Divieto di integrazione postuma della motivazione e one shot provvedimentale

08 Aprile 2024

La sentenza in commento tratta, in particolare, della integrazione delle motivazioni alla base del provvedimento nonché del c.d. esaurimento della discrezionalità, offrendo l'opportunità per ragionare sulle prerogative del giudice e delle parti in relazione a tali istituti.

MASSIMA

1. Quando il giudice abbia già pronunciato sulla determinazione amministrativa impugnata, annullandola per difetto di motivazione, e quindi allorquando il giudizio non sia più pendente ma sia stato definito, non si rientra nel campo di applicazione del divieto di motivazione postuma, il quale è circoscritto, processualmente, al giudizio in corso e, sostanzialmente, al provvedimento oggetto del giudizio.

2. L'amministrazione, investita dell'esercizio di attività rinnovatoria dal giudice in conseguenza dell'annullamento di un provvedimento caratterizzato da discrezionalità tecnica, deve ritenersi titolata a riesercitare la funzione, conformemente a quanto recato dalla sentenza di annullamento, una sola volta, con adozione ex novo del provvedimento annullato dal giudice ed esercitando una volta per tutte la funzione amministrativa discrezionale (c.d. one shot provvedimentale), senza sollevare questioni non previamente esaminate. La soluzione che precede è giustificata dai principi, di rilievo costituzionale, di certezza del diritto, di speditezza dell'azione amministrativa nonché di effettività della giurisdizione, e dall'art. 10-bis l. n. 241/1990.

3. L'art. 10-bis l. n. 241/1990, dettato relativamente al provvedimento di diniego assunto dall'amministrazione per effetto del mancato accoglimento delle osservazioni presentate dall'interessato a seguito della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della sua istanza, appare disciplinare in via analogica, e salve le specifiche eccezioni ivi previste, tendenzialmente tutti i procedimenti e gli atti successivi all'annullamento giurisdizionale del provvedimento originario.

IL CASO

Voto finale dell'esame di maturità e attribuzione della lode

La controversia sottesa alla pronunzia sopra indicata riguardava l'impugnazione dei verbali di una Commissione d'esame di maturità, nella parte in cui, in aggiunta al voto finale di 100/100, non veniva attribuita la lode.

In particolare la ricorrente lamentava di essere stata ammessa con il punteggio massimo per crediti formativi e di aver poi riportato il massimo anche in ciascuna delle tre prove d'esame con l'attribuzione del voto finale di 100, senza tuttavia la concessione della lode, pur ricorrendone in astratto tutte le condizioni ai sensi dell'art. 28 O.M. n. 45 del 9 marzo 2023, e senza specifica motivazione in ordine a tale mancato riconoscimento.

Seguiva definizione del giudizio nel merito con sentenza di accoglimento in quanto, pur in assenza di norma specifica, ma in contrasto con l'art. 3 della L. n. 241/1990 e dell'art. 97 della Costituzione, la mancata concessione della lode, nel caso specifico, si palesava immotivata.

Seguiva nuova deliberazione della predetta Commissione, la quale, fornendo specifica motivazione, confermava la non attribuzione della lode.

Avverso tale ulteriore provvedimento insorgeva la ricorrente, lamentando, anzitutto, la violazione del divieto di motivazione postuma, in quanto l'amministrazione scolastica si sarebbe auto-attribuita il potere valutativo nonostante le fosse oramai precluso.

In secondo luogo, si contestava che il (secondo) mancato riconoscimento della lode avrebbe dovuto essere sorretto da adeguata e specifica motivazione, mentre le giustificazioni fornite in sede di riesercizio non potevano considerarsi sufficienti ai fini della predetta negazione della lode.

LA QUESTIONE

Riesercizio del potere ed esaurimento della discrezionalità.

Le tematiche giuridiche di maggiore interesse della controversia sopra riassunta attengono, da un lato, alla corretta soluzione dei casi in cui l'amministrazione sia chiamata ad esprimersi nuovamente a seguito di un precedente annullamento, ed in particolare se tale seconda manifestazione del potere possa evidenziare profili di motivazione postuma, e, dall'altro lato, alle situazioni nelle quali tale successivo esercizio sia nuovamente contestato per difetto di motivazione e i profili essenziali della controversia siano oramai stati esplorati in tutte le loro sfaccettature.

LE SOLUZIONI GIURIDICHE

La non riconducibilità del riesercizio alla motivazione postuma ed il potere del giudice di attribuire il bene della vita

Per ciò che concerne la questione della motivazione postuma, la pronunzia in commento afferma che tale divieto non viene in considerazione in caso di riesercizio del potere.

Infatti, in virtù del principio di cui si discorre, è inibita all'amministrazione la possibilità di introdurre ex post nel corso di un giudizio vertente su una già assunta determinazione elementi e fattori motivazionali di quella determinazione per giustificarne le ragioni a lite pendente, in tal guisa integrando il carente corredo motivazionale della determinazione sub iudice.

Ma nel momento in cui il giudice abbia già pronunciato sulla determinazione amministrativa impugnata, annullandola – nella specie per difetto di motivazione – e quindi allorquando il giudizio non sia più pendente ma sia stato definito, si fuoriesce dal divieto di motivazione postuma, il quale è temporalmente circoscritto al giudizio in corso e, oggettivamente, al provvedimento censurato in giudizio con la proposizione del ricorso.

Quanto alla intensità del sindacato sul riesercizio del potere, il Collegio premette che la giurisprudenza (seppure non unanimemente) ha affermato che in caso di possesso in astratto dei requisiti per ottenere la lode, i quali costituiscono parametri di orientamento della discrezionalità tecnica della Commissione esaminatrice, il suo mancato riconoscimento deve essere sorretto da adeguata e specifica motivazione, la cui mancanza rischierebbe di rendere ineffettivo il diritto alla tutela giurisdizionale.

Posto quanto sopra, nell'esaminare la motivazione alla base del nuovo provvedimento, la sentenza ritiene di individuarne profili di insanabile contraddittorietà, ed elementi di natura confessionale in ordine alla sussistenza dei presupposti per la lode, rilevandosi, in capo alla candidata, capacità di reinterpretazione e riadattamento, dei contenuti acquisiti, anche in termini di originalità.

In tale scenario, non solo il ricorso viene accolto per carenza di motivazione della nuova valutazione ordinandosi un ulteriore riesercizio della funzione amministrativa, ma viene anche chiarito che la Commissione ha esaurito la sua discrezionalità nel momento in cui ha posto in essere l'attività rinnovatoria conseguente al giudicato di annullamento del primo verbale di scrutinio. Pertanto, l'amministrazione nella successiva propaggine provvedimentale non solo non avrà la possibilità di sollevare profili non ancora esaminati, ma si troverà anche vincolata ad attribuire la lode.

Tale soluzione viene giustificata in base alla teoria del one shot provvedimentale, recato dall'art. 10-bis l. n. 241/1990, nella nuova formulazione risultante dopo le modifiche del decreto‐legge 16 luglio 2020 n. 76, conv. in l. 11 settembre 2020, n. 120.

Seppure detta norma sia dettata relativamente al provvedimento di diniego assunto dall'amministrazione per effetto del mancato accoglimento delle osservazioni presentate dall'interessato a seguito del c.d. preavviso di rigetto, la stessa, nella parte in cui dispone che “nell'esercitare nuovamente il suo potere l'amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall'istruttoria del provvedimento annullato”, ad avviso del Collegio, è applicabile in via analogica anche ad altre situazioni, poiché la p.a., nel paradigma definito dalla norma in esame, ha già avuto la possibilità di determinarsi sulle osservazioni del privato e pertanto non può ritenersi ancora titolata a riesercitare la funzione amministrativa provvedimentale già espletata.

OSSERVAZIONI

One shot o formazione progressiva del giudicato?

La decisione in commento offre l'opportunità per alcune considerazioni in particolare sul c.d. principio del “one shot” provvedimentale.

Deve infatti notarsi che esso non sembra possa considerarsi consolidato quanto alla sua effettiva operatività, così come in relazione ad i suoi effetti.

Secondo una parte della giurisprudenza (v. sopra precedenti difformi), tale regola è confinata alle fattispecie in cui realmente ricorrono i presupposti di cui al ripetuto art. 10-bis, ossia:

(i) procedimenti ad istanza di parte;

(ii) comunicazione del c.d. preavviso di rigetto;

(iii) presentazione delle osservazioni da parte degli istanti;

(iv) emanazione di un provvedimento negativo;

(v) annullamento in giudizio del provvedimento così adottato;

(vi) riesercizio del potere. In tale ultima fase, ai sensi della norma in parola, l'amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall'istruttoria del provvedimento annullato, con conseguente esaurimento della sua discrezionalità, qualora non siano emerse nuove circostanze.

Ad avviso di altro orientamento (v. sopra precedenti conformi), espresso inter alia dalla sentenza in commento, invece, sussisterebbe un paradigma generale in base al quale, a seguito dell'annullamento di un provvedimento, il riesercizio non può fare riferimento ad elementi già emergenti dalla precedente istruttoria, e comunque, per l'effetto del riesercizio, si consuma la discrezionalità amministrativa e pertanto il giudice può ordinare all'amministrazione l'emanazione di un provvedimento specifico.

Il primo orientamento è forse troppo restrittivo ed introduce dei limiti e delle preclusioni che non tengono conto del variegato modo di esprimersi della funzione amministrativa, delineando regole stringenti per l'amministrazione, in favore del privato, qualora emergano per intero i presupposti normativi sopra visti, e regole potenzialmente molto lasche (sempre per l'amministrazione, stavolta a detrimento del privato) nel caso contrario.

Il secondo orientamento può apparire invece eccessivamente totalizzante e potrebbe rendere i presupposti della norma inutili o superflui, con conseguente evidente aporia sistematica.

Ad avviso di chi scrive, fatte salve le ipotesi in cui ricorrano tutti presupposti di cui all'art. 10-bis della l. 241/1990, nel qual caso la regola ivi prevista ovviamente si applica, qualora gli elementi indicati dalla norma e sopra menzionati non siano riscontrabili in toto, la soluzione dovrebbe essere trovata caso per caso e dovrebbero giocare un ruolo rilevante anche i principi di separazione dei poteri, di onere della prova, di effetto del giudicato ed in generale quelli scolpiti negli artt. da 1 a 3 del c.p.a..

In sintesi, nelle fattispecie da ultimo menzionate, a seguito dell'annullamento di un provvedimento, il riesercizio dovrebbe dipendere anzitutto dall'effetto (eliminatorio, ripristinatorio, conformativo) della pronunzia considerata, e gli elementi emergenti dalla precedente istruttoria potrebbero anche, insieme con quelli emergenti dall'eventuale ulteriore istruttoria disposta o implicata dalla sentenza, essere rivalutati in diversa ottica, fermo restando che il riesame circostanziale della vicenda dovrebbe essere (per lo meno in tale seconda fase) completo ed esauriente.

In tale scenario non è detto che il riesercizio consumi la discrezionalità amministrativa e consenta al giudice, chiamato a pronunziarsi sul riesercizio stesso, di ordinare all'amministrazione di emanare un provvedimento specifico. Tale possibilità dipende invece dal tipo di vizio rilevato, dal genere di funzione amministrativa considerata, nonché dalle prove raggiunte in sede giurisdizionale in ordine al corretto assetto che dovrebbe avere il rapporto giuridico dedotto in causa o l'esatta spettanza del bene della vita, oltre che dall'azione esperita (di annullamento o di ottemperanza).

In altre parole, la teoria della formazione progressiva del giudicato, intesa in senso lato, comprensiva anche dei casi in cui in sede di legittimità o di silenzio tutti gli aspetti di fatto e di diritto siano pienamente delineati (come forse anche nella vicenda di cui alla pronunzia in esame), potrebbe essere applicata ai casi nei quali non ricorrano tutti i presupposti di cui all'art. 10-bis in parola, senza che i principi di effettività della tutela giurisdizionale e di buona amministrazione vengano a soffrirne.