto di lavoro con l'A.E. il 15 gennaio 2020. Tali contratti contenevano una clausola che riconosceva loro l'anzianità, la categoria e la retribuzione di cui beneficiavano presso la convenuta e che indicava che tali condizioni erano riconosciute a titolo personale e non implicavano in nessun caso l'esistenza di una surrogazione d'impresa, in quanto l'assunzione era stata preceduta dalla cessazione del loro rapporto di lavoro con il precedente datore di lavoro.

Nel gennaio 2020 la convenuta impiegava solo 32 lavoratori presso la sua sede. Tra gli 11 lavoratori che avevano cessato l'attività lavorativa vi erano i 9 lavoratori che avevano firmato detto preavviso di esodo volontario il 30 dicembre 2019.

Il 31 gennaio 2020 ai due ricorrenti nel procedimento principale e altri 7 lavoratori, all'epoca impiegati dalla convenuta, è stato notificato il licenziamento oggettivo per motivi organizzativi e legati alla produzione. A seguito di questi 9 licenziamenti, l'organico della sede della convenuta è stato ridotto a 23 unità.

I ricorrenti hanno proposto ricorso contro il loro licenziamento dinanzi allo Juzgado de lo Social n. 2 de Palma (Tribunale del lavoro n. 2 di Palma di Majorca, Spagna), sostenendo che la convenuta avrebbe dovuto avviare una procedura di licenziamento collettivo e che ha agito in modo fraudolento incoraggiando artificiosamente gli esodi volontari di alcuni lavoratori per evitare di dover avviare una procedura del genere.

In appello (dopo il rigetto del ricorso in primo grado) la convenuta ha sostenuto che gli esodi volontari non potevano essere presi in considerazione ai fini del calcolo del numero di licenziamenti o di cessazioni assimilabili e che, poiché tali esodi volontari non potevano essere presi in considerazione, non erano state raggiunte le soglie previste per l'avvio obbligatorio di una procedura di licenziamento collettivo. Secondo la convenuta la sua decisione di licenziare nove dipendenti per motivi oggettivi non avrebbe tenuto conto dell'esito del processo dei colloqui, che sarebbe stato trasparente e volontario, con il quale i dipendenti che l'hanno ritenuto opportuno hanno accettato la proposta di esodo volontario. Al contrario, tale decisione sarebbe stata adottata in funzione della realtà esistente alla data della sua adozione e avrebbe risposto all'analisi delle sue esigenze organizzative e produttive dopo la riassunzione da parte del G.G. di una parte dell'organico.

Il giudice del rinvio, in questo contesto, ha sollevato due questioni pregiudiziali.

La Corte superiore di giustizia delle Isole Baleari, in particolare, ha chiesto alla Corte di giustizia:

«1) Se, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea risultante dalla sentenza del 10 settembre 2009, Akavan Erityisalojen Keskusliitto AEK e a. (C‑44/08, EU:C:2009:533), l'articolo 2 della direttiva [98/59/CE] debba essere interpretato nel senso che gli obblighi di consultazione e di notifica che costituiscono l'effetto utile di detta direttiva sorgono nel momento in cui l'impresa, nell'ambito di un processo di ristrutturazione, progetta cessazioni di contratti di lavoro che possono superare il numero limite previsto per i licenziamenti collettivi, indipendentemente dal fatto che, in definitiva, il numero di licenziamenti o di cessazioni assimilabili non raggiunga tale soglia, in quanto detto numero è stato ridotto mediante misure aziendali adottate senza previa consultazione dei rappresentanti dei lavoratori.

2) Se l'art. 1, § 1, ultimo comma, della direttiva [98/59/CE], laddove dispone che «[p]er il calcolo del numero dei licenziamenti previsti nel primo comma, lettera a), sono assimilate ai licenziamenti le cessazioni del contratto di lavoro verificatesi per iniziativa del datore di lavoro per una o più ragioni non inerenti alla persona del lavoratore, purché i licenziamenti siano almeno cinque includa, in un contesto di crisi nel quale è prevedibile una riduzione del personale comprendente licenziamenti, le dimissioni di lavoratori proposte dall'impresa, non volute ma accettate da questi ultimi dopo avere ottenuto l'offerta vincolante di inserimento immediato in un'altra impresa e sia stata l'impresa datrice di lavoro a gestire con tale altra impresa la possibilità che i propri lavoratori effettuassero colloqui ai fini della loro eventuale assunzione».

La nascita dell'obbligo di informazione e consultazione: le precisazioni della Corte di giustizia

Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'art. 2, § 1, della direttiva 98/59/CE debba essere interpretato nel senso che l'obbligo di consultazione [1] da esso previsto sorge dal momento in cui il datore di lavoro, nell'ambito di un piano di ristrutturazione, prevede o pianifica una riduzione del numero dei posti che può superare quelli fissati per rientrare nella nozione di “licenziamento collettivo” ai sensi dell'art. 1, § 1, lett. a), di detta direttiva o solo nel momento in cui, dopo aver adottato misure di riduzione di tale numero, il datore di lavoro ha acquisito la certezza di dover effettivamente procedere al licenziamento di un numero di lavoratori superiore a quello fissato da quest'ultima disposizione.

Per rispondere a tale questione, la Corte ricorda che, per quanto riguarda l'obbligo del datore di lavoro di procedere alle consultazioni di cui all'art. 2 di detta direttiva [2], ha ripetutamente dichiarato che gli obblighi di consultazione e di notifica sorgono prima di una decisione del datore di lavoro di risolvere i contratti di lavoro (vengono richiamate le sentenze 27 gennaio 2005, Junk, C‑188/03, 10 settembre 2009, Akavan Erityisalojen Keskusliitto AEK e a., C‑44/08).

Sulla base dei suoi precedenti, la Corte ribadisce che: «L'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 98/59/CE deve essere interpretato nel senso che l'obbligo di consultazione da esso previsto sorge dal momento in cui il datore di lavoro, nell'ambito di un piano di ristrutturazione, prevede o pianifica una riduzione dei posti di lavoro il cui numero può superare le soglie di soppressione di posti di cui all'articolo 1, paragrafo 1, lettera a), di detta direttiva e non nel momento in cui, dopo aver adottato misure di riduzione di tale numero, il datore di lavoro acquisisce la certezza di dover effettivamente procedere al licenziamento di un numero di lavoratori superiore a tali soglie».

Ma la parte della motivazione più interessante attiene alla valorizzazione del caso di specie.

Sul punto, la Corte (ai punti n. 26-31) precisa:

26. Nel caso di specie, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che, tra l'agosto 2019 e la fine di dicembre 2019, il numero di alberghi gestiti e operati dalla convenuta nel procedimento principale è passato da venti a sette. In particolare, il 30 dicembre 2019, quest'ultima ha stipulato un accordo in base al quale la gestione di sette di questi tredici stabilimenti è stata abbandonata e rilevata, dal 1º gennaio 2020, dall'A.E.

27. Tenuto conto della portata del cambiamento dell'attività di gestione e di esercizio così intrapreso e delle conseguenze ragionevolmente ipotizzabili in termini di carico di lavoro della sede centrale, la decisione di avviare discussioni sulla cessione dell'attività di gestione e di esercizio di tali sette stabilimenti può essere considerata una decisione strategica o commerciale che obbligava la convenuta nel procedimento principale a prevedere o a preventivare licenziamenti collettivi, ai sensi della giurisprudenza menzionata al punto 22 della presente sentenza, circostanza che spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare.

28. A tal riguardo, da un lato, occorre sottolineare che la convenuta nel procedimento principale sapeva che il trasferimento della gestione di detti stabilimenti avrebbe comportato un aumento del carico di lavoro presso l'A.E. che avrebbe richiesto l'assunzione di dieci nuovi lavoratori, ragion per cui ha chiesto ai membri del suo personale che lavoravano nella sede se fossero disposti a sostenere colloqui con i responsabili del G.G. Pertanto, essa avrebbe potuto prevedere di subire una riduzione del carico di lavoro della stessa portata o simile all'aumento del carico di lavoro che avrebbe subito l'A.E.

29. Dall'altro lato, nella domanda di pronuncia pregiudiziale è stato rilevato che la decisione della convenuta nel procedimento principale di licenziare nove dipendenti rispondeva all'analisi dei suoi fabbisogni organizzativi e di produzione dopo la cessione della gestione e dell'esercizio dei sette stabilimenti in questione all'A.E. e l'esodo di nove dei suoi lavoratori verso quest'ultima. Tenuto conto di tale decisione, la convenuta nel procedimento principale doveva ragionevolmente attendersi di dover ridurre in modo significativo il numero dei suoi lavoratori presso la sua sede al fine di adeguare tale numero al volume della sua attività e al carico di lavoro rimanente.

30. Pertanto, poiché la decisione di cedere l'attività di gestione e di esercizio dei sette alberghi all'A.E. implicava necessariamente, per la convenuta nel procedimento principale, che fossero previsti licenziamenti collettivi, spettava ad essa, nei limiti in cui esisteva la possibilità che le condizioni definite all'art. 1, § 1, della direttiva 98/59/CE fossero soddisfatte, procedere alle consultazioni previste all'art. 2 di tale direttiva.

31. Tale conclusione è tanto più convincente se si considera che la finalità dell'obbligo di consultazione di cui all'articolo 2 di detta direttiva – vale a dire evitare o ridurre il numero di risoluzioni dei contratti di lavoro e attenuarne le conseguenze – e l'obiettivo che perseguiva, nel caso di specie, la convenuta nel procedimento principale chiedendo ai suoi lavoratori se fossero disposti a sostenere colloqui con l'A.E. – vale a dire consentire a taluni dei suoi lavoratori di instaurare un rapporto contrattuale con quest'ultima e, di conseguenza, ridurre il numero dei licenziamenti individuali – coincidono in larga misura. Infatti, dal momento che una decisione che porta a una riduzione significativa del numero di alberghi gestiti e operati dalla convenuta nel procedimento principale avrebbe potuto comportare una riduzione altrettanto significativa della sua attività e del carico di lavoro presso la sua sede e, quindi, del numero di lavoratori di cui essa aveva bisogno in tale sede, l'esodo volontario di un certo numero di lavoratori verso la società che rilevava una parte dell'attività ceduta poteva chiaramente consentire di evitare licenziamenti collettivi.

Questa parte della motivazione è estremamente interessante.

Sembra che la Corte, con queste indicazioni, vada oltre il profilo interpretativo (di sua competenza) entrando in quello applicativo (di competenza del giudice nazionale).

Non è inutile ricordare, in questo contesto, che a norma dell'art. 267, comma 1, TFUE, la Corte di giustizia è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sull'interpretazione dei Trattati o sulla validità o l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione [3].

L'applicazione del diritto dell'Unione, sia che segua gli orientamenti espressi dalla Corte di giustizia sia in mancanza di essa, spetta ai giudici nazionali.

Appartiene, in sostanza, al giudice nazionale in via esclusiva il potere di decidere la controversia e di valutare i fatti e le emergenze istruttorie [4], applicando le norme di diritto comunitario al caso concreto.

La Corte di giustizia «non è competente a pronunciarsi sui fatti della causa principale, dato che tali questioni rientrano nella competenza esclusiva del giudice nazionale» [5].

Il procedimento ex art. 267 TFUE è basato su una netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte di giustizia.

Il giudice nazionale è l'unico competente a conoscere e valutare i fatti della controversia, nonché ad interpretare e applicare il diritto nazionale.

Enunciato il principio di diritto da parte della Corte di giustizia, spetterà al giudice nazionale contestualizzare la regola iuris in relazione alle peculiarità del caso concreto.

Non sembra, però, che, con il caso in esame, la Corte di giustizia abbia travalicato le sue competenze.

In realtà, a ben vedere, ha voluto solo “specificare” meglio le sue indicazioni al giudice nazionale, senza invadere le sue competenze.

Certo, sarebbe stato meglio usare le consuete espressioni («al giudice del rinvio spetta di verificare»), come la sesta sezione della Corte di giustizia ribadisce nella sentenza 22 febbraio 2024, C-649/22 (punti nn. 65-67).

Ma, ad avviso di chi scrive, la sostanza non cambia.

Cessazioni volontarie di contratti di lavoro prima del licenziamento: il problema del c.d. “licenziamento indiretto”

La Corte di giustizia, nella causa C-589/22, «tenuto conto della risposta fornita alla prima questione» ha ritenuto che «non occorre rispondere alla seconda questione».

Il problema posto dalla seconda questione è, peraltro, estremamente interessante attenendo ad un istituto di incerta identificazione: il c.d. “licenziamento indiretto”.

Il tema è stato approfondito in un recente saggio [6].

Tale nozione, a ben vedere, si può scomporre in diverse parti.

In negativo, occorre che la cessazione del rapporto di lavoro derivi da «ragioni non inerenti alla persona del lavoratore».

In positivo, che la cessazione del rapporto di lavoro sia disposta: a) «unilateralmente» dal datore di lavoro, e b) riguardi la modifica di un «elemento essenziale del contratto di lavoro».

La giurisprudenza della Corte di giustizia offre, in questo contesto, alcune indicazioni specifiche.

Nella sentenza Puyante Rivera (C- 422/14) si ritiene che una riduzione pari al 25% della retribuzione fissa integri una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro; mentre nella sentenza Ciupa (C- 429/16) si afferma che la riduzione temporanea del 15% dell'importo della retribuzione può non integrare gli estremi del licenziamento indiretto.

Al di là delle indicazioni specifiche, la Corte di giustizia fornisce una preziosa indicazione di carattere generale.

Il richiamo, nella sentenza Puyante Rivera (C-422/14) al principio pacta sunt servanda che, oltre a trovare preciso riscontro nel diritto spagnolo [7], costituisce un principio generale del diritto dell'Unione [8].

Il principio sancisce l'immutabilità e intangibilità del vincolo contrattuale al fine di conferire stabilità e certezza all'assetto di interessi che le parti hanno posto a fondamento del contratto.

Questo principio, però, va bilanciato con un altro principio – rebus sic stantibus – che consente, a determinate condizioni, una revisione o modifica delle clausole contrattuali.

Bilanciamento di principi che va operato in relazione alle diverse fattispecie alla luce del principio di buona fede.

Una possibile applicazione al caso in esame

Sulla base di queste coordinate possiamo ipotizzare la risposta che dovrà emettere il giudice spagnolo.

Il giudice nazionale, nel secondo quesito, ha chiesto se l'art. 1, § 1, ultimo comma, della direttiva 98/59/CE, laddove dispone che «[p]er il calcolo del numero dei licenziamenti previsti nel primo comma, lettera a), sono assimilate ai licenziamenti le cessazioni del contratto di lavoro verificatesi per iniziativa del datore di lavoro per una o più ragioni non inerenti alla persona del lavoratore, purché i licenziamenti siano almeno cinque includa, in un contesto di crisi nel quale è prevedibile una riduzione del personale comprendente licenziamenti, le dimissioni di lavoratori proposte dall'impresa, non volute ma accettate da questi ultimi dopo avere ottenuto l'offerta vincolante di inserimento immediato in un'altra impresa e sia stata l'impresa datrice di lavoro a gestire con tale altra impresa la possibilità che i propri lavoratori effettuassero colloqui ai fini della loro eventuale assunzione».

La risposta, implicita, della Corte di giustizia si trova nell'ultima frase del punto 31, dove la Corte precisa che: «Nel caso di specie, la convenuta nel procedimento principale chiedendo ai suoi lavoratori se fossero disposti a sostenere colloqui con l'A.E. – vale a dire consentire a taluni dei suoi lavoratori di instaurare un rapporto contrattuale con quest'ultima e, di conseguenza, ridurre il numero dei licenziamenti individuali – coincidono in larga misura. Infatti, dal momento che una decisione che porta a una riduzione significativa del numero di alberghi gestiti e operati dalla convenuta nel procedimento principale avrebbe potuto comportare una riduzione altrettanto significativa della sua attività e del carico di lavoro presso la sua sede e, quindi, del numero di lavoratori di cui essa aveva bisogno in tale sede, l'esodo volontario di un certo numero di lavoratori verso la società che rilevava una parte dell'attività ceduta poteva chiaramente consentire di evitare licenziamenti collettivi».

In estrema sintesi, sembra che la Corte configuri, nella specie, un “licenziamento indiretto” anche se la sua concreta qualificazione viene rimessa, correttamente, al giudice nazionale.

Note

[1] Il cuore pulsante della direttiva sui licenziamenti collettivi è delineato nell'art. 2, § 1, della direttiva 98/59/CE. La disposizione impone al datore di lavoro, che prevede di effettuare licenziamenti collettivi, di procedere in tempo utile a consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori al fine di giungere ad un accordo (sul tema si veda R. COSIO, Il cammino della Corte di giustizia, in R. COSIO e F. ROSELLI (a cura di), Libertà d'impresa e tutela del lavoro. Gli orientamenti delle alte Corti, Milano, 2023). L'art. 2, § 2, prevede che lo scopo di tali consultazioni è di esaminare le possibilità: a) di evitare, ove possibile, tali licenziamenti oppure, nei limiti in cui ciò non sia possibile, di ridurli; b) di attenuare le conseguenze delle misure da adottare.

Una definizione concreta viene fornita nel terzo paragrafo dell'art. 2 secondo il quale: «Affinché i rappresentanti dei lavoratori possano formulare proposte costruttive», il datore di lavoro deve loro fornire, in tempo utile, «informazioni utili» sul progetto di licenziamento. Le informazioni, oltre alle ragioni del licenziamento, al numero di lavoratori da licenziare e di quelli abitualmente impiegati, al periodo in cui si prevede di effettuare i licenziamenti (informazioni già previste nella direttiva 75/129/CEE) devono contenere chiarimenti sulle categorie dei lavoratori da licenziare, sui criteri di scelta per la selezione di questi ultimi e sul metodo di calcolo di eventuali indennità di licenziamento diverse da quelle previste dalle legislazioni e dalle prassi nazionali. I vincoli di carattere procedimentale, nell'economia della direttiva, hanno un'importanza fondamentale e la consistenza di veri e propri “diritti”. Non si tratta, peraltro, di un diritto qualsiasi. Siamo in presenza «dell'elemento costitutivo della fattispecie”, ciò che lo “identifica”. Sul tema si veda G. MAMMONE, La regolazione dei licenziamenti collettivi: itinerari legislativi ed orientamenti giurisprudenziali, in R. COSIO, F. CURCURUTO e R. FOGLIA, Il licenziamento collettivo in Italia nel quadro del diritto dell'Unione europea, Milano, 2016, 111-150.

[2] Sul raccordo tra l'ordinamento italiano e quello comunitario si vedano: M.G. GAROFALO, Eccedenze di personale e conflitto, in Giorn. dir. lav. ind., 1990, 237 ss.; B. GRANATA, Le direttive comunitarie in materia di licenziamenti collettivi e l'ordinamento italiano, in Quad. dir. lav. rel. ind., 1997, n. 19, 159 ss.; U. CARABELLI, I licenziamenti per riduzione di personale in Europa, Bari, 2001, 135; E. GRAGNOLI, La riduzione del personale fra licenziamenti individuali e collettivi, in F. GALGANO (diretto da), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, Padova, 2006; M. DE LUCA, I licenziamenti collettivi nel diritto dell'Unione europea e l'ordinamento italiano: da una remota sentenza storica della Corte di giustizia di condanna dell'Italia alla doppia pregiudizialità per il nostro regime sanzionatorio nazionale (note minime), parte prima e parte seconda, rispettivamente in Labor, 2020, n. 2, 149 e 2020, n. 3, 267. Per il diritto comparato v. R. COSIO, F. CURCURUTO, E. DI CERBO, G. MAMMONE, Collective Dismissal in the European Union. A comparative Analiysis, Milano, 2017. Da ultimo, v. R. COSIO, F. CURCURUTO, V. DI CERBO e G. MAMMONE (a cura di), Il diritto del lavoro dell'unione europea, Milano, 2023.

[3] Sul rinvio pregiudiziale si vedano, in generale: F. FERRARO, C. IANNONE (a cura di), Il rinvio pregiudiziale, Torino, 2020; R CICCONE, Il rinvio pregiudiziale e le basi del sistema giuridico comunitario, Napoli, 2011; E D'ALLESANDRO, Il procedimento pregiudiziale interpretativo dinanzi alla Corte di giustizia, Torino, 2012.

[4] CGUE 19 marzo 1964, C-75/63.

[5] CGUE 16 ottobre 2003, C-318/98, punto 32.

[6] Cfr. il Focus di R. COSIO, Il licenziamento indiretto nell'ordinamento complesso.

[7] Art. 1258 del codice civile spagnolo.

[8] CGUE 16 giugno 1998, C-162/96, punto 49.