Mutui a tasso variabile indicizzati al franco svizzero: un’odissea ancora in corso

02 Aprile 2024

Il contributo analizza la questione tuttora aperta dei mutui a tasso variabile, indicizzati al franco svizzero, come tali esposti sia alle oscillazioni del tasso Libor, sia alle fluttuazioni del rapporto di cambio tra l’euro e la predetta valuta estera. La problematica è stata ripetutamente visitata dalla giurisprudenza europea e da quella interna, di merito e di legittimità, oltre a essere al centro di accesi dibattiti dottrinari. Sulla stessa sono anche intervenuti l’ABF (Arbitro Bancario Finanziario)  e l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato).

1. Il fatto, la pronuncia della Corte d’appello e il ricorso

1.1 Negli anni 2000 un noto gruppo bancario di dimensioni internazionali iniziò una massiccia campagna di promozione di mutui fondiari a tasso variabile, indicizzati al franco svizzero: prodotto pubblicizzato come particolarmente conveniente perché  ancorato al tasso Libor, generalmente inferiore all’Euribor.  

Secondo quanto esposto nei ricorsi al giudice di legittimità, i rapporti di dare e avere tra le parti erano regolati nel modo seguente: a fronte di una rata mensile costante, gli esiti, positivi o negativi, per l’una o per l’altra parte, della doppia variabile – quella dipendente dalle oscillazioni del tasso Libor e quella determinata dalle fluttuazioni del rapporto di cambio tra euro e franco svizzero, vigente al momento del pagamento – venivano rilevati semestralmente e registrati in un side pocket, in un conto a parte cioè, decettivamente denominato deposito fruttifero.

Generalmente, almeno per quanto riguarda i mutui, il vaso di Pandora si è scoperchiato e ne è venuto fuori il contenuto tossico, nel momento in cui molti mutuatari hanno chiesto – sia che volessero semplicemente liberarsi del prestito, sia che avessero cominciato a sentir puzza di bruciato – l’estinzione anticipata del rapporto. E invero, dovendo il capitale residuo essere convertito in franchi svizzeri al tasso di cambio contrattualmente previsto e successivamente nuovamente convertito in euro al tasso di cambio corrente al tempo dell’estinzione, l’importo necessario alla chiusura è risultato addirittura più alto – e spesso in misura assai notevole – di quello ricevuto. Benché peraltro nel frattempo le rate mensili fossero state regolarmente pagate.

Si è così aperto un poderoso contenzioso sul quale, come dimostra l’ordinanza interlocutoria menzionata nel titolo, la stessa giurisprudenza di legittimità, non ha ancora maturato un orientamento stabile.

Nella fattispecie i mutuatari hanno agito in giudizio contestando la legittimità e la validità, sotto molteplici profili, degli stipulati contratti, e segnatamente delle clausole concernenti il meccanismo di indicizzazione (artt. 4 e 4 bis), l’estinzione anticipata del mutuo (art. 7), e l’agganciamento del tasso al franco svizzero (art. 7 bis), per contrarietà alla disciplina del TUF, e connessi regolamenti Consob, del TUB, e conseguenti disposizioni della Banca d’Italia, nonché del D.Lgs. n. 206/2005 (c.d. codice del consumo) e del codice civile.

Hanno segnatamente sostenuto che l’accantonamento dei tassi di cambio tra le valute, rispetto alla rata prevista nel piano di ammortamento, faceva sì che il contratto assumesse i connotati di un derivato implicito e fosse come tale nullo in quanto non preceduto dalla stipula di un contratto quadro e dalla somministrazione al consumatore acquirente – convinto di avere stipulato un tradizionale mutuo fondiario prima casa in euro e ignaro delle “alchimiche fumisterie algoritmiche concepite e cucinate negli uffici finanziari londinesi del colosso multinazionale” – delle informazioni specifiche richieste per la commercializzazione di tali strumenti finanziari. 

Sulla base di queste premesse, hanno quindi chiesto la riconduzione del contratto alle previsioni di legge, con conseguente ricalcolo delle somme dovute e condanna della banca a restituire gli importi percepiti in eccesso nonché a risarcire i danni.

1.2 Il Tribunale ha ritenuto destituite di fondamento le domande proposte, per l’effetto rigettandole.

La Corte d’appello è andata dietro al giudice di prime cure, confermandone la scelta decisoria per le ragioni che si vanno qui di seguito a sintetizzare:  

  • secondo la Curia territoriale era anzitutto perfettamente chiaro e comprensibile – grazie all’esplicitazione contenuta nel foglio informativo, consegnato ai clienti prima della stipula dei mutui – il meccanismo della incidenza della doppia variabile sulla determinazione della somma da restituire, e non solamente sul calcolo degli interessi;
  • andava poi segnatamente escluso che le contestate clausole fossero idonee a stravolgere la causa tipica dei mutui stipulati, modificandone la natura giuridica al punto da farla rotolare in una fattispecie negoziale invalida per difetto di meritevolezza, ex art. 1322 c. 2 c.c., o comunque nulla perché tout court illecita. E invero, proprio al contrario di quanto sostenuto dagli attori, malgrado il doppio calcolo differenziale, la causa dei contratti “rimane(va) pur sempre lecita e funzionale agli interessi perseguiti dai contraenti”, senza che neppure fosse intercettabile un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti o che potesse predicarsi la nullità di quelle clausole, ex artt. 33, 34 e 36 D.Lgs. 206/2005, in ragione della loro scarsa chiarezza e intellegibilità. A tutto voler concedere infatti la clausola contrattuale oscura o ambigua non è perciò solo vessatoria, principio al quale si era attenuta anche l’AGCM che, pur reputando scarsamente chiari gli artt. 4, 4 bis, 7 e 7 bis del contratto, si era limitata ad affermarne la contrarietà all’art. 35 c. 1 D.Lgs. 206/2005 del codice del consumo e cioè a una norma che non prevede la sanzione della nullità, invocata dagli appellanti, ma solo l’adozione dell’interpretazione più favorevole al consumatore, richiesta, questa, mai formulata (Provv. 13 giugno 2018 n. 27214);
  • infine, e per chiudere, destituita di fondamento era anche la tesi della qualificabilità del previsto meccanismo di indicizzazione in termini di derivato finanziario, e segnatamente di derivato su valuta, considerato che “la clausola … contestata, ancorché certamente complessa, rimane(va) pur sempre accessoria a un contratto di mutuo”. 

1.3 Gli obbligati non l’hanno mandata giù e hanno attivato il giudizio di legittimità.

In ricorso, dopo una lunga elencazione delle pesanti ricadute dell’agganciamento dei mutui in contestazione al rapporto di cambio tra euro e franco svizzero, di cui si è dato conto innanzi (punto 1.1), nonché degli innumerevoli elementi che rendevano assolutamente opaco e inintellegibile, in un contesto in cui la rata mensile era costante, i risultati del doppio calcolo differenziale, basato, l’uno, sul delta tra tasso di interesse convenzionale e tasso Libor,  e l’altro sul delta tra tasso di cambio convenzionale e tasso di cambio corrente, hanno richiamato, tra l’altro, la decisione dell'Arbitro Bancario Finanziario (ABF 9 marzo 2012 n. 707) secondo cui l’art. 7 del contratto, intitolato Estinzione anticipata, conteneva “una previsione evidentemente ambigua”, passibile di interpretazione contra stipulatorem ex art. 1379 cod. civ., o contra proferentem ex art. 35 c. 2 D.Lgs. 206/2005;  nonché il provvedimento sanzionatorio dell’AGCM, con il quale si era del resto confrontata la stessa Corte d’appello. In tale contesto nei primi due motivi di ricorso hanno lamentato il malgoverno delle norme che, nell’interpretazione ormai assurta a diritto vivente, impongono al giudice il rilievo officioso delle nullità, anche di protezione, in ogni stato e grado, considerato che nella fattispecie ne ricorrevano tutti i presupposti, costituiti dal difetto di chiarezza e comprensibilità, dall’eccessivo squilibrio, dalla violazione degli obblighi di buona fede, dal difetto di meritevolezza e dalla illiceità della causa.

Hanno poi nuovamente insistito sulla natura di derivato finanziario implicito del mutuo fondiario indicizzato al franco svizzero, al fine di farne dichiarare la nullità per mancanza o illiceità della causa e per violazione delle norme europee, civilistiche e consumeristiche che ne avrebbero dovuto governare il collocamento sul mercato.

2. L'ordinanza interlocutoria Cass. 29 gennaio 2024 n. 2592

2.1 Cosa pensi di tutto ciò il giudice di legittimità ancora non lo sappiamo, posto che al momento il collegio, chiamato a decidere con il rito camerale non partecipato, ex art. 380 bis 1 c.p.c., si è limitato, con l'ordinanza in commento a rinviare il giudizio a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza.

Nondimeno sono di estremo interesse le ragioni del provvedimento interlocutorio adottato.

In esso si esprimono, invero, dubbi sulla tenuta dell'indirizzo espresso con la sentenza Cass. 31 agosto 2021, n. 23655, secondo cui in tema di contratti fra professionista e consumatore, allorché si controverta in sede civile sulla chiarezza e comprensibilità delle clausole contrattuali, anche in vista dell'accertamento di un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi dagli stessi derivanti – che rende quei patti passibili della sanzione della nullità –  «il provvedimento con il quale l'AGCM accerti l'assenza di chiarezza e comprensibilità di alcune clausole contrattuali determina, nel giudizio civile promosso ex art. 37 bis, comma 4,  cod. cons., una presunzione legale, suscettibile di prova contraria, che non è sancita espressamente dalla legge ma scaturisce dalla funzione sistematica assegnata agli strumenti di public enforcement"», presunzione che «genera un dovere di motivazione e di specifica confutazione in capo al giudice civile che, chiamato ad occuparsi dello stesso regolamento contrattuale oggetto dal provvedimento amministrativo e giudicato non chiaro e comprensibile dall'Autorità Garante per la concorrenza e il mercato, maturi una diversa opinione».  

I dubbi sulla tenuta di tale principio sono formulati anzitutto in ragione della scelta decisoria operata successivamente con l'ordinanza Cass. 3 novembre 2023, n. 30556. Ivi la Corte, considerato che la Curia territoriale aveva motivatamente dissentito dal provvedimento dell'AGCM, affermando che le clausole in discorso non difettavano affatto di chiarezza e comprensibilità e che comunque non avevano carattere vessatorio, ha stabilito che la gravosità dell'obbligazione dei mutuatari era derivata non già dall'atteggiarsi delle clausole contrattuali in sé stesse considerate, bensì dal non preventivamente apprezzabile andamento del cambio, virato, al contrario del passato, in senso sfavorevole ai mutuatari.

Ha anche aggiunto il collegio del 2024, così in un certo senso mettendoci davvero il carico da novanta, che in verità emergevano profili di perplessità anche in relazione alla stessa configurabilità della presunzione legale iuris tantum evocata dal menzionato arresto del 2021, lasciando dunque intendere che, rivisitato il principio, potrebbe predicarsi la sostanziale ininfluenza nel giudizio civile degli esiti del public enforcement.

In tale contesto la trattazione del ricorso è stata dunque rinviata all'udienza pubblica, con la precisazione che gli aspetti prospettati non integravano né questioni di massima di particolare importanza, né un contrasto bisognoso dell'intervento delle sezioni unite, di talché la loro soluzione ben poteva giovarsi «dell'ampio approfondimento di temi similari ritraibile dalla giurisprudenza di questa sezione».

3. Stato dell’arte di dottrina e giurisprudenza in punto di finanziamenti indicizzati alle fluttuazioni del rapporto di cambio tra la valuta domestica e una valuta straniera

3.1 Le torsioni aleatorie dei mutui in questione hanno naturalmente scatenato un acceso dibattito anche in dottrina. E tra gli studiosi non è mancato chi, ricordato che i mutui fondiari devono essere stipulati a mezzo di atto pubblico, si è chiesto se l’intervento del notaio non sia valso tout court a escludere “la vessatorietà del contratto per difetto di trasparenza, tenuto conto del fatto che, ai sensi dell’art. 28 L. 89/1913 (c.d. legge notarile), il notaio non può ricevere o autenticare atti espressamente proibiti dalla legge, manifestamente contrari all’ordine pubblico o al buon costume”, pur ammettendo, subito dopo, che per la verità  “la presenza di clausole vessatorie non vale di per sé a rendere il contratto illecito” e che è quanto meno dubbio che  “il difetto di trasparenza … rilevi in sé e per sé o solo se associato a un significativo squilibrio contrattuale”, sembrando più pertinente ritenere che esso possa al massimo  sorreggere, “se rapportato all’oggetto o all’entità del corrispettivo” una domanda di annullamento per vizio del consenso (Paolo Gallo, I mutui indicizzati al franco svizzero al vaglio della Cassazione, in Giurisprudenza Italiana, Anno 2022, fasc. 3, pag. 579).

3.2 Venendo ora alle questioni specifiche agitate nel giudizio in cui è intervenuta l’ordinanza interlocutoria innanzi menzionata, va subito detto, per sgombrare il campo da quelle al momento potenzialmente chiuse o, quanto meno, meno aperte delle altre, che, nelle more della trattazione del ricorso, le sezioni unite hanno detto la loro sulla validità delle clausole di indicizzazione: e invero, compulsate dalla Terza Sezione civile – che aveva  ravvisato l’esistenza in parte qua di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità  e formulato dubbi sull’opinione che ne negava la natura di “strumenti finanziari derivati” – hanno per contro affermato che non costituisce patto immeritevole di tutela ex art. 1322 c.c., né strumento finanziario derivato implicito, la clausola di un contratto  di leasing che agganci la misura del canone sia alle variazioni di un indice finanziario, sia alle fluttuazioni del tasso di cambio tra la valuta domestica e una valuta straniera (Cass. SU 23 febbraio 2023, n. 5657).

Il che, mutatis mutandis, significa che anche per i mutui indicizzati di cui qui si discorre, la tesi della loro qualificabilità in termini di derivati è resistita dal diverso orientamento ormai enunciato dalle sezioni unite. Salvo, naturalmente, ripensamenti del medesimo consesso.

3.3 Ben diversa caratura, sul piano della controvertibilità, riveste invece la questione della spendibilità nel giudizio civile di nullità e di risarcimento del danno, del Provv. AGCOM 13 giugno 2018 n. 27214 con cui l’AGCM ha ritenuto che alcune clausole dei contratti di mutuo in euro indicizzati in valuta estera – e segnatamente quelle di cui agli artt.4, 4 bis, 7, 7 bis – fossero affette da «difetto di chiarezza e trasparenza», contrarie ai principi della Dir. 1993/13/CEE come elaborati dalla Corte di Giustizia, nonché agli art.33 e s. D.Lgs. 206/2005.

La questione chiama in causa quella, più generale, delle possibili interferenze tra la tutela amministrativa erogata attraverso il cosiddetto public enforcement e la tutela sollecitata sul medesimo oggetto dal singolo innanzi al giudice civile, dovendosi in sostanza stabilire se gli approdi della prima abbiano nel private enforcement, attivato dal soggetto pretesamente leso, una rilevanza di mero fatto o una precisa valenza giuridica.

È una tematica divisiva e di sistema. Allo stato essa vede contrapposte due tesi:

  • quella della non sovrapponibilità delle tutele, in quanto operanti su piani autonomi e distinti, (Cons. Stato 22 settembre 2014 n. 4773), e
  • quella – formatasi in prevalenza con riferimento alle intese restrittive della concorrenza e ai «cartelli» fra imprese, ma seguita, come si è visto, da Cass. 31 agosto 2021 n. 23655, anche con riferimento ai mutui indicizzati – secondo cui gli accertamenti compiuti dall'Autorità garante integrerebbero una presunzione legale, nei termini innanzi esplicitati.

Proprio per sciogliere questo nodo, come si è visto, il collegio investito del ricorso proposto dai mutuatari delusi, ha preso tempo e ne ha rinviato la trattazione alla pubblica udienza, dove sarà possibile discutere anche oralmente la questione e conoscere l’opinione del Procuratore generale. 

4. Conclusioni

4.1 Come andrà a finire non si sa. Alcune considerazioni è tuttavia possibile farle sin d’ora.

I principi enunciati da Cass. 31 agosto 2021 n. 23655, per quanto splendidamente argomentati, presentano, a mio avviso, una nota stonata.

La Corte afferma che «in tema di contratti tra professionista e consumatore, il provvedimento con il quale l'AGCM accerti l'assenza di chiarezza e comprensibilità di alcune clausole contrattuali determina, nel giudizio civile promosso ex art. 37 bis, comma 4, c. cons., una presunzione legale, suscettibile di prova contraria». E fin qui ci siamo. Poi però statuisce che tale presunzione «genera un dovere di motivazione e di specifica confutazione in capo al giudice civile che maturi una diversa opinione». E qui arriva la stonatura.

Tra la prima e la seconda parte del principio di diritto c’è, all’evidenza, un salto logico, o almeno una lacuna perché, se il provvedimento dell’AGCM integra una presunzione legale iuris tantum, ribaltabile con prova contraria, le conclusioni dell’Autorità garante non possono essere tout court superate dall’accorta motivazione del giudice che la pensi diversamente, a meno che non si voglia dire che l’accorta motivazione deve cadere proprio sulla esistenza di una prova contraria.

Non a caso nell’ordinanza Cass. 3 novembre 2023 n. 30556, innanzi menzionata, la Corte si è limitata a prendere atto dell’accertamento effettuato dalla Curia territoriale in punto di chiarezza, comprensibilità e non vessatorietà delle clausole (sempre le stesse, già esaminate dall’AGCM), e a ritenere soddisfatto il debito motivazionale, nella declinazione rafforzata richiesta dal precedente del 2021. 

Dove stava qui la prova contraria?

E tutto ciò mentre la Corte di giustizia – è bene ricordarlo – continua a picchiare duro sul principio di effettività della tutela del consumatore in base al diritto dell’Unione Europea, consentendo, anzi esigendo un controllo officioso anche «in sede … di un procedimento di esecuzione forzata fondato su una decisione che dispone un’ingiunzione di pagamento avente autorità di cosa giudicata» (in questo senso da ultimo CGUE 18 gennaio 2024 causa C-531/22, sull’abbrivio, tra l’altro, di CGUE 17 maggio 2022 in cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C-831/19) e altresì insistendo, proprio con riferimento ai mutui indicizzati, sulla necessità che le clausole contrattuali non solo siano redatte in modo chiaro e comprensibile sul piano grammaticale, ma che siano accompagnate dall’esplicitazione del «funzionamento concreto del meccanismo di conversione della valuta estera al quale esse si riferiscono» nonché del «rapporto fra tale  meccanismo e quello prescritto da altre clausole relative alla erogazione del mutuo, di modo che il consumatore sia posto in grado di valutare, sul fondamento di criteri precisi e intellegibili, le conseguenze economiche che gliene derivano» (CGUE 30 aprile 2014 causa C-26/13, seguita da CGUE 20 settembre 2018 causa C-51/17).

4.2 In tale contesto forse una soluzione onorevole sul piano etico, logico e giuridico, oltre che conforme alle indicazioni dei giudici di Lussemburgo, sarebbe quella di richiedere, a fronte di clausole complicate e potenzialmente tossiche per il consumatore, la prova che gliene sia stato illustrato in concreto il contenuto, attraverso interlocuzioni personali, piuttosto che prolissi foglietti illustrativi, ed esemplificazioni oneste. Per il che neppure sarebbe necessario qualificare l’eventuale giudizio di mancanza di chiarezza e comprensibilità delle stesse, formulato dall’Autorità garante, in termini di presunzione legale, qualificazione che si presta a essere percepita come una forzatura.

Vedremo a breve cosa ne pensano gli ermellini. Intanto l’odissea dei mutuatari purtroppo continua.

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